Come funzionano e quanti sono i rimpatri dei migranti in Italia e in Europa8 min read

9 Marzo 2023 Politiche migratorie -

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Giornalista

Come funzionano e quanti sono i rimpatri dei migranti in Italia e in Europa8 min read

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Nella vaghezza che ha caratterizzato il Consiglio europeo straordinario del 9 e 10 febbraio, il tema dei rimpatri di migranti è stato uno dei pochi per cui si è deciso di dare un segno di concretezza. La bozza finale del vertice tenta di gettare le linee guida per rimediare, innanzitutto, alle lacune nel coordinamento tra Stati membri, invitandoli, ad esempio, a riconoscere reciprocamente le rispettive decisioni di rimpatrio.

Il sistema di rimpatri dei migranti irregolari sul territorio europeo presenta, però, delle inefficienze più ampie e strutturali, a cui da tempo l’Unione tenta di porre rimedio: ogni anno, su 500 mila cittadini extraeuropei invitati a lasciare gli Stati dell’Ue, solo il 20% ottempera alla richiesta.

Gli impedimenti maggiori vengono riscontrati nella stipula di rapporti di collaborazione con i paesi d’origine, che devono necessariamente acconsentire alla riammissione dei propri cittadini affinché questi possano essere rimpatriati. Un ostacolo che l’Europa sembra intenzionata ad affrontare con accordi sempre più flessibili e mirati, sul modello già messo in atto dall’Italia. Ma come funzionano e quanti sono i rimpatri effettuati dal nostro paese ogni anno?

In cosa consistono i rimpatri dei migranti irregolari

I rimpatri forzati dei cittadini extra-comunitari presenti irregolarmente in Italia consistono nel loro accompagnamento coatto fino al paese di origine o di provenienza. Si distinguono dai rimpatri volontari, in cui la persona decide autonomamente di lasciare il paese. Una modalità da preferire, secondo le norme dell’Unione europea, ma che raramente si verifica.

Rientrano nella categoria di migranti “irregolari”, che possono essere, quindi, sottoposti a una decisione amministrativa o giudiziaria che impone loro di lasciare il territorio, le persone arrivate in Italia senza passare dai controlli alla frontiera, quelle a cui viene rifiutata la domanda d’asilo e anche quelle arrivate regolarmente in Italia a cui, però, è scaduto il permesso di soggiorno o il visto.

Non possono essere rimpatriati forzatamente in alcun modo, invece, i minorenni, gli apolidi, i rifugiati, chi è in attesa dell’esito di una domanda di asilo o protezione internazionale o chi rischia abusi e torture nel proprio paese d’origine.

rimpatri migranti
Passengers gaze out the window and take pictures as they fly over the Swiss Alps. © IOM/Muse Mohammed 2015

Il rimpatrio è preceduto da un provvedimento di espulsione, a partire dal quale il destinatario ha tra i 7 e i 30 giorni di tempo per lasciare autonomamente il territorio nazionale con mezzi propri. Se ciò non avviene, lo Stato se ne occupa personalmente.

In attesa dell’esecuzione del provvedimento, la persona da rimpatriare può essere sottoposta a una detenzione amministrativa presso i Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), per un periodo di tempo non superiore a sei mesi, eccezionalmente prolungabili fino a 18. Secondo la normativa italiana, però, il trattenimento dovrebbe costituire l’extrema ratio, a cui preferire forme meno invasive di limitazione della libertà, quali ad esempio la consegna del passaporto o l’obbligo di dimora. Il trattenimento dei cittadini stranieri rappresenta, inoltre, una delle principali cause del rimpatrio “volontario” forzato.

Le operazioni di rimpatrio forzato possono avvenire via mare, via terra o in aereo. In quest’ultimo caso, il più frequente, è possibile utilizzare anche un volo di linea per il trasporto di una o poche persone. Questo tipo di operazione fa capo alla Questura competente, che ha il compito di individuare il mezzo, acquisire i documenti di viaggio, effettuare la valutazione dei rischi e mettere a disposizione la scorta.

