Perché tanti pakistani scappano dal Pakistan?8 min read

5 Marzo 2022 Migrazioni -

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Giornalista

Perché tanti pakistani scappano dal Pakistan?8 min read

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Il Pakistan è la quinta nazione più popolosa al mondo con i suoi 227.834.082 abitanti ed è la settima per numero di emigrati con più di 6 milioni di persone in giro per il globo. Di queste, oltre 130 mila sono in Italia, un dato in continua crescita. Come mai questi flussi? Come mai i pachistani fuggono dal proprio paese?

Breve storia recente del Pakistan

Tutto nella storia di questo paese è controverso, perfino il nome che secondo alcuni si compone delle lettere iniziali di tre territori che lo compongono o che gli fanno da confine: il Punjab, l’Afghania e il Kashmir. La sua è una storia ricca di sanguinosi conflitti e instabilità politica.

Nel 1947 le estremità nordoccidentali e nord-orientali dell’India ottengono l’indipendenza per volontà del viceré indiano e diventano il Pakistan. Alla base della decisione vi sono i forti contrasti culturali fra indù e musulmani: questi ultimi sono presenti in gran numero nella colonia britannica ma rimangono una minoranza spesso oppressa in alcune regioni del Paese. Quella passata alla storia come la “partizione” provoca l’esodo di 15 milioni di persone decise a spostarsi fra Pakistan e India in base alla propria religione e origine etnica.

In queste circostanze non mancano episodi di violenza, con le maggioranze etniche che finiscono per scacciare o perseguitare le minoranze dalle varie zone. Si calcola che a causa dell’esodo di quei giorni siano morte circa un milione di persone. Una nascita travagliata per il Pakistan, caratterizzata da violenza e morte che andranno avanti per tutti i 70 anni successivi.

Per decenni Pakistan e India hanno portato avanti una vera e propria guerra di confine, con gli eserciti dei due Paesi che hanno continuato ad invadere ed occupare i territori reciproci lungo il confine. La guerra del Kashmir nasce proprio a causa della volontà dell’India di ostacolare le mire espansioniste del Pakistan. Nel 1971, a seguito delle elezioni politiche, il Presidente pakistano Yahya Khan rifiuta di concedere una rappresentanza governativa al Pakistan orientale. Ne consegue una guerra civile che finirà per coinvolgere anche la stessa India. Proprio grazie all’intervento degli odiati vicini, il Pakistan orientale ottiene l’indipendenza e diventa l’attuale Bangladesh.

Nei decenni successivi, il Pakistan ha attraversato diversi crisi politiche che hanno portato ad alternanti fasi di governi autoritari e democratici. Nel 1999 il generale Pervez Musharraf porta a compimento un colpo di Stato sulla scia di una vasta sollevazione popolare scatenata dal crescente autoritarismo e le voci di corruzione del governo di Nawaz Sharif. Anche se inizialmente inizia un nuovo processo di democratizzazione, Musharraf finisce col concentrare su se stesso tutto il potere ricostituendo di fatto un regime autoritario, che dura fino al 2008, quando Asif Ali Zardari, marito di Benazir Bhutto, leader dell’opposizione uccisa in un attentato nel 2007.

Dopo altri 5 anni di governo Sharif, poi condannato a 10 anni di carcere per corruzione, dal 2018 il paese è sotto la guida del governo del premier Imran Khan, ex giocatore di cricket e leader della formazione populista del Pti, il Movimento per la giustizia del Pakistan.

Ulteriore fattore di instabilità è il ritorno dei Talebani al potere nel vicino Afghanistan il giorno di Ferragosto del 2021. Con gli studenti islamici, il Pakistan ha da sempre un rapporto ambiguo che per certi versi ricorda la dialettica servo-padrone del filosofo tedesco Hegel: una creatura dominata che finisce col tempo per controllare il suo padrone. Così almeno la pensa il giornalista Ahmed Rashid nel suo libro Talebani. Islam, petrolio e il Grande scontro in Asia centrale del 2001, edito da Feltrinelli.

