Sfruttamento e lavoro minorile: sul concetto di infanzia4 min read

1 Ottobre 2014 Società -

Sfruttamento e lavoro minorile: sul concetto di infanzia4 min read

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sfruttamento e lavoro minorile

Il lavoro dei minori è una pratica che generalmente suscita indignazione. Per minorenne si intende “ogni essere umano avente un’età inferiore a diciotto anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile”. Così recita l’art. 1 della Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo. Ma qual è il rapporto tra sfruttamento e lavoro minorile?

Sfruttamento e lavoro minorile in Occidente

Nell’Europa dell’ottocento era consuetudine che i ragazzini lavorassero, e in condizioni pesanti se non crudeli: i romanzi di Dickens ne sono un ottimo esempio. Nel secolo scorso la riflessione sui diritti umani si è fatta più matura, e la pratica del lavoro minorile ha cominciato ad essere disapprovata, almeno in Occidente.

L’Italia ha regolato il fenomeno solo nel 1967, con una legge che disciplina il lavoro di bambini e adolescenti, prescrivendo l’invalidità dei contratti di lavoro stipulati con i minori di quindici anni, con le sole eccezioni delle attività in campo “culturale, artistico, sportivo o pubblicitario” (art.4), ed anche queste con molti limiti a tutela del ragazzo. Questo sulla carta.

Lo scorso anno infatti Save the Children ha pubblicato Game Over, un’indagine sul lavoro minorile in Italia realizzata con l’associazione Bruno Trentin, da cui emerge che ben 260 mila ragazzi sono impegnati in lavori di vario genere che li distolgono da ciò che la nostra società prevede per la loro età: istruzione, spensieratezza e crescita.

A ben guardare, si tratta di residui miasmatici di un mondo vecchio e povero che, se fino a pochi decenni fa riguardava tutto lo Stivale, si concentra ora soprattutto nel Mezzogiorno, con i picchi più alti in Sicilia e nelle province di Foggia e Vibo Valentia.

Ad onor di cronaca bisogna riportare che i tre quarti di questa forza lavoro è al servizio della propria famiglia, e che i lavori svolti poco hanno a che fare con le terribili condizioni in cui versava l’infanzia ai tempi di David Copperfield.

Le occupazioni in ristoranti e bar, nel commercio, o in campagna non sono tuttavia prive di conseguenze; basta infatti incrociare questi dati con la scolarizzazione dei ragazzi in questione per accorgersi che nella maggior parte dei casi essi non sono andati oltre la scuola media, e che sono spesso inconsapevoli delle regole e dei diritti dei lavoratori.

In altri termini, questo avviamento coatto al lavoro, determinato dal bisogno di integrare le fonti del reddito familiare, unito alla poca istruzione e coscienza di sé, produce lavoratori poco professionalizzati, a basso salario e ancor più esigua mobilità sociale.

Una spirale negativa, quindi, che riproduce logiche di emarginazione sociale che ritenevamo di esserci lasciati alle spalle. D’altro canto, se l’Italia è tra i primi paesi in Europa come numero di minori impiegati, nel continente le cose non vanno molto meglio, soprattutto nell’Europa dell’Est, anche se in merito vi è una preoccupante carenza di dati, soprattutto se rapportata alle precise valutazioni che ordinariamente svolge l’Ilo (Organizzazione Internazionale del Lavoro) per i Paesi in via di sviluppo (Pvs).

Sfruttamento e lavoro minorile nei Pvs

Il primo luogo comune, secondo cui il lavoro minorile sarebbe sconfitto in Occidente, è dunque tutto da rivedere. Il secondo, strettamente connesso al primo, è che questo sia un problema “solo da loro”, dove per loro si intende la generica dizione Paesi in via di sviluppo. La questione qui si fa più intricata.

Occorre infatti introdurre una distinzione importante, tra lavoro minorile e sfruttamento del lavoro minorile. L’abolizione del secondo è un chiaro obiettivo che l’Occidente si pone in modo omogeneo e risoluto, al di là dell’imperfezione dei risultati ottenuti: il dettato della Convenzione di New York sopra citata risponde a questo scopo.

Essa però soffre, in buona fede intendiamoci, di unilateralità ed etnocentrismo, nel senso che estende a tutto il mondo una concezione di infanzia ed adolescenza che non è ovunque condivisa, e confonde i due elementi della nostra distinzione, legando in modo quasi inevitabile sfruttamento e lavoro minorile.

Molte società asiatiche, africane e latino-americane considerano i ragazzi come legittimi prestatori di lavoro, pur con un enorme ventaglio di esperienze. Andare a prendere l’acqua al pozzo, badare al bestiame, sorvegliare i fratelli o aiutare le donne a procurare il cibo e a prepararlo: si tratta di attività che, al di fuori di qualsiasi oleografia, costituiscono un tipo di lavoro minorile riconosciuto dalla società in cui si svolge.

Il punto di partenza è proprio la concezione che ogni società ha dell’infanzia, di quello che le è dovuto e di quello che essa deve alla comunità.

Non stiamo naturalmente difendendo l’idea che i bambini debbano o possano lavorare, ma tutto va rapportato alle concrete condizioni culturali, sociali ed economiche in cui le attività umane prendono corpo. Questo non significa che non si debba condannare alcune situazioni come semplice e brutale sfruttamento (pensiamo ad esempio alla prostituzione minorile).

Tuttavia, come per molte altre questioni, per intervenire positivamente in altre culture occorre partire sempre dalla cultura in questione, e non il contrario; i più avveduti e sensibili progetti di cooperazione internazionale in tema di contrasto al lavoro minorile ormai hanno cominciato a capirlo.

Immagine | Wagner T. Cassimiro “Aranha”

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Aspirante antropologo, vive da sempre in habitat lagunar-fluviale veneto, per la precisione svolazza tra Laguna di Venezia, Sile e Piave. Decisamente glocal, ama lo stivale tutto (calzini fetidi inclusi), e prova a starci dietro, spesso in bici. Così dopo frivole escursioni nella giurisprudenza e nel non profit, ha deciso che è giunta seriamente l'ora di mettere la testa a posto e scrivere su tutto quello che gli piace.
Commento
  1. Giuseppina

    Quando si parla di bambini sento subito un sentimento di simpatia e di affetto e ricordare che vi furono tempi in cui essi erano obbligati a eseguire lavori anche pesanti per lunghe ore del giorno, mi commuove profondamente: si può parlare di infanzia rubata. Come è messo in evidenza in questo post, lo sfruttamento minorile nei lontani secoli era molto diffuso ed è quindi confortante che il problema ha suscitato via via interessamento e riflessione e si spera che la società umana si occupi a fondo per la risoluzione di questo grande problema.

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