Distanti ma connessi | Come sta cambiando il nostro rapporto con i social network?13 min read

26 Marzo 2020 Società -

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Sociologa politica

Distanti ma connessi | Come sta cambiando il nostro rapporto con i social network?13 min read

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È indubbiamente un periodo straordinario. Per affrontarlo, e provare a raccontarlo, ci vuole una redazione straordinaria. L’abbiamo attivata coinvolgendo un gruppo di collaboratori e collaboratrici, con cui abbiamo tirato fuori un po’ di domande che ci frullano in testa questi giorni. Le trovate qui, insieme ad altre che ci arrivano dai nostri lettori e lettrici. Ora, proviamo a dare qualche risposta.

come cambiano i social network

In questi giorni sta cambiando il nostro rapporto con il web e i social: come ci stanno aiutando ad affrontare il momento?

Questa è la domanda di partenza di questo articolo. Ci si chiede quale ruolo i social network stanno giocando in questo periodo di isolamento e distanziamento sociale, ma anche – aggiungo io – come stanno cambiando, per adeguarsi a questa situazione eccezionale.

I social network sono al tempo stesso piattaforme tecnologiche per la condivisione di contenuti tra individui e gruppi, e sistemi sociali di relazione tra gli utenti di tali infrastrutture. Senza la disponibilità tecnologica di piattaforme non esisterebbe lo spazio virtuale per la creazione di comunità, ma senza la base sociale che costituisce il vero cuore delle interazioni sui social, tali siti web sarebbero solo spopolate infrastrutture.

Così, i social si nutrono di orientamenti, istinti, pensieri, atteggiamenti, paure e speranze degli utenti. In termini sociologici, gli algoritmi che regolano il meccanismo di gradimento dei contenuti, le modalità di diffusione delle condivisioni, il ranking di priorità di un post, di un video o di un tweet rispecchiano le sottostanti ricerche di argomenti rilevanti per gli individui, il gradimento di specifiche modalità di presentazione di un tema, la capacità dei contenuti generati dagli utenti di rappresentare lo spirito del momento.

Vale la pena domandarsi come cambiano i social da quando le nostre vite collettive sono state deformate dall’emergenza Covid-19, dal conseguente lockdown di quasi tutte le attività, dall’assunzione dell’orizzonte domestico come limite invalicabile della nostra socialità. Di che tipo di socialità sono popolati i social in questi giorni? Che funzioni assolvono? Quale valore aggiunto portano nelle nostre vite recluse?

Per rispondere a queste domande occorre ricordare quali siano le principali funzioni che i social network svolgono normalmente nelle nostre vite e perché, come utenti, passiamo del tempo online. Le attività che realizziamo tramite la nostra presenza sui social network sono: 1. entrare in relazione con altri individui, vicini e remoti; 2. accedere ad informazioni ritenute rilevanti; 3. produrre e trasmettere informazioni alle proprie cerchie sociali; 4. condividere esperienze con altri utenti; 5. ricercare fonti di intrattenimento; 6. ricercare fonti di apprendimento; 7. lavorare da remoto.

Normalmente, i nostri bisogni di informarci, produrre informazioni, condividere momenti, apprendere, divertirci sono abbastanza bilanciati nella nostra “dieta social” e non ci poniamo troppe domande a riguardo, avendo piena disponibilità di accedere ad altre fonti, reali e mediali, per il soddisfacimento di tali funzioni. Vediamo come queste diverse funzioni trovano nuovi equilibri in questa fase eccezionale delle nostre vite.

Social network in isolamento: come e per cosa li usiamo?

social network in isolamento

Socializzare

In questa fase di clausura, i social network sono diventati in primo luogo un sostituto delle normali relazioni sociali che intrattenevamo nelle nostre vite quotidiane. L’uso che ne facciamo è molto più centrato sulle nostre cerchie sociali reali, mettendoci in contatto con tutti coloro che sono importanti per noi.

Non essendo previsti incontri, passeggiate, aperitivi fuori, ne simuliamo lo svolgimento con videocall di gruppo, programmate agli stessi orari di questi riti sociali, di fronte ad una tazza di caffè o ad un bicchiere di vino.

