Riforme costituzionali modello Renzi: abolizione Province, CNEL e Senato4 min read

2 Aprile 2014 Politica Politica interna -

Riforme costituzionali modello Renzi: abolizione Province, CNEL e Senato4 min read

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Riforme-costituzionali-modello-RenziE alla fine arrivò il giorno delle riforme costituzionali modello Renzi. Il ddl licenziato dal Consiglio dei Ministri abolisce le province e il CNEL, Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, rivede alcune competenze attribuite alle regioni dalla precedente riforma del Titolo V e, soprattutto, abolisce il Senato, o meglio stravolge completamente la composizione, il funzionamento e perfino il nome di una delle istituzioni cardine della nostra architettura costituzionale. Ma entriamo nel dettaglio.

Riforme costituzionali modello Renzi: cosa succederà?

Il Senato si chiamerà Senato delle autonomie, non sarà elettivo ma composto da 148 membri (al posto degli attuali 315), 127 dei quali saranno sindaci e membri dei consigli regionali e ben 21 nominati dal Quirinale. Nessuno di loro percepirà un’indennità, il parere dei senatori rimarrà vincolante per quanto riguarda le riforme Costituzionali ma non sarà più loro richiesto di votare la fiducia. Rimane interlocutoria la posizione del Governo in merito alla proporzionalità fra la popolazione delle Regioni e la loro rappresentanza all’interno della camera.

Abbastanza scontata, ma non per questo meno incisiva, la strategia messa in campo da Matteo Renzi per blindare la sua riforma. Il provvedimento è stato infatti accompagnato da una previsione di risparmio annuo di un miliardo di euro (somma dei costi di Senato e Province), e presentato, parafrasando Crozza, come soluzione “del fare” ad “una discussione lunghissima, trentennale, nel dibattito tra gli esperti” (parole dello stesso Renzi).

Il dissenso di una parte della maggioranza

In questo modo voci autorevoli come Pietro Grasso o Stefano Rodotà, pur esprimendo più che ragionevoli dubbi sulla rappresentatività della nuova camera e sull’effettiva salvaguardia delle garanzie costituzionali, sono stati facilmente messi nel novero dei conservatori, dei “professoroni”, di quelli che vorrebbero conservare i privilegi della casta. Il giovane Matteo inoltre, minacciando di lasciare la politica in caso di bocciatura del ddl, ha lanciato un segnale preciso al suo partito e alla sua maggioranza, rendendo così più difficile ai senatori di PD e Nuovo Centro Destra l’espressione di un dissenso che sembra comunque venir fuori in queste ore.

Dopo l’annuncio delle riforme si assiste infatti a un gioco delle parti che coinvolge tutto l’arco costituzionale e che appare tutt’altro che rassicurante considerando che si parla della modifica delle istituzioni che sovraintendono alla nostra convivenza civile. Abbiamo quindi i rappresentanti del PD, che avrebbero di sicuro gridato al golpe se le stesse riforme fossero state proposte da Berlusconi, che per fede renziana o per senso di responsabilità verso le sorti del partito ormai indissolubilmente legate a quelle del suo segretario, si ergono a difensori del provvedimento.

Esponenti di Forza Italia che nonostante i propositi di riforma del bicameralismo perfetto più volte esternati dal loro capo, coscienti del peso che i loro voti potrebbero avere in Senato, fanno i malpancisti ergendosi a difensori delle prerogative delle due Camere.

Uno sparuto (ma forse neanche troppo) drappello di deputati PD insieme ai vendoliani minaccia di opporsi alla riforma, rischiando però di rimanere ai margini della discussione tacciato di conservatorismo di sinistra, come sempre accade, dalla discussione sull’articolo 18 in poi, a chi si sforza di conservare quel poco di buono che in questo Paese è stato fatto sul fronte delle garanzie costituzionali e dei diritti.

riforme costituzionali modello renzi movimento 5 stelle

Riforme costituzionali modello Pd: il Movimento 5 Stelle

Capitolo a parte è poi la compagine pentastellata. Il più spiazzato dal provvedimento di Renzi sembra infatti proprio il leader del Movimento 5 stelle. Riduzione del numero dei parlamentari, abbattimento del costo della politica, riforme istituzionali sono da sempre cavalli di battaglia del comico genovese, cavalli che oggi il rottamatore sembra saper cavalcare, agli occhi dell’opinione pubblica, meglio di Grillo.

Da qui la giravolta del duo Grillo-Casaleggio che prima firma l’appello contro le riforme proposto da Zagrebelsky e dall’“ottuagenario sbrinato di fresco” e “miracolato dalla rete” Rodotà, denunciando il pericolo di una “svolta autoritaria”, poi pubblica sul blog un articolo dal titolo “La democrazia repubblicana è in pericolo”, a firma di Aldo Giannuli, che pur partendo da preoccupazioni condivisibili, ovvero il “partito del Presidente” che si configurerebbe nel caso fosse confermata la decisione di far scegliere al Capo dello Stato ben 24 dei nuovi senatori, arriva poi a preconizzare addirittura una “democrazia a trazione elitaria” o una “tecnocrazia”. Inquietanti distopie alla Blade Runner, insomma, per quanto infinitamente più rassicuranti della “dittatura sobria” auspicata da Grillo neanche un mese fa.

Tra governo “del fare” e polemiche pretestuose, insomma, ciò che manca sembra proprio ciò di cui ci sarebbe bisogno, e cioè un confronto serio, vero e non frettoloso su una riforma necessaria del nostro assetto costituzionale. Ciò che apparirebbe più urgente riformare, tuttavia, è proprio la qualità del dibattito pubblico in questo Paese.

Immagine|The Guardian

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Quest'anno ho fatto il blogger, il copywriter, il cameriere, l'indoratore, il web designer, il dottorando in storia, il carpentiere, il bibliotecario. L'anno prossimo vorrei fare l'astronauta, il rapinatore, il cardiochirurgo, l'apicoltore, il ballerino e il giocatore di poker prof.
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