Eldorado Argentina | La storia di Prospero6 min read

20 Dicembre 2019 Emigrazione -

Eldorado Argentina | La storia di Prospero6 min read

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Tra fine Ottocento e inizio Novecento milioni di italiani sono emigrati all’estero, molti in Argentina. Prima che le loro storie finiscano per essere dimenticate, sono andato dall’altra parte dell’oceano e ne ho raccolte alcune. Qualcuno leggerà delle storie di vita intense, qualcuno ci troverà dei collegamenti alle migrazioni di oggi, altri ci troveranno delle differenze, altri ancora apprezzeranno i valori del nostro paese. Qui tutti gli articoli.

prospero sapone
Prospero Sapone a Cordoba

Prospero Sapone ha settantadue anni ed è nato a Grassano, in provincia di Matera. Racconta la sua storia con un tono di voce orgoglioso che tradisce quanto ci tiene che venga conosciuta.

«Mio padre Francesco Paolo fece servizio militare vicino a Trieste, poi venne chiamato alla guerra in Tunisia e cadde prigioniero per quattro anni. Lo liberarono solo quattro anni dopo e da allora parlò sempre della guerra come di un castigo» racconta.

Nell’Italia del dopoguerra Francesco Paolo non riusciva a trovare lavoro, così nel 1950 emigrò in Argentina sulla nave San Giorgio. Nella città di Pérez, in provincia di Santa Fe, lo aspettavano suo fratello e due sorelle. «La mia è una famiglia di migranti sparsa per l’Argentina e per il Canada» spiega.

Prospero Sapone, che alla partenza del padre aveva appena tre anni, crebbe con la madre Antonia e il fratello Vincenzo, studente di agronomia: «Contadina e casalinga, mamma si occupava della casa e di noi due figli».

famiglia prospero
Prospero con la madre e il fratello a Grassano (MT)

Nel 1954 il padre Francesco aveva trovato lavoro prima come muratore, poi nelle ferrovie dello Stato e così la famiglia Sapone ricevette il cosiddetto “atto di chiamata”. A quei tempi, infatti, per entrare nel paese sudamericano poteva rivelarsi necessario garantire la presenza di un familiare al momento dell’arrivo.

Tutto accadde in una settimana: «Scoprii che saremmo partiti e ciao: cominciava un viaggio verso lo sconosciuto» racconta Prospero. La famiglia vendette tutto e nel proprio baule infilò biancheria, pentole, tovaglie, lenzuola, una bicicletta di marca Rotense e un orologio a pendolo. Prospero non era felice e ricorda i particolari della partenza:

All’alba scendemmo verso la piazza, lasciando indietro la nostra casa in mezzo alla nebbia. Sentivo solo il rumore dei nostri passi e mi rendevo conto che stava succedendo qualcosa di straordinario.

Dopo una breve pausa, quasi parlando più a se stesso che a me, ha aggiunto: «Dissi a me e alla mia città: “chissà se ti vedrò ancora”».

Prospero e la famiglia presero l’autobus in piazza Arcangelo, poi dalla stazione Tricarico presero il treno che li avrebbe portati a Napoli. Al porto, Prospero rimase impressionato dalle dimensioni della nave: «Si chiamava Conte Grande ed era tutta bianca» racconta.

nave conte grande argentina
La nave Conte Grande

A mezzanotte la nave salpò e quando si svegliò Prospero si ritrovò per la prima volta in vita sua in mezzo al mare. «Un giorno fecero una prova di evacuazione ma nella confusione generale non si capiva cosa stesse succedendo e mamma aveva paura che stessimo per affondare» ricorda. Fu l’unico momento di paura in un viaggio che si rivelò una scoperta: la nave passava in Africa e in Brasile e Prospero vide per la prima volta le persone di colore, persone arabe, col turbante, frutti esotici.

«Durante il viaggio familiarizzai con l’immensità dell’oceano, mi piaceva andare a prua a guardare i pesci che volavano alti prima di cadere di nuovo in acqua» ricorda Prospero, non senza sentimento. La poppa invece la evitava perché gli ricordava di starsi allontanando da casa.

I momenti più tristi erano le sere, quando tutti in coro cantavamo “Terra Straniera”, “Luna rossa”, “O sole mio” e “Non ti scordar di me”.

