Please Please me: l’album che cambiò la storia della musica3 min read

23 Marzo 2015 Cultura -

Please Please me: l’album che cambiò la storia della musica3 min read

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please-please-meEra il 22 Marzo del 1963 quando “Please, Please Me”, il primo album dei Beatles, vide la luce. Furono sufficienti solo quindici ore di registrazione, appena quattrocento sterline e quattordici canzoni per cambiare radicalmente e per sempre la storia della musica.

L’11 Febbraio di quel 1963 nessuno tra i presenti allo Studio 2 di Abbey Road avrebbe mai neanche lontanamente potuto immaginare che ciò che si era in procinto di fare sarebbe passato alla storia: in quello studio c’erano quattro ragazzi di Liverpool con poca esperienza alla spalle ma con tutti i connotati per diventare una band completa, originale e sicuramente geniale. Quei quattro erano i Beatles.

Durante quella giornata che mi piace definire catartica, i quattro coleotteri inglesi registrarono tutti i brani di “Please Please Me”, esclusi i due che erano già usciti come singoli, e cioè Love Me Do e Please Please Me.

Chi ebbe la fortuna di trovarsi lì in quel giorno fortunato lo ricorda e lo racconta oggi come una bella favola, in cui anche i dettagli sono belli da ascoltare: le caramelle e i litri di latte caldo con cui un John Lennon costipato cercava di fronteggiare il suo raffreddore, per esempio.

George Martin, il profetico produttore dei Beatles (o, più semplicemente, il “quinto Beatle”), inizialmente avrebbe preferito registrare un concerto dei quattro dal vivo al Cavern Club di Liverpool, per poi realizzarne una riproduzione su disco. Ma la Parlophone, l’etichetta discografica che li adottò dopo tante porte clamorosamente sbattute in faccia, voleva assolutamente capitalizzare nel modo più veloce possibile il successo ottenuto con il singolo Please, Please Me. Così tanto veloce da non poter aspettare che a John passasse il raffreddore.

Il peso storico dell’album, ad ogni modo, non stava solo nell’essere il primo del gruppo che sfoggia la più grande discografia della storia della musica pop, ma anche nell’aver rivoluzionato il concetto stesso di album. Nei primi anni 60, infatti, capitava spesso che un artista, reduce dal successo di un unico singolo, si affrettasse a pubblicare un album con lo stesso titolo. Ma, altrettanto spesso, si rivelava essere una schietta e disperata operazione commerciale, priva di fini artistici, che consisteva quasi sempre in una sequenza di cover.

I Beatles, invece, sfidarono con successo le regole dell’epoca: scelsero, infatti, di registrare materiale scritto interamente da loro (vincendo l’opposizione anche di George Martin, che avrebbe voluto utilizzare altri brani scritti da autori professionisti), stravolgendo tutti i preconcetti relativi agli LP.

La migliore qualità di questo 33 giri rispetto alla concorrenza dell’epoca fu evidente: il pubblico inglese gli tributò una sensazionale accoglienza, mantenendolo al numero uno delle classifiche per oltre 30 settimane, prima che venisse scavalcato. Da cosa? Dal successivo LP del gruppo: “With The Beatles”.

Fu così che prese il via la “Beatlemania”, fenomeno sociale e antropologico che nell’ultimo mezzo secolo non ha ancora conosciuto battuta d’arresto. Ben cinque decenni dopo ne sentiamo ancora l’eco del successo e quella prima immagine, la copertina dell’album, con la band che si sporge dalla ringhiera delle scale della casa discografica londinese è sempre impressa nella nostra mente.

E voi, non ne sentite la nostalgia?

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Da biologa pentita, procedo in direzione contraria al buon senso e mi rifugio a Milano per studiare Scienze della Comunicazione, dopo anni di vagabondaggi alla ricerca della pace interiore. Così, la riscopro nella Tequila, nei concerti al Magnolia, nelle canzoni coi finali tristi, nelle newsletter di Rockit e nelle pagine del Rolling Stone. Adoro ossessivamente X-Factor e odio il fatto che Sanremo coincida con la sessione invernale.
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