Vince il leave. La Gran Bretagna esce dall’Unione Europea6 min read

24 Giugno 2016 Europa -

Vince il leave. La Gran Bretagna esce dall’Unione Europea6 min read

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Sondaggi Brexit: la Gran Bretagna uscirà dall'Europa?
@mediagroupww

Aggiornamento 6.15 I polls si sono rivelati completamente inaffidabili: la Gran Bretagna si risveglia divisa fuori dall’Europa, con il 52% dei britannici che hanno votato per lasciare la UE.

Mancano pochi distretti e gli 800.000 voti di differenza pro Brexit sembrano ormai un margine sicuro. Ora si apre una voragine in primis per David Cameron, il premier conservatore che ha giocato con il Brexit per vantaggi personali e si è bruciato: Cameron verrà ricordato per essere il premier che ha portato la UK fuori dall’Europa. Anche per i laburisti, a favore del Remain, è notte fonda. Festeggia Nigel Farage di UKIP.

Mercati nel panico, con il crollo della sterlina e Tokyo che fa registrare un -8%.

Il Leave ha stravinto in Galles e in centri tradizionalmente favorevoli anche al Labour come Sunderland, il Remain ha vinto in Scozia e a Londra.

I cittadini britannici hanno scelto: ora dovrá iniziare il lungo percorso che porterà la Gran Bretagna fuori dall’Europa.

Aggiornamento 23.30 I polls di You Gov danno i Remain al 52%, i pro Brexit al 48%. L’affluenza è altissima e arriva oltre l’83%, circa 15 punti in più rispetto alle politiche 2015.

10 giugno

Il prossimo 23 giugno i cittadini del Regno Unito decideranno attraverso un referendum se restare o meno all’interno dell’Unione Europea. Il premier David Cameron -fautore del referendum – sta portando avanti una campagna serrata to remain, mentre all’interno del suo stesso partito il fronte del leave (capeggiato dall’ex sindaco di Londra Boris Johnson) sta raccogliendo sempre più consensi.

Come si è arrivati al Brexit. Il successo elettorale e la crescente popolarità dell’Ukip, il partito euroscettico e anti-immigrazione, hanno messo in allarme il premier David Cameron e i suoi più vicini collaboratori: prima delle ultime elezioni politiche, per cercare di rispondere in maniera netta ai movimenti anti-europeisti, sempre più in crescita anche fra i tories, l’attuale Primo Ministro inglese aveva promesso un referendum per “dare al popolo una voce”: detto fatto. Il prossimo 23 Giugno saranno i cittadini britannici in prima persona a decidere se rimanere o uscire dall’UE. Cameron ha vinto sì le elezioni ma ora rischia un tracollo dentro il suo partito a favore dello sfidante Johnson, che potrebbe prendere il suo posto al comando dei conservatori dovesse vincere il si all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Chi di Brexit ferisce di Brexit perisce, si potrebbe dire. 

Chi vuole restare. Si stanno impegnando nella campagna per il remain la quasi totalità dei deputati laburisti, l’intero partito liberaldemocratico e i Verdi, ma anche il premier David Cameron, il cancelliere George Osborne, il ministro dell’Interno Theresa May e circa metà dei deputati conservatori. Laburisti, conservatori e Verdi hanno messo da parte la rivalità politica sposando la causa e riconoscendo Stronger in Europe come movimento ufficiale dei sostenitori della permanenza in UE. Inoltre, la Confindustria britannica, le multinazionali e la maggioranza delle grandi imprese appoggiano le campagne per rimanere.