Nella capitale Islamabad nel corso dei decenni le dittature militari si sono succedute a fragili governi civili, ma anche quando, come in questo momento, il governo in carica scaturisce dalla volontà popolare espressa nelle urne, non si deve trascurare mai il ruolo dei militari, in particolare dei potenti servizi segreti dell’Isi, l’Inter-Services Intelligence, una sorta di vero e proprio “stato nello stato” con una propria politica estera, soprattutto per quel che riguarda l’Afghanistan.

Nei sogni dell’Isi c’è da sempre il progetto di mettere sotto tutela l’Afghanistan nel nome della comune etnia pashtun (oltre il 40% della popolazione afghana è di origine pashtun, mentre in Pakistan la percentuale supera il 25%). Lo scopo ultimo dei militari pakistani è utilizzare il suo vicino per acquisire la profondità strategica necessaria all’eterno confronto politico-militare con l’India.

In realtà, quello che il Pakistan ha acquisito in questi anni è un secondo fronte (il primo è quello costituito dal Kashmir, regione contesa con l’India) che gli porta in casa instabilità, profughi e terrorismo. Tutti motivi che contribuisco all’emigrazione di molte cittadine e molti cittadini pakistani.

ragazzo pakistano
@Steve Evans

Da cosa scappano i pakistani

La violenza politica e le tensioni etnico-nazionali sono quindi elementi costanti nella vita sociale in Pakistan. Basti pensare alla lunga teoria di colpi di Stato militari, all’assassinio della leader del Partito popolare pakistano Benazir Bhutto, avvenuto durante una campagna elettorale il 27 dicembre 2007, allo stato di mobilitazione permanente e a tratti di confronto bellico vero e proprio con l’India nella regione contesa di confine del Kashmir e, infine alla presenza di vari gruppi armati fondamentalisti (ad esempio il Tehreek-e-Taliban, i talebani pakistani) soprattutto nella regione Khyber Pakhtunkhwa. Un’area, quest’ultima, che include le aree tribali pashtun al confine con l’Afghanistan con il quale Islamabad intrattiene rapporti ambigui che oscillano tra l’appoggio al nuovo regime talebano e le controversie territoriali di confine.

Per la sola lotta al terrorismo, stando a dati forniti dai militari pakistani nel 2021, ci sono stati oltre 80 mila morti negli ultimi venti anni. La carica di violenza che scaturisce dalla società pakistana è così forte da mettere in ombra anche lo sviluppo economico di cui bene o male il paese è protagonista, dato che tra il 2010 e il 2018 è riuscito a garantirsi un tasso di crescita annuo del 4,1%, nonostante la scarsità di infrastrutture e il peso primario che detiene ancora l’agricoltura. L’industria invece è soprattutto rappresentata da un settore povero come quello tessile che peraltro risente della concorrenza cinese.

D’altra parte anche una crescita economica di oltre il 4% non è sufficiente se messa in rapporto con una popolazione così numerosa e con una forte crescita demografica, pari al 2%. Questo spiega perché nel 2018 oltre 6,3 milioni di pakistane e pakistani abbiano deciso di trasferirsi altrove. L’età è un fattore molto importante: la percentuale molto alta di giovani presenti in Pakistan (l’età media è di 23 anni), pari a oltre il 27,5% della popolazione nella fascia dai 15 ai 29 anni, incrementa la disponibilità a cercare un futuro oltre i propri confini.

Dove emigrano i pakistani

L’emigrazione è una risorsa strategica per il Pakistan. Ma dove si dirigono gli emigrati pakistani? Secondo i dati forniti dalla Caritas (pdf) relativi al 2019 i paesi di accoglienza di pakistani sono rappresentati nell’ordine dall’Arabia Saudita con 1.447.071 persone, dall’India con 1.082.917 e dagli Emirati Arabi Uniti con 981.536 immigrate e immigrati.

Una quota dei flussi provenienti dal Pakistan si dirige anche verso l’Europa e in particolare verso l’Italia, dove risiede una comunità composta da 131.173 persone regolarmente soggiornanti, nona comunità straniera in Italia per numero di appartenenti al 1° gennaio 2020. Dati confermati anche nel periodo più recente, considerato che delle oltre 4.800 domande di asilo avanzate ai paesi dell’Unione Europea da pakistani nei primi quattro mesi del 2021, quasi la metà era indirizzata al nostro paese.

