Son contento solo se4 min read

2 Dicembre 2013 Uncategorized -

Son contento solo se4 min read

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Aladdin

Ho ricevuto un articolo da un lettore, Federico La Torre, concernente il riflesso delle vicende dirigenziali di questi giorni su di sé, milanista sinistrorso. Condividendo buona parte dei passaggi, e riconoscendomi nell’amarcord, lo pubblico per intero.

Non che mi importi molto della posizione in classifica o dei nomi di (a me) ignoti calciatori attualmente rossoneri, ma sono abbastanza preoccupato, forse anche confuso, da ciò che sta accadendo in casa Milan. Sarà che ho una visione del mondo del calcio un po’ romantica, ma per me i colori rossoneri valgono più di ogni allenatore, capitano, presidente o amministratore delegato passati, presenti e futuri di questa squadra. Anche se, a conti fatti, la pelata di Adriano Galliani (di cui non parlerò se non indirettamente) occupa coreograficamente la tribuna d’onore da che ho memoria.

Il Milan è la squadra con cui sono cresciuto. Il mio papà andava allo stadio da giovane, da giovane ha avuto anche me e ha probabilmente deciso di ricalibrare la sua passione calcistica sulle esigenze sportivo-formative del sottoscritto. I miei tre pesciolini rossi, tra i pochi ricordi della casa in cui ho iniziato a camminare, si chiamavano Gullit, Rijkaard e Van Basten.

Quella squadra con la scritta della Motta sulla maglia ha col tempo cambiato valore, da figure mitologiche ritratte in posa sul gigantesco poster nel box di mio nonno, alle immagini appartenenti al Mivar dal quale ricordo di aver visto i mondiali 1994 (quella finale è stata la risposta sportiva a Bambi per qualsiasi mio coetaneo italiano), per poi diventare la squadra che ho visto nascere durante le scuole medie. I giovani Gattuso, Ambrosini, Abbiati, iniziavano a sostituire ad uno ad uno vecchi eroi, eredità di anni ’80 finiti troppo presto e che un po’ rimpiangevo di non aver mai visto giocare. Un po’ come non aver mai potuto sentire Freddy Mercury dal vivo.

Gli anni del liceo sono stati quelli della gestione Ancelotti. Quella squadra, il mio Milan, è il mio ricordo sportivo più vivo. Ricordo le partite di Champions League viste al freddo sui Navigli, fuori dal pub con il maxischermo e le grandi vetrate, Morettone in mano, fumando sigarette con allarmanti valori di tossicità come solo un giovane tabagista poteva permettersi. Grazie a quella squadra ho gioito e ho sofferto, collezionando qualche sporadica presenza allo stadio in tempi di paghetta, finendo anche a fare i caroselli con la mia Pandina stracarica di amici. Allora fiero della mia fede rossonera.

Sono sempre stato abbastanza indifferente, alcuni diranno “volontariamente miope”, rispetto alla commistione tra politica e campagna acquisti finché (lo ammetto) il mio personalissimo rapporto “affettività rossonera fratto protagonismo presidenziale” mi ha fatto dormire sereno. Ma non sta tutta lì la questione. Un presidente così ingombrante era controbilanciato dall’incondizionata stima per alcuni atleti che, in quanto tali, ritenevo politicamente neutri e, soprattutto, attaccati alla maglia. Il collante che teneva insieme il mio castello di carta era quindi una società che consideravo, nonostante tutto, all’altezza delle mie aspettative valoriali sportive. Il dogmatismo con cui un milanista di sinistra giustifica il suo amore per il Diavolo merita sempre un po’ di compassione. Abbiatene.

Tuttavia nel corso degli anni la mia giustificazione matematica si dimostrava sempre meno solida. Uno ad uno quei giocatori che mi avevano fatto sgolare venivano venduti oppure banalmente liquidati. Prima Shevchenko, poi Kakà, infine l’addio di Paolo Maldini, eredità in campo di un Milan di altri tempi, fischiato dalla curva e sputato dalla dirigenza. Il cinismo con cui ho visto lasciare andare via questi campioni mi ha fatto pensare che le mie aspettative nei confronti della società rossonera fossero un po’ troppo alte, al netto di tutti i motivi che potevano aver portato a quegli eventi. Così ho smesso di rimanerci male, mettendoci una pietra sopra. Basta Milan, basta sopravvalutato mondo del calcio, basta inutili compromessi con la mia coscienza.

Le notizie riguardanti l’operazione nostalgia di Barbara Berlusconi che in queste ultime ore trapelano dai giornali, a mio avviso ricordano molto la passione per il revival del padre. Il ritorno delle vecchie glorie, Maldini in primis, poi forse Seedorf, Inzaghi, Van Basten e chissà, magari anche Franco Baresi, sembra voler ammiccare a quei tifosi delusi dalle ultime scelte della gestione Galliani, magari auspicando di riportare allo stadio anche gente come me, delusa dagli ultimi anni di questa società. Non credo di rappresentare una categoria e sono consapevole di essere piuttosto radicale, ma già che sono qua seduto sulla sponda del fiume ad attendere il passaggio dei cadaveri nemici, tanto vale aspettare anche il prossimo. In attesa di melodie arabe e tintinnanti investitori senza problemi di discriminazione.

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Nasco tra Milan(o) e l'Inghilterra. E lascio il cuore in Olanda, già che ci sono, tripartito. Da milanista tifo i piedi educati e le menti aperte, i capitani di lungo corso e i registi. Faccio più fatica con i cugini che con i gobbi. Credo che la poesia sia ciò che spunta quando hai la palla all'altezza della linea di metà campo e alzi la testa: tutti i gol migliori partono da lì, che poi vengano segnati di esterno o di fegato, di cuore o di doping.
1 Commenti
  1. Alberto

    ...in realtà le "operazioni nostalgia" o come le chiami tu sono probabilmente, in un mondo fatto di soldi ed interessi extrasportivi, il miglior modo per tenere saldo un progetto attorno ad una squadra. Quindi ben vengano i Maldini, gli Albertini, i Seedorf e gli Inzaghi. Con tutto il rispetto per Galliani che invece, una volta stretto il patto col diavolo (M.Raiola) ha solo posto obiettivi di natura economica (pochi acquisti a parametro zero e terzo posto per portarsi a casa i 20 milioni).

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