Chi vuole andarsene. Lo Ukip, i suoi quattro milioni di elettori e l’altra metà dei deputati conservatori, che contano fra le loro fila l’ex sindaco di Londra Boris Johnson, il ministro della Giustizia Michael Gove e altri quattro ministri dell’attuale Governo Cameron. Malgrado la crescente popolarità, il fronte pro Brexit è meno coordinato e più diviso ed ognuna delle diverse realtà politiche che lo compongono sembra portare avanti autonomamente la propria campagna senza alcun coordinamento centrale. Eppure…

I sondaggi: il sì é davanti.  A due settimane dal voto i sondaggi si sprecano e ad oggi la situazione è la seguente: il 31 Maggio, l’Istituto ICM pubblica per il Guardian le seguenti rilevazioni: dal sondaggio via telefono, il 42% degli intervistati è favorevole a rimanere nell’UE, contro il 45% favorevole all’uscita e il 13% di indecisi; dal sondaggio on-line, invece, i remain sono il 44% contro il 47% dei leave con una percentuale di indecisi del 9%. I più recenti sondaggi dell’Istituto Observer del 5 Giugno mostrano come il 43% degli intervistati sia favorevole all’uscita mentre il 40% vuole restare, con un’alta percentuale di indecisi del 17%. Sembra al momento esserci una maggiore tendenza verso l’uscita del Regno Unito dall’UE, ma il fatto che in breve tempo gli indecisi siano aumentati in maniera così significativa indica che una parte importante del popolo britannico non è ferma nelle proprie convinzioni.

Le osservazioni del Financial Times. Vista la recente esperienza coi sondaggi legati al referendum sull’indipendenza della Scozia, sono molti gli istituti di analisi a predicare cautela nell’osservare e commentare i numeri finora usciti: come nel caso scozzese, c’è il forte rischio che i risultati siano distorti dall’entusiasmo di una parte dello schieramento e dalla passività apparente dell’altro. Questo fa sì che gli stessi sondaggisti e analisti calibrino in maniera errata i risultati delle interviste. Proprio per questo motivo, il Financial Times sta monitorando la situazione aggregando i risultati di tutti i sondaggi finora usciti per cercare di limitare le distorsioni. E i risultati sono decisamente in contro tendenza rispetto a quelli del Guardian: il 45% dei cittadini britannici vuole rimanere all’interno dell’UE mentre il 43% vuole uscirne, con il 12% di indecisi.

L’importanza degli indecisi. Vista l’incertezza dei sondaggi, è difficile dire al momento quale dei due schieramenti sia effettivamente in vantaggio. È comunque evidente che l’ago della bilancia è in mano agli indecisi: tutte le rilevazioni mostrano un vantaggio risicato dell’una o l’altra parte e la zona grigia rimane importante malgrado ci si avvicini sempre di più al giorno della consultazione. Il verdetto finale dipenderà dalla cosiddetta maggioranza silenziosa, quella parte di cittadini che rimane in bilico fra le due parti e che potrebbe essere più propensa a mantenere lo status quo per rimanere al sicuro nella sua bolla di incertezze.

Possibili conseguenze economiche. >Se il Regno Unito dovesse effettivamente uscire dall’UE, a farne le spese in primis sarebbero la sterlina e gli annessi mercati finanziari. Chi preme per la separazione però crede che l’economia inglese sia sufficientemente preparata ad un tale scossone: dopo un primo momento di crisi, la centralità del Paese come snodo finanziario e commerciale permetterà una rapida ripresa che porterà ancora più ricchezza una volta liberi dal controllo di Bruxelles. I più pessimisti ritengono invece che il danno all’economia sarà irrecuperabile e fanno notare che ben tre milioni di posti di lavoro sono strettamente legati agli scambi commerciali e alla libertà di circolazione permesse dalla permanenza nell’UE.

I trattati. Proprio su questo punto si apre la questione sui trattati. Regno Unito e UE dovranno trovare nuovi accordi relativi agli accordi di libera circolazione e libero scambio. L’eventuale uscita dall’Unione comporterebbe anche l’uscita dai precedenti trattati. Per questo ci sarà bisogno di discutere i nuovi termini di adesione del Regno Unito nell’immediato periodo di transizione che seguirebbe Brexit, magari trovando un accordo simile a quello attualmente in vigore con la Norvegia, che non è membro UE. Probabilmente, la situazione più critica da gestire sarebbe quella dell’Irlanda del Nord: i trattati di pace tra protestanti e cattolici prevedono la libera circolazione delle persone all’interno dell’isola, che non sarebbe però garantita in caso di uscita dall’Unione Europea. La situazione potrebbe costringere i governi irlandesi a prevedere complessi controlli per l’immigrazione in uscita che renderebbero meno stabile una situazione politica mai del tutto normalizzata.