Le operazioni tramite voli charter dedicati, invece, che vengono preferite per il trasporto di numeri più consistenti di persone, sono organizzate dalla Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell’Interno. L’operazione può essere poi coordinata da più Stati, quando tramite uno stesso mezzo vengono rimpatriate persone straniere provenienti da più Stati membri dell’Ue, o direttamente dai paesi di destinazione, che possono fornire il volo e personale di scorta per “recuperare” i propri cittadini.

Rimpatri migranti: i dati dell’Italia

Anche in Italia, come nel resto d’Europa, i processi di rimpatrio sono lenti e inefficienti. Stando ai dati della Corte dei Conti, tra il 2018 e il 2021, a fronte di 107.368 provvedimenti di espulsione, solo 21.366 persone erano tornate effettivamente al paese d’origine tramite rimpatri volontari o forzati, ovvero un quinto del totale. La media annua è di circa 5.300 migranti, fatta eccezione per il 2020 e il 2021 – rispettivamente 3.607 e 3.838 persone – che hanno registrato una contrazione maggiore per le restrizioni dovute alla pandemia.

Si tratta di dati leggermente inferiori alla media europea. Se ad esempio nel 2018 le persone rimpatriate dall’Italia erano state 6.398, nel corso dello stesso anno la Francia ne aveva rimpatriate 7.348, la Spagna 11.713 e la Germania 26.114.

Dei 3.838 rimpatri effettuali nel 2021, 3.420 erano forzati. Le persone migranti rimpatriate sono maschi nel 99,6% dei casi e per il 30,2% hanno un’età compresa tra i 25 e i 30 anni. Per il 10,4% si tratta, invece, di giovanissimi, di età tra i 18 e i 20 anni.

Al 15 ottobre 2022, come riportava il Garante nazionale delle persone private della libertà personale, erano state rimpatriate complessivamente 2.853 persone, delle quali 1.973 tramite voli charter dedicati.

Per quanto riguarda i costi, le cifre che l’Italia spende per le operazioni di rimpatrio forzato si attestano mediamente intorno ai 9 milioni di euro annui. Nel 2020 sono stati impiegati 8,3 milioni di euro, una cifra di poco inferiore agli 8,9 milioni nel 2019 e i 10,1 milioni nel 2018.

Le criticità del sistema di rimpatrio dell’Unione europea

Nel documento sulla strategia operativa per i rimpatri, che detta ai paesi membri le linee guida da seguire, vengono segnalate come aree critiche di intervento il coordinamento tra Stati membri, l’accelerazione dei processi di rimpatrio e la digitalizzazione e analisi dei dati raccolti.

Ma la vera problematicità del sistema, a cui l’Unione non è ancora stata in grado di trovare una soluzione, è la ritrosia dei paesi d’origine nel collaborare per la riammissione dei propri connazionali. In molti casi questa è dovuta a considerazioni politiche interne e al timore che accordi del genere possano essere accolti con ostilità dall’opinione pubblica. In alcuni casi poi i paesi d’origine devono a loro volta sostenere dei costi non indifferenti per il rimpatrio, spesso non corrisposti da sufficienti incentivi in cambio.

rimpatri europa

I dieci paesi terzi che tra il 2014 e il 2018 contavano il maggior numero di migranti irregolari non rimpatriati dall’Ue erano in ordine l’Afghanistan, il Marocco, il Pakistan, l’Iraq, l’Algeria, la Nigeria, la Tunisia, l’India, il Bangladesh e la Guinea.

Per rafforzare l’obbligo di riammissione, a partire dagli anni novanta l’Ue ha iniziato a inserire clausole sulla migrazione all’interno degli accordi con i paesi terzi. I negoziati a cui si fa normalmente ricorso sono i cosiddetti “accordi di riammissione dell’Ue” o Arue, stipulati parallelamente, seppur in via prioritaria, ai meccanismi di riammissione bilaterali. Questi ultimi vengono conclusi singolarmente dagli Stati membri e si distinguono per un processo negoziale più rapido e flessibile. Mentre gli Arue, però, sono documenti pubblici standardizzati, sui meccanismi non si hanno informazioni trasparenti né riferimenti ai diritti umani delle persone migranti.

