Recensione Virginia, tra l’avventura grafica e il film muto5 min read

25 Settembre 2016 Giochi -

Recensione Virginia, tra l’avventura grafica e il film muto5 min read

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recensione virginia

Virginia è un’avventura in prima persona, per PC (via Steam), PS4 e Xbox One, disponibile dal 22 settembre 2016, che potremmo definire come una sorta di film interattivo. I comandi si limitano infatti al movimento, alla rotazione dello sguardo e all’interazione con determinati oggetti.

Nei panni dell’agente dell’FBI Anne Tarver ci spostiamo all’interno di diversi ambienti (appartamenti, locali, uffici), nessuno dei quali particolarmente vasto e ricco di punti di interesse, nel nome di una semplicità di gioco che rappresenta una chiara scelta degli sviluppatori per mettere la trama al primo posto.

Recensione Virginia: la trama

Niente enigmi da risolvere, nessuna fase di esplorazione approfondita alla ricerca di oggetti particolari o punti di interesse nascosti, addirittura mai un dialogo tra i personaggi del gioco. La vicenda procede così, in maniera incalzante ed estremamente interessante, solo grazie all’espressività e alla gestualità dei personaggi, a qualche sporadico testo scritto e soprattutto ad un comparto sonoro (effetti e colonna sonora) di altissimo livello.

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Le premesse della trama sono abbastanza definite: siamo una nuova agente dell’FBI a cui viene assegnato il caso della sparizione di un ragazzino che risiede nella cittadina di Kingdom. Contemporaneamente, il nostro capo ci assegna il compito di sorvegliare la nostra collega, Maria Halperin, per segnalare eventuali comportamenti sospetti.

Da qui in avanti l’avventura, che impegna per un tempo intorno alle due ore, aggiunge di continuo elementi che, se da una parte sembrano definire le due linee di indagine, dall’altra complicano le cose introducendo nuovi intrecci e colpi di scena.

Senza nasconderci dietro a un dito, bisogna ammettere che da metà gioco in avanti diventa davvero difficile tenere il filo del discorso e comprendere cosa è realtà, cosa è sogno, cosa è allucinazione. Si arriva ai titoli di coda divisi tra il sospetto di essersi persi qualche dettaglio, il desiderio di ricominciare il gioco per valutare le scene alla luce di una conoscenza più generale dell’intera vicenda e l’idea che forse l’incerta definizione della storia sia voluta.

Quel che conta, comunque, è che la sensazione generale che resta dopo aver completato il gioco è positiva, appagante. Ciò deriva principalmente dall’approccio scelto dagli sviluppatori.

La trama in sé, almeno nelle sue premesse chiare e ben comprensibili, non è originalissima. Ma questo piccolo punto debole viene subito messo in secondo piano dalle scelte “registiche” che trasformano Virginia nell’anello di congiunzione tra il medium videoludico e quello cinematografico.

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Non solo la semplicità delle interazioni contribuisce a questo risultato, ma anche e soprattutto un certo dinamismo che elimina i tempi morti di viaggio ed esplorazione che solitamente rallentano il ritmo narrativo nei videogiochi.

Così, mentre camminiamo dal nostro ufficio verso quello della collega ai piani di sotto, capita che da un corridoio passiamo istantaneamente alle scale e da queste davanti alla porta della collega stessa, come nei netti cambi di scena cinematografici; oppure, dopo aver trovato un indizio in una stanza ci ritroviamo direttamente sul letto nella nostra stanza, ad esaminarlo, saltando di fatto tutti le inutili fasi intermedie. Inizialmente questa dinamica lascia perplessi, ma ben presto ci si abitua ed anzi la si apprezza come scelta coraggiosa ed assolutamente funzionale.

Altro elemento che concorre al giudizio positivo sul gioco è la già citata assenza di dialoghi e lunghi testi. Forse perché intesi anch’essi come lungaggini evitabili, forse per sperimentare una formula narrativa giocata sull’immagine e sulla musica più che sulla parola, in ogni caso la mancanza di scambi verbali con gli altri personaggi del gioco è un altro azzardo riuscito.

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Solo in qualche raro caso la scelta sembra forzata, mentre quasi sempre l’interazione non verbale sembra naturale e ben inserita nel contesto. Le movenze dei personaggi sono sufficienti a dare la direzione precisa di cui la storia ha bisogno per essere compresa. Quando ciò non basta, si inseriscono brevi testi (per lo più schede dell’FBI con poche, semplici informazioni) o si gioca con la colonna sonora.

Recensione Virginia: il sonoro

Passando a quest’ultima, occorre segnalare l’eccellenza del comparto audio. Oltre ad effetti realistici ed immersivi, che riescono a favorire l’ingresso nel mondo del gioco (che graficamente è ben lontano dal fotorealismo, ma che ha un suo stile definito e gradevole), Virginia vanta una colonna sonora eccezionale.

L’accompagnamento musicale, coinvolgente sin dai titoli di apertura, è uno dei veri protagonisti del gioco, se non altro perché, abbinato a poche, fugaci immagini, rende perfettamente i pensieri e le sensazioni della nostra protagonista ed è fondamentale, in diversi passaggi, proprio per dare un senso a scene che altrimenti, mancando le parole, sarebbero indecifrabili.

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Recensione Virginia: considerazioni finali

Tornando alla storia, non si può nascondere che occorre una certa elasticità mentale prima di approcciarsi a questo gioco. Sicuramente gli amanti della linearità troveranno molte scelte difficili da digerire, prima tra tutte la mancanza di un finale univoco.

Senza cadere nello spoiler, la sensazione che mi è rimasta verso la fine è di essere partito con due casi paralleli (la sparizione del ragazzo e l’indagine interna sulla mia collega) e di essere venuto a contatto con almeno tre vicende ben più complesse, oscure ed intricate. Senza dimenticare che nemmeno dopo i titoli di coda mi era ben chiaro dove finisse la realtà dei fatti e dove cominciasse il sogno, espediente che ricorre spesso nel gioco, soprattutto nelle fasi iniziali. Tuttavia, l’incertezza ed il finale aperto sono un incentivo a rigiocare l’avventura per carpire qualche dettaglio aggiuntivo.

Per concludere, ritengo che Virginia sia un ottimo esempio di gioco indie, che coniuga la volontà di sperimentare all’umiltà di chi sa di non poter rivaleggiare con i titoli tripla A. Il risultato è un gioco che, al costo di meno di due menù da McDonald’s, regala un paio d’ore piacevoli, a tratti coinvolgenti al punto da provocare un brivido, o anche solo un’esclamazione di meraviglia, e che ci ricorda che spesso la grafica, la complessità e la longevità non sono tutto.

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Classe '85, divido il tempo tra la moglie e i tre figli e le più svariate passioni. Amo la lettura, la scrittura (ho pubblicato cinque romanzi) ed i videogiochi, non disprezzo fumetti, calcio, cinema e cucina. Eterno bambino, amo la vita e credo che sia troppo breve per non interessarsi a... tutto!
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