Simbolismo a Milano, in scena i sogni e i contrasti di un’epoca5 min read
Reading Time: 4 minutesL’anno artistico del Palazzo Reale di Milano è cominciato con la mostra Il Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra. Un’esposizione di oltre 100 opere, provenienti da tutta Europa, che si ricollega alle atmosfere Art Nouveau di Alfons Mucha, in esposizione già da dicembre.
L’evento dedicato al Simbolismo mette in luce tutti i sogni deliranti, le angosce e le atmosfere irreali che hanno popolato l’arte nel passaggio tra Ottocento e Novecento.
Attraverso 21 sezioni tematiche, curate da Ferdinando Mazzocca e Claudia Zevi in collaborazione con Michel Draguet, viene raccontato questo periodo di grandi mutamenti, in cui progresso scientifico e modernità hanno cambiato le regole della società umana. È qui che l’arte si è fatta portatrice di tutti i sussulti e le irrequietezze di una cultura che stava segnando il passaggio tra passato e futuro.
Affondando le sue origini nel Romanticismo, il Simbolismo ne raccoglie la carica mistica, il fascino per ciò che spaventa, il sogno che sconfina nell’incubo, servendosene per superare la realtà, per distaccarsene. Ci si allontana allora da accademismo, naturalismo e verismo dando nuovo significato a ciascuna forma rappresentata.
Il principio della dualità
Ogni cosa esiste in relazione al suo opposto. Così la luce è intesa solo come controparte del buio, la realtà affonda nel mondo onirico e in quello delle allucinazioni, la vita si controbilancia con la morte, vizio e virtù rappresentano le due facce della donna moderna.
Sono questi infatti i temi sviluppati all’interno della mostra attraverso le opere di autori del calibro di Moreau, Von Stuck, Redon, Khnopff e Previati. Tra i dipinti e le grafiche esposte si legge il chiaro intento della loro arte di staccarsi dall’impegno pubblico, di rifuggire la realtà, alla ricerca di una dimensione più intima ed introspettiva, dove le fantasie vengono sublimate.
Buio e Luce. Bene e Male
Grande suggestione è data dal buio che dilaga nella sezione dedicata alla lotta tra bene e male, guerra che prende forma attraverso la contrapposizione totale tra luce e tenebra; il buio e le sue ombre si popolano di figure sinistre, inquietanti, che scrutano il visitatore dalle tele attraendolo verso di sé, come accade con lo sguardo magnetico del Lucifero di Franz von Stuck (1891).
Nei suoi occhi, punti di fuoco sulla tela scura, si rilegge la parabola discendente dell’angelo decaduto. Immerso in un’atmosfera tetra in cui le sue ali, ormai inutili, sono appena percettibili, si impone con una fisicità tutta umana, quella dei peccati e dei vizi che lo hanno condotto alla sua fine.
Solo un bagliore freddo, sulla sinistra del quadro, ricorda le sue origini e la sua essenza portatrice di luce. Quest’ultima è protagonista come uno dei temi principali di tutto il movimento simbolista, per la sua incarnazione del concetto di bene; in alcune opere si materializza attraverso pennellate lunghe e filamentose, in un continuo gioco di chiaroscuri, come ne Il giorno sveglia la notte (1905) di Gaetano Previati.
Nelle opere le luci restano soffuse a creare una realtà velata, che si confonde con l’allucinazione e l’incubo, in cui chimere, sirene e ciclopi rappresentano i demoni della mente. Odilon Redon con il suo carboncino riesce a dare forma alla materia dei sogni, alle idee che caratterizzano l’essere umano.
La femme fatale
Figura che attraversa l’intera esposizione è quella femminile, rappresentata in tutta la voluttà del suo corpo, simbolo di tentazione, di un piacere a cui ci si abbandona per esser poi lacerati dai sensi di colpa. La donna è per gli artisti simbolisti un personaggio ambivalente, emblema della contrapposizione tra vizio e virtù, tra moralità e lascivia.
La troviamo avvolta tra le spire di un serpente, abbandonata su un letto, o addirittura con il corpo di un ghepardo: la sua nudità è sempre fatta di luce, la pelle diafana si staglia su sfondi spesso scuri e cupi, come a volere rischiarare la scena ma anche trascinare nel buio chi la segue ammaliato.
È una donna sfinge, come nel dipinto di Les caresses (1908) di Fernand Khnopff, enigmatica, che pone l’uomo di fronte ai suoi dubbi e alle sue contraddizioni: l’umano e il ferino, il bene ed il male, il divino e il demoniaco.
Ma è anche una donna che si veste di colore puro, assumendo forme rigide e solenni, sempre più schematiche e semplificate come le principesse in corteo di Vittorio Zecchin (1914), che fanno ormai l’occhiolino al secessionismo viennese.
La vita come poema epico
A concludere le 18 sezioni tematiche è Il poema della vita umana, la monumentale opera di Giulio Aristide Sartorio realizzata per la Biennale di Venezia del 1907. Un vero e proprio ciclo dedicato ai valori umani universalmente condivisi rappresentati nella loro contrapposizione Vita e Morte, Luce e Tenebra.
La solennità dell’opera è data tanto dalle sue dimensioni quanto dalla monocromaticità che vuole imitare la scultura, per essere poi ulteriormente rafforzata dal chiaro riferimento all’arte classica e al suo repertorio mitologico.
Prodotta da Palazzo Reale, 24 ORE Cultura e Arthemisia Group. A cura di Fernando Mazzocca e Claudia Zevi in collaborazione con Michel Draguet. Per maggiori informazioni sulla mostra visitare il sito.