Quote rosa: la partita si sposta al Senato3 min read

12 Marzo 2014 Genere Politica -

Quote rosa: la partita si sposta al Senato3 min read

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quote rosaLa questione quote rosa agita la maggioranza e in particolare il Partito Democratico. La bocciatura dei tre emendamenti all’Italicum proposti da Roberta Agostini, quello sull’alternanza in lista (335 no e 227 sì), quello sulla composizione al 50 e 50 dei capolista (344 a 214) e perfino quello, considerato soft, che prevedeva il 60 a 40 sui capolista, mette in luce le divisioni interne al partitone.

Il problema non è certo quello messo in luce da tanti commentatori, ovvero la coerenza del provvedimento in questione. Ci sono effettivamente delle ragioni dalla parte di chi dice che il provvedimento sarebbe risultato in qualche modo ghettizzante per le stesse donne, garantite più da una quota che dai loro effettivi meriti, come tante e forse più urgenti ragioni stanno dall’altra parte, ovvero di chi denuncia la difficoltà di far emergere quei meriti in un Paese ancora piuttosto arretrato riguardo alla tutela dei diritti politici, sociali e lavorativi dell’altra metà del cielo.

Ciò che più emerge dal voto di ieri è invece, ancora una volta, il doppio binario democratico, la discrepanza fra le posizioni condivise pubblicamente e i giochetti politici garantiti dall’anonimato del voto. Pesa per di più sui democratici il fatto di essere sostanzialmente caduti nel tranello teso loro da Berlusconi e da Forza Italia.

Il partito del Cavaliere aveva infatti garantito libertà di voto ai suoi esponenti, riuscendo così a contenere al suo interno il dissenso fra l’ala che mirava a conservare intatto l’accordo sull’Italicum uscito dall’incontro con Renzi e la componente femminile, capeggiata da Carfagna e Ravetto, che spingeva per le quote. Inoltre parte della componente forzista riusciva a raccogliere le firme necessarie per garantire che il voto rimanesse segreto.

Da qui la tempesta perfetta. Se infatti anche l’emendamento soft (quello del 60 e 40 sui capolista) si è fermato a 253 sì nonostante la (teorica) convergenza sul provvedimento delle donne di FI e NCD e dell’intero gruppo di Sel (che può contare su 36 deputati), è evidente che al conto finale sono mancati ben più dei 40 voti che mancano dal totale degli onorevoli PD alla Camera (293). Di fronte alla rabbia delle donne PD a poco serve il tweet consolatorio di Matteo Renzi, se non ad accendere nuovi sospetti e a rinfocolare antichi rancori.

Se infatti è vero che il Partito Democratico ha norme sulla parità di genere sicuramente avanzate rispetto agli altri partiti dell’arco costituzionale italiano, ancora di più la lotta delle donne del partito appare come una lotta di principio slegata da questioni personali. Inoltre proprio le norme interne al partitone sembrano escludere che i dissidenti si siano pronunciati negativamente per un tornaconto personale (ovvero, se uomini, per garantirsi il posto in lista).

L’attenzione si sposta quindi, inevitabilmente, sul gruppone di deputati renziani, che avrebbero inteso, con il loro no, assecondare il volere del loro capo corrente, ovvero la salvaguardia dell’accordo con il Cavaliere, di cui l’intangibilità dell’Italicum è parte integrante.

Come se non bastasse la capacità di mobilitare segretamente in poco tempo così tanti deputati PD riapre, come fatto notare da Rosi Bindi, la questione dell’identità dei famigerati 101 che affossarono la candidatura al Quirinale di Romano Prodi.

Esiste quindi il rischio concreto che sulla salvaguardia del patto fra il rottamatore e il cavaliere, e quindi sull’Italicum, si giochi l’unità del Partito Democratico e quindi la tenuta del Governo. La legge andrà ora al Senato, dove verrà riproposto l’emendamento Agostini, la partita non è ancora chiusa.

Immagine|SeL

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Quest'anno ho fatto il blogger, il copywriter, il cameriere, l'indoratore, il web designer, il dottorando in storia, il carpentiere, il bibliotecario. L'anno prossimo vorrei fare l'astronauta, il rapinatore, il cardiochirurgo, l'apicoltore, il ballerino e il giocatore di poker prof.
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