Perché voterò sì al referendum del 17 aprile3 min read
Reading Time: 3 minutesDomenica prossima, 17 Aprile, è chiesto a tutti i cittadini italiani di esprimersi su un tema complicato ma strategico per il futuro sostenibile del paese. Il quesito del referendum ci chiede se vogliamo permettere il rinnovamento delle concessioni per la estrazioni di idrocarburi entro le 12 miglia marittime.
L’ambito d’azione effettivo di questo referendum è molto limitato, ma la sua portata strategica è di notevole importanza. Avrei voluto che il dibattito sulla decarbonizzazione della nostra economia, ed il conseguente sviluppo di un piano per un sistema energetico sostenibile e resiliente, fosse avvenuto per volontà e visione delle istituzioni predisposte e non per contrapposizione popolare ed istituzionali (vedi le assemblee regionali) alle decisioni degli ultimi due esecutivi (Monti e Renzi).
Per la prima volta nella storia della giovane democrazia italiana un referendum viene promosso delle Assemblee Regionali, quelle Regioni che insieme alle amministrazioni locali dimostrano come un paese sia in grado di trasformare il mercato energetico riducendo il consumo negli ultimi tre anni dello stesso quantitativo che producono i 12 siti in discussione. Dico questo perché se qualcuno afferma che andremo a comprare il gas dai paesi nordafricani o dalla Russia, io dico NO. Con un piano nazionale per l’efficienza energetica possiamo, nei prossimi 5-10 anni (il tempo di decomissioning delle piattaforme), ridurre i nostri consumi dello stesso mancato approvvigionamento. Questo è possibile con un investimento serio e robusto nella cultura del risparmio energetico e non solo nel risparmio energetico.
La differenza non è banale. Significa che non basta dire agli italiani di cambiare lampadine, ma occorre un progetto culturale che gli fornisca quegli strumenti di senso che modificano il loro stile di vita e le loro scelte pratiche e politiche, rendendoli felicemente convinti di ciò. Questo a partire da una mobilità che non confonda la Sostenibilità con il metano dell’ENI e di FCA, ma guardi alla mobilità leggera e collettiva come sta avvenendo a Milano, Bologna, Torino, Bari ed Cagliari ed in tanti altri comuni italiani.
Non dobbiamo nemmeno dimenticarci che l’obiettivo di efficienza energetica è parte degli obblighi internazionali che abbiamo assunto a Parigi alla COP21 e sono parte delle direttive della Commissione Europea. Direttive che andremo a violare, con relativi costi aggiuntivi per le casse dello stato, se questo referendum non raggiungesse il quorum e la maggioranza dei SI.
Dire “Sì”, significa sostanzialmente dare uno strattone al conducente per fargli cambiare direzione generale. Significa dirgli che siamo stufi dell’economia del petrolio, di tutti i suoi derivati e legami personali, e soprattutto dell’ideologia a cui continua ad abituarci. Significa che non vogliamo che in questo Paese ci siano investimenti tanto in rinnovabili quanto in petrolio, ma solo nelle prime. La nostra battaglia non è ideologica ma si fonda su una strategia e politica energetica chiara. Consapevoli che il gas sarà il nostro vettore energetico verso la transizione alle rinnovabili, dobbiamo cominciare a ridurre la nostra dipendenza gradualmente. Ci sembra che 5/15 anni siano un periodo adeguato vista la maturità delle tecnologie disponibili ed il bisogno di occupazione lavorativa che solo le rinnovabili garantiscono.
Il mio sì di domenica è motivato dalla convinzione che fermare le concessioni sia un primo passo per obbligarci come sistema ad investire e progettare le alternative necessarie per la decarbonizzazione della nostra economia. Questo perché oggi investire sulle rinnovabili significa innovazione, occupazione, aumentare la resilienza del nostro sistema energetico e ridurre la povertà energetica per favorire l’inclusione sociale.
Ecco perché il 17 aprile voterò sì.