Quanti sono i poveri in Italia e in Europa?16 min read

17 Ottobre 2016 Economia Politica -

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Sociologo

Quanti sono i poveri in Italia e in Europa?16 min read

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quanti sono i poveri in italia e in europa
@Bengin Ahmad

Lo scorso aprile 2016 i giornali italiani sono usciti con la notizia che l’Italia è il paese europeo con il maggior numero di poveri: quasi 7 milioni. Vero, anche se servono alcune precisazioni per dare l’informazione su quanti sono i poveri in Italia e in Europa in modo completo.

Intanto, stiamo parlando delle persone che vivono in “grave deprivazione materiale”. È un modo di calcolare la povertà che considera l’incapacità di sostenere alcune spese per determinati beni e servizi, che dettaglieremo più avanti. Il dato assoluto va poi, cioè calcolata la percentuale sul totale della popolazione.

Quasi 7 milioni di poveri vuol dire l’11,5% della popolazione. È un dato alto, ma non il peggiore in Europa: Bulgaria, Romania, Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania e Croazia hanno più poveri di noi, in rapporto alla popolazione. Possiamo dire che è il dato peggiore dell’Europa centro-occidentale.

Diamo ora il quadro completo su quanti sono i poveri in Italia e in Europa nel 2015.

Quanti sono i poveri in Italia e in Europa?

La questione sarebbe meglio posta così: qual è la percentuale di popolazione che è a rischio di povertà in Italia e in Europa? Scegliamo infatti la forma di misurazione della povertà che va sotto il nome di “persone a rischio di povertà e esclusione sociale”.

È una scelta tra tante possibilità, perché la definizione di cosa sia la povertà e di “dove comincino i poveri” è oggetto da decenni di riflessione teorica e applicazione statistica, ed è impossibile da identificare una volta per tutte.

La misurazione della povertà che scegliamo di utilizzare è anche quella della Strategia Europa 2020, e ha il pregio di tenere dentro tre indicatori di povertà in unico dato. Spieghiamo più avanti quali siano questi indicatori, altrimenti ci mettiamo troppo ad arrivare ai numeri che ci interessano.

Secondo questa modalità di misurazione della povertà, i poveri in Italia sono il 28,7% della popolazione. È un dato che ha raggiunto il suo minimo storico (nell’ultimo decennio) nel 2009, quando era al 24,9%. C’è poi stato un balzo delle persone a rischio povertà nel 2011 (28,1%) e 2012 (29,9%, massimo storico). Quindi tendenza invertita nel 2013 e 2014, ma dato di nuovo in risalita nel 2015.

Stiamo parlando di 17.469.000 persone, in effetti il dato più alto in Europa in termini assoluti. I poveri sono distribuiti in maniera diseguale sul territorio nazionale. Al sud si toccano le percentuali più alte (54,4% Sicilia, 49% Campania, 43,5% Calabria), al nord quelle più basse (9,7% provincia di Bolzano, 13,6% provincia di Trento, 16,3% Friuli Venezia Giulia). (Questi dati fanno riferimento al 2014, non essendo ancora disponibili per il 2015).

Come siamo messi rispetto al resto d’Europa? Malino. Solo Bulgaria, Romania, Grecia, Lettonia, Lituania e Cipro presentano una percentuale di cittadini a rischio di povertà più alta di noi, mentre il record positivo spetta alla Repubblica Ceca (14%), seguita da Svezia (16%) e Finlandia (16.8%).

Rispetto al 2014, il trend è in leggero miglioramento. A livello continentale, la percentuale di persone a rischio di povertà è diminuita dal 24,4 al 23,7%. In ben 20 paesi su 26 (i dati di Irlanda e Croazia non sono disponibili) la povertà è diminuita, con particolare rilevanza in Ungheria (-3,6%), Romania (-2,2%), Lettonia ed Estonia (-1,8%). C’è da dire che questi paesi partivano da percentuali molto alte. Solo in Slovacchia il dato del 2015 è uguale a quello dell’anno precedente, mentre in soli 5 paesi la povertà è aumentata: in Lituania (+2%), Cipro (+1,5%), Bulgaria (+1,2%), Italia (+0,4%) e Olanda (+0,3%).