La dilatazione dell’esperienza reale sui social, con tanto di hashtag per dare un’ulteriore riconoscibilità al fenomeno, è uno dei principali effetti sociali aperti dai social: in contesti non digitali, la televisione, con il suo consumo solitario, restava l’unico strumento monodirezionale di accesso ad informazioni dall’esterno. Con i social, si aprono finestre verso la dimensione virtuale di una socialità altrimenti proibita per DPCM. Un inveramento della quasi interazione mediata che Thompson preconizzava all’alba di internet in Mezzi di comunicazione e modernità.

Con le nostre reti di relazioni più profonde e autentiche approfondiamo in modalità remota e virtuale i formati e gli strumenti della consueta socialità, cercando di adattare i nostri comportamenti al nuovo contesto.

Non solo: ci diamo da fare anche per mantenerci connessi con colleghi e relazioni meno strette. In questa estensione della socialità dal reale al digitale, la chat di WhatsApp dell’ufficio si attiva nell’orario in cui ci si recava con i colleghi a prendere il caffè e scambiare quelle chiacchiere e riflessioni che rappresentano una parte così importante della nostra vita lavorativa.

I gruppi Facebook di familiari, anche i più lontani con cui ci sentivamo una volta all’anno, scoprono una nuova vita, con aggiornamenti quotidiani sulla salute di tutti, condivisione di pensieri sulla fase attuale, richiamo ai ricordi di tempi più facili. E pensare che fino a un mese fa servivano solo per annunciare la comunione del nipotino o per far gli auguri di compleanno al cugino.

Dall’altro lato, la nostra ricerca di divertimento sulle piattaforme social si accentra anche sulle reazioni delle celebrities alla clausura forzata. Normalmente, nella raffigurazione social dei VIP ammiriamo outfit, osserviamo passerelle, apprezziamo performance sportive, spettacoli, esperienze a cinque stelle; in questa fase osserviamo i comportamenti da reclusi nel nostro comune destino di restrizione domestica.

Ci interessa scoprire come reagiscono i VIP e le celebrity, il cui destino in questi giorni appare livellato al nostro, di fronte ai divieti, alla noia, al timore, al pericolo. E in questo scopriamo che la pandemia più che i social hanno livellato le nostre vite, se la giornalista da casa riprende con il suo cellulare i podisti nel parco, o il campione di calcio si trova a dover gestire un nugolo di figli nell’isolamento domestico.

Così le celebrity, in questo brodo di coltura solo virtuale, diventano personaggi avvicinabili al commento, alla stessa stregua di un vicino di casa, di un componente della squadra di calcetto, dell’amica di yoga (con cui non possiamo più parlare). In mancanza di contatti reali, la nostra attenzione e la nostra volontà di commentare le vite dei VIP sui social si fa molto più reale, quasi a sostituire il discorso da parrucchiera, la considerazione da spogliatoio, la condivisione dei commenti sul collega in pausa pranzo.

Informarci

Dal punto di vista informativo, invece, cerchiamo sui social con maggiore frequenza informazioni sull’andamento di Covid-19. Questo accade perché è per noi più rilevante e diretto raccogliere notizie e dati all’interno della nostra rete di relazioni social, anziché recepire informazioni tramite media tradizionali, che, necessariamente, forniscono una interpretazione generalizzata e aspecifica rispetto ai nostri bisogni.

Così, la ricerca di informazioni sul virus sui social non risponde solo al bisogno di avere accesso a notizie, dati, ma ha piuttosto la valenza di recuperare indicazioni riferite alla cerchia dei nostri “altri rilevanti” (amici, parenti) che in questo momento possiamo raggiungere solo così.

Non conta quanto l’informazione su tv e giornali presenti casi singoli e storie personali di pazienti dimessi con successo dal letto di ospedale: rileva molto di più conoscere la battaglia per la salute di quel nostro lontano cugino, di quel compagno di scuola, di quel collega di lavoro che sta lottando contro il virus.

Ecco perché le informazioni che cerchiamo sui social presentano quel carattere di significatività che l’informazione televisiva e a mezzo stampa non riesce ad avere: perché le informazioni derivanti dalle nostre cerchie social ci riguardano direttamente e rimangono più vivide nel nostro interesse e per il nostro apprendimento. È il caso dei molti post di familiari di ammalati che informano sulle difficoltà dei propri cari dal fronte sanitario, diventati virali. È la circostanza dei video di molti operatori medici e sanitari che testimoniano, prima alle proprie cerchie social, poi in maniera più generalizzata attraverso la diffusione dell’algoritmo, quanto questo periodo sia duro.