Diciannove giorni dopo la nave Conte Grande approdò a Buenos Aires e la prima cosa che impressionò Prospero fu l’acqua marrone del Rio de la Plata. «C’era tanta gente che tirava caramelle, serpentine, c’era un’aria di festa e anche un’orchestra che suonava. Io guardavo quella gente e pensavo a chi potesse essere mio padre».

Prospero aveva sette anni e l’unico rapporto che aveva avuto con il padre era quello epistolare: «Caro papà ricordati di noi che siamo tuoi figli e anche della nostra mamma, che tu da lontano soffri e noi vicino anche soffriamo, speriamo che presto finisce questa solitudine e abbracciarci al più presto, ti baciamo forte forte» dice una delle sue lettere.

Lettera di Prospero al padre

Un desiderio di conoscerlo che però fu deluso dalla realtà. Quando vide suo padre, Prospero lo guardò con curiosità. «Non provavo nessun sentimento, forse, la paura. Quell’uomo era mio padre ma anche un estraneo. Come fai a provare sentimenti per qualcuno che non conosci?».

La famiglia riunita si spostò a Villa Fiorito, l’umile città dove crebbe Maradona, poi si spostò a Pérez, in provincia di Santa Fe. «Mi impressionavano la pianura infinita, le strade di terra, i pochi carri. Non c’era niente: era tutto da fare».

Arrivati alla città del padre, la famiglia iniziò a costruire la casa. «Io lavoravo meno perché ero piccolo. Mia madre invece lavorava tutto il giorno col fazzoletto sulla testa. La domenica altri migranti italiani venivano ad aiutarci a costruire il tetto».

I lavori durarono dieci anni. Dieci anni di “vita frenetica”, come li definisce Prospero: «Dovetti imparare la lingua anche se in casa si parlava dialetto. A scuola usavamo il grembiule bianco, mentre in Italia usavamo quello nero, e i maestri erano più gentili. In classe festeggiarono tutti l’arrivo del “nuovo gringo” e mi trattarono tutti “benissimamente”».

Appassionato di arte e fotografia, dopo le elementari Prospero proseguì gli studi nella scuola d’arte di Rosario, una delle città più grandi dell’Argentina. «Non so se in Italia avrei avuto le stesse opportunità» confessa «ma dell’Italia mi mancano il panorama, la neve, l’estate, il fiume Basento, i suoni della campagna, le campane della chiesa, i giochi. Per fortuna da giovane mi consolavo ballando Modugno».

Per questo Prospero è spesso tornato in Italia: «Faccio fatica a dire di essere solo argentino. In famiglia leggevamo il Corriere dell’Italiano. L’italiano ben parlato mi piace per come suona, mi piacerebbe saperlo parlare bene. Io mi sento italiano». Tuttavia, le volte che si è spostato in Italia, la condizione di Prospero è sempre stata quella di sentirsi “senza identità”: «Quando vado in Italia sono argentino, quando sono in Argentina sono italiano» scherza.

famiglia sapone
La famiglia Sapone in Argentina

Alcuni mesi dopo questa intervista, il 5 luglio 2019, Prospero ha perso la vita in seguito ad un incidente domestico e ha lasciato la moglie Lucía e quattro figli. «Sapone, come discendente della Basilicata, fu scelto presidente della Federazione delle Associazioni Italiane di Córdoba, la casa madre che sostiene le comunità italiane della provincia» si legge su un articolo di un quotidiano cordobese. In suo onore, un corteo funebre ha riempito la città il 10 luglio scorso.

Quella di Prospero Sapone è stata una vita consacrata all’Italia, alla sua identità e alla sua cultura. Ascoltare la sua memoria e vederla scontrarsi, ora, con il silenzio della morte, ci ricorda quanto sia importante tenerla viva. L’Italia e la fotografia furono due grandi passioni di Prospero e, oggi, al suo nome è intitolato il concorso di fotografia “Prospero Sapone” con sede a Cordoba.

Il paese credi di lasciarlo, ma non è così

mi aveva detto Prospero durante il nostro incontro. È vero: Prospero ha portato l’Italia con sé per tutta la vita. Nella sua memoria, oggi, custodiamo un pezzo di vita importante del nostro paese.

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Nordico con le radici nel Sud, studia critica letteraria a Trento, insegna tedesco e italiano in Alto Adige e scrive per alcuni giornali locali. Ha lavorato per alcuni anni con persone di strada e migranti e vorrebbe scrivere di professione, perché pensa che siano le storie a dare senso al mondo. Il sogno? L'Africa.
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