Se guardiamo agli ultimi 5 anni, la situazione appare ancora fosca. La povertà è aumentata in 14 paesi su 26, con percentuali molto rilevanti in Grecia (+8%), Cipro (+4,3%), Italia (+3,7%) e Spagna (+2,5%). Gli effetti della crisi si sono quindi fatti sentire nell’Europa mediterranea. I paesi dell’est hanno invece in genere abbassato i tassi di povertà (di oltre il 7% in Bulgaria e Lettonia, tra il 4 e il 5% in Lituania, Polonia e Romania), che partivano comunque da numeri molto elevati. Nel centro nord Europa, invece, la situazione è più variegata, con trend in lieve miglioramento in Francia, Austria, Danimarca e Repubblica Ceca, e povertà in leggero aumento in Regno Unito, Belgio, Germania, Svezia e, soprattutto, Olanda.

Torniamo ai tre indicatori che Eurostat utilizza per misurare le persone a rischio di povertà e esclusione sociale nei vari paesi europei. Ve li spieghiamo e vi diciamo quanti sono i poveri in Italia e in Europa se applichiamo singolarmente ciascuno di essi. Noterete, ve lo diciamo subito, che alcuni dati cambiano ma nel complesso la situazione della distribuzione della povertà in Europa è piuttosto simile qualsiasi sia l’indicatore che prendiamo in considerazione.

Quanti sono i poveri in Italia e in Europa: la povertà monetaria

Il primo indicatore è la povertà monetaria, ed è il più semplice da spiegare. Si stabilisce una soglia di reddito al di sotto della quale “ci sono i poveri”. Eurostat utilizza una soglia di povertà pari al 60% del reddito mediano della popolazione di riferimento. Chi ha un reddito inferiore a questa soglia, è considerato a rischio povertà, almeno dal punto di vista strettamente monetario. Per reddito non si intende qui solo quello da prestazioni lavorative, ma comprende anche redditi derivanti da proprietà o investimenti e sussidi sociali (incluse le pensioni).

Per calcolare la soglia di povertà si distribuiscono tutti i redditi di tutti gli individui di una popolazione (ad esempio di tutti gli italiani) e si prende il reddito che si colloca in mezzo a questa distribuzione. In base a questo calcolo la soglia di povertà per un individuo singolo in Italia nel 2015 è di 9.237 euro annui, soglia che cambia in base alle differenti tipologie di nuclei familiari.

Considerando solo la povertà monetaria il tasso di persone a rischio povertà è del 19,9% della popolazione nel 2015. Si tratta del tasso di povertà monetaria più alto dell’ultimo decennio, maggiore anche del famigerato 2011, e in crescita rispetto al 19,4% del 2014.

La media europea è del 17,3%, quindi ci siamo sopra e non di poco. È una classifica dove ci precedono Romania (25,4%), Lettonia, Lituania, Spagna, Bulgaria, Estonia e Grecia. I paesi più virtuosi sono Repubblica Ceca (9,7%), Olanda e Danimarca.

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@Franco Folini

Quanti sono i poveri in Italia e in Europa: la grave deprivazione materiale

Il secondo indicatore che costituisce il dato sulle persone a rischio povertà e esclusione sociale si chiama “grave deprivazione materiale”, ed è una misura un po’ più complessa, che indica l’incapacità di sostenere alcune spese per determinati beni o servizi, quali: spese impreviste, una vacanza di una settimana all’anno; le rate di mutui, affitti, utenze, prestiti; un pasto di carne o pesce una volta ogni due giorni; il riscaldamento; una lavatrice; una tv; un telefono; una macchina.

Il meccanismo è un po’ complicato ma riassumiamolo così: chi non riesce a sostenere almeno quattro delle nove spese sopra elencate è considerato in una situazione di grave deprivazione materiale.

L’indice di grave deprivazione è meno immediato, ma è considerato maggiormente in grado di raccontare la situazione effettiva delle persone, perché fa riferimento anche alle spese e ai risparmi, e non solo a una misura statica come il reddito. Si avvicina quindi al dato delle persone che stanno effettivamente vivendo una situazione di povertà.

Eurostat considera in stato di grave deprivazione materiale l’11,5% della popolazione italiana. Son questi i 7 milioni di poveri con cui abbiamo aperto l’articolo. In effetti, in termini assoluti è anche qui il dato più alto d’Europa, in leggera diminuzione rispetto al 2014 (-0,1%), ma nettamente superiore al periodo pre-crisi (era il 7% nel 2007!). Come per il rischio di povertà, anche la grave deprivazione materiale presenta una notevole differenziazione territoriale. Al sud la situazione è spesso drammatica (27,3% in Sicilia, 26,9% in Puglia, 16,3% in Campania), mentre va meglio al centro e soprattutto al nord (3,6% in Veneto, 4,9% in Friuli Venezia Giulia, 5,1% in provincia di Trento).