La ricerca di informazioni sul virus sui social non è esente da incertezze e rischi. Il diffondersi delle fake news sul tema è condizionato dalla natura stessa delle piattaforme, per cui se un contenuto ha successo nelle condivisioni e nei like viene automaticamente inserito in un ranking di diffusione.

Nonostante le precauzioni prese da alcune piattaforme per limitare la circolazione di post con contenuti non verificati, incerti o falsi, in spregio ai debunker in servizio permanente, le fake news circolano sui social, ma hanno cambiato pelle: sussurri e grida su terapie miracolose ancora non approvate dalle autorità competenti e consigli su rimedi casalinghi per arginare il virus ancora popolano le piattaforme generaliste. Come in tutte le emergenze, anche informative, la moneta buona e cattiva dell’informazione circolano concentrate su un solo argomento.

Non resta che considerare l’importanza dell’integrazione, nella dieta mediale dei cittadini, tra informazione cercata sui social, in cui ognuno è in preda dei propri strumenti cognitivi, e informazione veicolata dai mass media tradizionali, in cui la correttezza dei dati e notizie è sottoposta a verifica e a regole di comportamento professionale.

Svagarci

social network e coronavirus

Nell’ambito della funzione di divertimento svolta dai social, va detto che anche questo mercato non ha tardato ad adattarsi al contesto del Covid-19. Su YouTube i principali autori di video di intrattenimento hanno presto introdotto filmati dedicati alla quarantena in casa. Una delle categorie più cliccate su TikTok è “coronavirusitalia divertenti”.

La ricerca di digressione trova nei social un non luogo necessitato, soprattutto per i più giovani, altrimenti costretti ad un homeschooling spesso a bassa velocità. L’esigenza di avere sullo smartphone contenuti di intrattenimento, in un periodo così drammatico, non deve essere stigmatizzata. Gli adolescenti reclusi nel momento di massima carica vitale e di scoperta della vita e del mondo, possono trarre da questo succedaneo della socialità divertente che sperimentano con i propri amici, un’ancora di salvezza per l’alleggerimento del clima di costante stress determinato da malattia, pessime notizie e clausura. Un uso ricreativo di strumenti per i più giovani, quali TikTok o Instagram, può contribuire in questa fase a divagarsi rispetto all’attuale oscuro contesto, alleviando la salute mentale.

Apprendere

L’utilizzo dei social network a fianco delle tradizionali forme di trasmissione del sapere è patrimonio comune di ogni programma di didattica che si presenti come innovativo e rivolto all’aggiornamento digitale. Programma che però resta spesso sulla carta. È infatti esperienza significativa di questi giorni complessi il difficile adattamento delle pratiche della didattica agli strumenti digitali, nonostante la buona dotazione di risorse dedicate messe gratuitamente in condivisione grazie al progetto Solidarietà Digitale del Ministero per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione.

In questo senso, se l’obiettivo primario è quello di garantire la continuità didattica per gli otto milioni di studenti della scuola italiana e di portare a compimento i programmi scolastici grazie a piattaforme di e-learning, qualcosa può essere realizzato solo grazie all’impegno e alla buona volontà di chi, nelle classi, si dedica a dare forma alle infrastrutture per la didattica, spesso appoggiate sui social. Ci sono, ad esempio, gruppi di classe che si stanno formando su Facebook, come prima risposta all’esigenza di tenere le fila del rapporto di formazione tra docenti e studenti, ma anche dei rapporti sociali tra studenti.

Il tema emergente è quello dello sviluppo delle capacità digitali del personale scolastico. Considerata l’età media piuttosto elevata dei professori delle scuole italiane (oltre 50,6 anni) e le modalità tradizionali con cui la didattica veniva erogata negli istituti scolastici, non sorprende che grandi siano le difficoltà tecniche e di transizione professionale verso queste nuove metodologie di didattica su piattaforma.

Tali difficoltà aumentano ancora di più se consideriamo un’integrazione dei social network nei processi di didattica a distanza che esuli dai meri strumenti basici delle piattaforme mainstream come Facebook, spesso non frequentate dai giovanissimi.