Come denunciato da diverse organizzazioni internazionali, gli accordi rischiano inoltre di svuotare progressivamente il diritto di asilo in Italia e in Europa, facilitando i rimpatri tramite procedure superficiali ed esponendo le persone migranti a violazioni del principio di non-refoulement.

Al momento l’Unione ha all’attivo accordi di riammissione giuridicamente vincolanti con 18 Paesi, tra cui Turchia, Pakistan, Albania e Serbia, meccanismi informali di cooperazione con altri sei Paesi – l’Etiopia, il Bangladesh, l’Afghanistan, Guinea, la Costa d’Avorio e il Gambia – e negoziati in corso con altri, tra cui Tunisia, Marocco, Nigeria e Algeria.

Rimpatri migranti: gli accordi bilaterali dell’Italia

Negli ultimi anni il governo italiano ha puntato molto sulla sottoscrizione di accordi di riammissione bilaterali con diversi paesi africani, tra cui Egitto, Marocco, Nigeria, Gambia, Costa d’Avorio e Senegal. Accordi di cooperazione che vengono siglati, però, anche con le autorità di Stati responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, come il Sudan.

Quasi mai poi, come detto sopra, questi accordi vengono resi pubblici, rendendo impossibile sapere di preciso in cosa consistano. Anomalo, ad esempio, è il caso della Tunisia, che negli ultimi quattro anni è sempre stata il paese verso cui è stato rimpatriato forzatamente il maggior numero di migranti arrivati in Italia, con cifre rimaste costanti persino durante la pandemia. Nel 2021, su 3.420 persone rimpatriate, il 57% era di nazionalità tunisina.

rimpatri italia

A partire dal 1988, Italia e Tunisia hanno firmato diversi accordi per la gestione congiunta della migrazione. Nel 2020, i ministri Luciana Lamorgese e Luigi Di Maio si erano recati in visita a Tunisi per negoziare una nuova intesa, che aveva portato allo stanziamento di 11 milioni di euro a favore della Tunisia per “rafforzare il controllo delle frontiere”. Da allora i ritmi di rimpatrio erano aumentati considerevolmente, lasciando ipotizzare la stipula di un nuovo accordo internazionale sul tema, che non è stato, però, mai confermato dal governo italiano.

Lo stesso è avvenuto con la Nigeria. Per rispondere ai richiami dell’Europa sugli scarsi risultati dei rimpatri, a inizio 2017 l’Italia, in virtù degli accordi bilaterali con il paese, ha ordinato a varie questure di rintracciare e rimpatriare velocemente un certo numero di persone di nazionalità nigeriana.

Per l’Unione europea, però, i numeri dei rimpatri dall’Italia non sono ancora sufficienti. Le criticità, secondo una relazione del 2019 dell’Eca, sono da rintracciare nella mancanza di collegamenti tra le procedure di asilo e quelle di rimpatrio, l’assenza di un valido sistema di gestione dei rimpatri, le difficoltà nel localizzare i migranti, la capienza insufficiente dei Cpr e la difficile cooperazione con i paesi di origine dei migranti.

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Da sempre appassionata di comunicazione, ha studiato tra Palermo, Bologna e Torino. Ha un master in giornalismo e ha collaborato con La Stampa, Il manifesto e altri. Scrive di temi sociali, diritti, marginalità. Per Le Nius si occupa di migrazioni.
1 Commenti
  1. IB

    Non è chiaro perché secondo "diverse organizzazioni internazionali, gli accordi rischiano inoltre di svuotare progressivamente il diritto di asilo in Italia e in Europa, facilitando i rimpatri tramite procedure superficiali ed esponendo le persone migranti a violazioni del principio di non-refoulement". Visto che il rimpatrio avviene dopo che la domanda di asilo è stata rigettata, vuol dire che è stato legalmente accertato che l'applicante non ha i requisiti. Visto che la sua domanda è stata valutata prima dell'espulsione, necessariamente non è un caso di refoulement.

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