Dai dati del Ministero del Lavoro (pdf), emerge che il 68% delle pakistane e dei pakistani in Italia risiede nel nord. La comunità ha un tasso di occupazione del 52,5% tra i 15 e i 64 anni ed è fortemente impegnata nel settore del commercio e della ristorazione con il 35% del totale degli occupati a fronte di una media degli altri gruppi di non comunitari del 24%. Nel 2019 le rimesse verso il paese d’origine dei pakistani in Italia hanno raggiunto la cifra di 408 milioni di euro pari all’8% del totale delle rimesse verso paesi terzi con un aumento del 15,2% rispetto all’anno precedente.

L’Italia è quindi una delle mete più popolari fra i pakistani emigrati, superata nel continente europeo solo dal Regno Unito, paese di storica immigrazione dal Pakistan, dove la comunità di persone provenienti da quel paese conta oltre 537 mila persone. Sono invece circa 80 mila in Germania e 27 mila in Francia.

Cosa resta in Pakistan

Il Pakistan è uno Stato musulmano moderno, che fa parte delle Nazioni Unite e del Commonwealth ed è una potenza nucleare a tutti gli effetti. Il conflitto decennale con l’India in Kashmir e la lotta contro i talebani sulle alture afghane hanno trasformato i confini del paese in due fronti fronti di guerra perenni. La popolazione civile che non ha modo di fuggire rimane coinvolta negli scontri e si sono formate anche diverse sacche di resistenza locali che non fanno che aumentare le violenze. L’instabilità politica che ha da sempre caratterizzato il governo pakistano ha contribuito a consolidare lo spettro di incertezza e scarsa sicurezza diffuso fra i cittadini.

Dal punto di vista economico, il Pakistan rimane uno Stato solido, ma con alcune evidenti carenze infrastrutturali, di capacità di attrarre capitali stranieri e di scarsa produttività dell’agricoltura. Il governo di Islamabad spera di poter superare tali difficoltà attraverso l’alleanza con la Repubblica popolare cinese, nell’ambito della Nuova Via della Seta o Bri, Belt and Road Initiative, promossa da Pechino.

In quest’ottica il Pakistan si attende investimenti per 60 miliardi di dollari, mentre la Cina intende utilizzare il corridoio pakistano per aggirare il blocco politico-militare che gli Stati Uniti e i loro alleati tra i quali c’è l’India pongono alla sua influenza e alle sue merci sul fianco sud-orientale del paese.

La scelta del partner cinese per il Pakistan è divenuta essenziale anche a causa della crisi che invece vivono i suoi storici rapporti con gli Stati Uniti, nonostante questi ultimi abbiano contribuito al suo status di potenza nucleare. A dividere in questo caso gli Usa dal Pakistan ci sono i delicati dossier riguardanti l’Afghanistan e in generale i rapporti con il fondamentalismo sunnita.

Mentre il governo pakistano attende di raccogliere i frutti economici dell’alleanza con la Cina, al momento proprio le rimesse degli emigrati all’estero costituiscono ancora una risorsa preziosa che quattro anni fa era arrivata alla cifra di oltre 21 miliardi di dollari. Per questo rimane strategico per molte famiglie optare per la strada dell’emigrazione, considerato soprattutto l’alto numero di giovani presenti nel paese e pronti ad affrontare le sfide che l’emigrazione comporta.

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Quello che più mi piace è la parola scritta, il contrasto tra il nero del testo e il bianco della pagina. In sintesi sono un giornalista: amo scrivere, amo raccontare.
Commento
  1. Elena Parini

    Mi pare un articolo di sintesi abbastanza affidabile e ben scritto che considera alcuni passaggi essenziali nella storia del Pakistan. Qualche punto però viene sfiorato, con scarso approfondimento, come il ruolo e il rapporto tra le religioni e forse anche il ruolo della società Pashtun con i suoi tratti che forse sarebbe stato il caso di mostrare un po' di più.

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