Questa crisi ha fatto emergere con chiarezza il grande divario digitale tra le competenze del personale scolastico di nativi analogici, in confidenza con libri e lavagne, qualche volta LIM, e degli allievi nativi digitali, spesso spaesati da piattaforme di video-didattica che passano da pc e non dallo smartphone. In questo senso, questo periodo di crisi sarà un’occasione per riconsiderare il tema fondamentale delle competenze digitali nella e per la scuola.

Lavorare

lavorare con i social network

Le videocall di gruppo stanno sostituendo le riunioni. Il file sharing sempre attivo ha preso il posto della fotocopiatrice. I gruppi di ufficio si sono spostati su Facebook. I colleghi vengono raggiunti e aggiornati tramite dirette Instragram. Le notifiche di messaggistica dei social giungono sempre più da capi e colleghi, quando prima, almeno durante l’orario di lavoro, arrivavano prevalentemente da familiari e amici.

Questo nuovo panorama scandisce il ritmo di smart working (o, meglio, di lavoro da casa) delle nostre vite, spesso ampliandosi nel tempo, smarrita la distinzione tra tempo per il lavoro e tempo libero. Per chi era abituato a lavorare da remoto su progetti complessi con gruppi di lavoro multilingua, come i ricercatori e i docenti universitari, questa fase di smart working costituisce un’innovazione di media portata.

Per chi invece è abituato a svolgere un lavoro prevalentemente relazionale e di presenza, il lavoro agile introdotto dai DPCM di inizio marzo ha rivoluzionato totalmente l’attività: come svolgere lavoro di cura con anziani e persone con disabilità limitandosi a verificarne le condizioni tramite una piattaforma?

Il divario vero nella transizione del lavoro su piattaforme digitali – con eventuali integrazioni con i social network – risiede allora non tanto e non solo nei codici ATECO che abbiamo imparato a conoscere per le attività che possono restare aperte, ma tra attività in cui la presenza fisica può essere sostituita dall’attività digitale e attività in cui questo non è possibile.

Anche in questo caso, occorre riflettere sulla circostanza che grazie alle piattaforme e ai social network buona parte del lavoro da remoto può essere svolto con un’efficace connessione domestica a internet o con una buona scorta di giga sullo smartphone, ma molti dei processi costitutivi della dimensione lavorativa si manifestano meno efficaci e meno continui nella perdita della fisicità dei luoghi di lavoro e nello smarrimento della relazionalità con i colleghi.

Nel caso dello smart working, alla fine dell’emergenza, si imporrà una riflessione sull’integrazione tra modalità in sede di lavoro e modalità da remoto, programmando al meglio strumenti e canali per massimizzare la produttività lavorativa ma anche la conciliazione vita-lavoro.

L’epidemia cambierà i social network?

Si aprono, insomma, scenari nuovi per i social, messi alla prova, come tutti, dal contesto dell’epidemia globale di Covid-19. Fornire nuovi formati e contenuti ritenuti necessari per la simulazione della socialità, utili per l’accesso alle informazioni, validi per lo scambio tra gruppi di utenti, accessibili per lo svago, in grado di sostenere l’accesso alla cultura e all’apprendimento, è una missione che i gestori dei social network non si erano mai posti in maniera così cogente e finalizzata.

Una riflessione collettiva sul senso e sulle modalità di uso sociale dei social, in questa fase così difficile, può essere utile anche per porre in essere nuovi modelli di interazione tra piattaforme e utenti, in cui risulti chiaro che alcune funzioni essenziali (la corretta informazione su questioni di vita o di morte, come le precauzioni da prendere in caso di coronavirus) devono essere verificate con cura, mentre ogni altra forma di uso relazionale e ricreativo dei social può essere affidato all’autonomia degli utenti.

Così, con il contributo di utenti e piattaforme, un nuovo modo di vivere i social network può beneficiare in futuro anche della difficile esperienza che stiamo vivendo in questi giorni.

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Sociologa politica, fa ricerca al CNR e insegna Comunicazione e politica in Sapienza. Si occupa di comunicazione, advocacy, governance e sviluppo delle città, terzo settore, questioni di genere, partecipazione, tematiche su cui ha pubblicato saggi e volumi.
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