Nel resto d’Europa la situazione va generalmente meglio. In Svezia i “gravemente deprivati” quasi non esistono (0,7% della popolazione), mentre la maggior parte dei paesi oscilla tra il 4% e l’8%. Maglia nera di questa triste classifica è decisamente la Bulgaria (al 34,2%), seguita da Romania, Grecia, Ungheria, Lettonia, Cipro, Lituania e Croazia. Poi arriviamo noi.

Quanti sono i poveri in Italia e in Europa: la bassa intensità lavorativa

L’ultimo indicatore del famoso dato delle persone a rischio di povertà e esclusione sociale si chiama “persone che vivono in nuclei familiari a bassa intensità lavorativa”. Dal nome sembra una roba complicatissima. Proviamo a spiegarla.

L’intensità lavorativa è il rapporto tra il numero totale dei mesi che tutti i membri del nucleo familiare preso in considerazione hanno lavorato in un anno e il numero totale dei mesi che gli stessi membri dello stesso nucleo familiare avrebbero potuto lavorare durante lo stesso anno. Per calcolare questo dato si considerano solamente le persone in età lavorativa, ossia quelle tra i 18 e i 59 anni, senza considerare gli studenti.

Se il rapporto descritto sopra dà un numero inferiore a 0,20, il nucleo familiare è considerato “a bassa intensità lavorativa”, il che è visto come un indicatore di povertà. In sostanza per una persona sola la bassa intensità lavorativa coincide con l’aver lavorato meno di due mesi e mezzo l’anno.

Secondo Eurostat l’11,7% della popolazione italiana vive in nuclei familiari a bassa intensità lavorativa. Si tratta dell’unico dato in cui si riscontra un miglioramento consistente rispetto al 2014, quando era il 12,1%.

In questo caso siamo allineati con paesi come il Belgio, il Regno Unito, l’Olanda, addirittura la Danimarca e l’Olanda. Maglia nera di questa classifica è la Grecia, dove il 16,8% della popolazione vive in nuclei familiari a bassa intensità lavorativa, seguita da Spagna (15,4%) e Belgio (14,95). I paesi più virtuosi sono Lussemburgo (5,7%), Svezia (5,8%) e la sorprendente Estonia (6,6%).

Quanti sono i poveri in Italia e in Europa: considerazioni finali

I dati che abbiamo esposto rispondono inevitabilmente a criteri quantitativi e rispondono ad una visione di povertà che si limita alla sfera economica. Naturalmente ci sono molti altri modi di definire cosa significa essere poveri, che considerano anche fattori sociali (non avere o avere scarse risorse relazionali), culturali (legati all’istruzione e alla capacità di fruire della produzione culturale e di influire sulla stessa), politici (non avere o avere scarsa possibilità di partecipare e di rappresentare i propri interessi).

Si tratta di aspetti più difficilmente quantificabili rispetto a quello economico, ma che influenzano comunque molti filoni di ricerca sulla povertà, a partire soprattutto dal lavoro dell’economista indiano Amartya Sen.

Altra considerazione che vale la pena mettere in gioco quando cerchiamo di capire quanti sono i poveri in Italia e in Europa: i dati danno un’idea del fenomeno, ma non lo descrivono pienamente. Un individuo o una famiglia potrebbe avere per un anno un reddito basso, per una serie di circostanze, senza che questo influisca sul proprio benessere. Perché una situazione sia di effettiva povertà vissuta si stima che lo stesso soggetto debba vivere sotto la soglia di povertà per tre anni consecutivi.

Anche così il dato sarà impreciso: per qualcuno, senza appoggi familiari e socialmente isolato, basteranno pochi mesi di reddito basso a generare una situazione di povertà, altri invece, che possono godere di un sostegno familiare o di altre risorse sociali o che hanno accumulato grossi risparmi, potranno sostenere anche anni di redditi bassi senza per questo vivere effettivamente una condizione di povertà. I dati servono a dare un’idea della portata di un fenomeno, ben consapevoli che non raccontano nulla delle vite delle persone.

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Sociologo, lavora come progettista e project manager per Sineglossa. Per Le Nius è responsabile editoriale, autore e formatore. Crede nell'amore e ha una vera passione per i treni. fabio@lenius.it
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