Conseguenze per l’UE. Quello che in Europa tutti i “No Brexit” vogliono evitare è l’effetto domino di un eventuale Brexit: i partiti euroscettici potrebbero cavalcare l’entusiasmo e chiedere che vengano indetti referendum simili in tutto il continente. Realisticamente solo Svezia e Danimarca potrebbero trovare conveniente un’uscita allo stato attuale delle cose, ma la carica e la popolarità anti-europeista potrebbero portare risultati inattesi. Dal punto di vista economico, secondo molti esperti c’è un concreto rischio di recessione per l’Europa. A pagare il prezzo più alto sarebbe comunque l’Irlanda: la vicinanza territoriale ha sempre comportato una cera dipendenza economica del Paese al Regno Unito e tranciare di netto questo legame porterebbe una profonda crisi da cui l’Irlanda difficilmente riuscirebbe a riprendersi da sola.

Per approfondire leggi: Brexit. Giocare con il fuoco

Brexit

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Fiorentino di nascita, Web Marketing Specialist per diletto e Nerd di professione. Si nutre di cultura pop e vive la sua vita perennemente in direzione ostinata e contraria. Per Le Nius supporta l'area editoriale, in ambito politica, e l'area social. matteo@lenius.it
3 Commenti
  1. Fabio Colombo

    Mi risulta che alla fine l'affluenza sia stata del 72%. Come mai era stato diffuso in serata il dato dell'83%? Era pure quello un opinion poll?

    • dav1de

      Si, era una stima sull'affluenza.

  2. giovannibisognin

    mi:10 luglio 2016 - l' Inghilterra senza perder tempo, sta facendo quelli che ha sempre fatto: guerra. Nella seconda guerra mondiale Churchill ha trascinato le sue ex colonie e l'America che " felicemente " ha mes- so in marcia la sua macchina da guerra fornendo abbondanza di mezzi ed armamenti bellici contro i quali nes suno era in grado di superarla. In tutti gli interventi che gli Usa hanno acceso nel medio oriente ed area medi- terranea, gli inglesi erano sempre il Partner preferenziale, sconvolgendo paesi sicuramente con problemi interni loro, ma che a noi Italo-europei davano tanto lavoro e tranquillità. In questi giorni Usa, Canada, Inghilterra e Germania si stanno preparando una difesa anti "Putin/Russia" piazzando basi missilistiche in alcuni paesi del- l'Unione Europea a confine. A parte la Germania " che spero ci ripensi " ,perché l'Europa si fa condizionare da paesi oltre oceano che danneggiano considerevolmente sempre di più le nostre economie? Che bella politica amica...... Che bello ripudiare la guerra... che alla fine nessuno ripudia ed al momento op- portuno queste " potenze " che operano con guanti di velluto, improvvisamente sfoderano armamenti che per metterli assieme non sono sufficienti pochi mesi. Intanto in Italia, grazie alle: inchieste, le "lotte " sindacali, buonismo indiscriminato, e classe Politica obsoleta od impreparata, il PIL è + 1,9% e crescita a - 10%. Siamo dietro La Grecia con un bel 13% e crescita ad oltre 10%..... L' Inghilterra PIL 33,8% e Crescita +30%- Ergo, il PIL aumenta facendo rifiorire la media e la grande industria che attualmente ha un mare di settori di operatività......fintantoché non abbiamo politici capaci e abili per dare una tale svolta al paese e sindacati ca- paci solo di organizzare scioperi, la Ns .Italia il PIL penso non migliorerà per anni. Tanto all'attuale team governativo, le loro prebende sono assicurate da imposte di nuovo conio, importazione emigranti, recuperi talvolta inesigibili a seguito fallimenti e tassazione di tutti i pensionati indiscriminatamente compresi quelli sotto la soglia dei 1000€. - Nei paesi europei " Spagna" , fino ad euro 19.990, nessuna pen- sione è sottoposta ad Imposte. john35bis .

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