Perché milioni di siriani fuggono dalla Siria9 min read

17 Aprile 2018 Migrazioni Politica -

Perché milioni di siriani fuggono dalla Siria9 min read

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Continuiamo il nostro viaggio per approfondire i contesti di partenza dei migranti e le ragioni per cui molte persone partono da determinati paesi e regioni, così come ci avete chiesto voi sulla nostra pagina Facebook. Oggi approfondiamo il perché dell’esodo siriano, senza dubbio una delle migrazioni più massicce della storia a causa della tristemente nota guerra civile che dal 2011 distrugge territori e popolazioni.

Siria: le basi per orientarsi

Il 15 marzo del 2011 iniziano nelle piazze siriane le prime proteste contro il regime di Bashar al Assad. Sull’onda delle primavere arabe, i siriani cominciano a manifestare apertamente contro l’autorità repressiva del governo, che risponde in maniera violenta alle contestazioni. Gli scontri in breve tempo degenerano e si aprono dei veri e propri fronti di guerra fra oppositori e forze governative. Nasce in questo contesto l’Esercito siriano libero (ESL, in inglese FSA), prima formazione ribelle organizzata nata dalla diserzione di alcuni reparti dell’esercito regolare. Ben presto nascono nuove cellule di ribelli con radici e scopi diversi, ma lo stesso obiettivo nel breve periodo: rovesciare Assad. Europa e USA si schierano a fianco dei nuovi gruppi di oppositori del regime allo scopo di destituire il dittatore, mentre Russia e i paesi sciiti vicini (Iran e Hezbollah libanesi) si schierano a fianco dell’alleato Assad. Nella Siria devastata da mesi di bombardamenti e scontri tra milizie, nel 2014 gruppi jihadisti ribelli rivendicano la loro appartenenza all’Isis e il Califfato entra ufficialmente fra le forze in gioco per il controllo del Paese. Durante sette anni di conflitto, gli scontri fra lealisti di Assad, ribelli e jihadisti hanno distrutto intere città e causato almeno 350 mila vittime, secondo le stime dell’Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus).

Ad oggi la situazione in Siria è questa: lo Stato Islamico è stato ormai respinto dai territori siriani dopo la caduta della sua capitale in Siria, Raqqa, per mano dei ribelli e delle forze curde; Assad ha riconquistato buona parte dei territori controllati dagli oppositori grazie al prezioso supporto militare della Russia; le diverse milizie ribelli controllano ancora città e territori sparpagliati in tutto il Paese (la più importante è Idlib, considerata la capitale della coalizione anti-Assad), ma l’aperto supporto dell’Occidente è venuto meno dopo l’intervento diretto della Russia e dopo che buona parte della Siria è tornata sotto al controllo del regime; il nord del Paese è invece in mano alle milizie curde, decise a rimanere indipendenti e posare le prima pietra per la fondazione di uno Stato libero curdo. Gli scontri continuano in tutto il territorio, in una sorta di guerra tutti contro tutti dove a pagare il prezzo più alto sono, come in tutte le guerre, i civili. Sempre secondo i dati dell’Ondus, 11 milioni di persone sono sfollate, oltre metà dell’intera popolazione siriana: 5 milioni di profughi sono fuggiti dal Paese e mentre altri 7 milioni sono ancora al suo interno.

donna siriana rifugiata in campo profughi libanese
@wikimedia commons

Da cosa scappano i siriani?

Nel 2015 il Berlin Social Science Center ha condotto una ricerca denominata Listen to refugees per capire quali siano le motivazioni che spingono i siriani a lasciare i proprio Paese e quali elementi potrebbero permettere il loro ritorno. Secondo lo studio i principali motivi sarebbero:

• il timore di essere presi come ostaggio (35,1%)
• la paura di danni fisici causati dal conflitto (28,15%)
• il terrore di finire coinvolti nell’esplosione di una barrel bomb (28%)

Le barrel bomb sono grandi contenitori di metallo imbottiti di esplosivo, rottami, bulloni e ferraglia che vengono solitamente sganciati da elicotteri in mezzo alle zone frequentate dai civili. Con la detonazione, i pezzi di ferro schizzano intorno causando ingenti danno a tutto quello che si trova nell’area dell’esplosione. Secondo Human Rights Watch, sono stati usati per anni dalle forze governative di Assad come arma psicologica per il controllo della popolazione civile nelle zone contese.

Molti dei civili in fuga sono persone benestanti che non vogliono affrontare sulla loro pelle le conseguenze di una guerra voluta da altri: non sono disposti a combattere e perdere la vita per il regime o per un ideale di libertà ad oggi più che mai effimero. Molte minoranze etniche sono state colpite duramente non solo dall’occupazione dell’Isis, ma anche da quella di gruppi di ribelli più radicalizzati. Questo ha portato a un vero e proprio esodo etnico verso certe zone del Paese o verso gli Stati limitrofi.

La percezione diffusa fra i civili in fuga è quella di essere diventati un vero e proprio obiettivo militare nello scacchiere della guerra siriana. Colpire i civili sarebbe diventata una strategia per destabilizzare il territorio e manipolare i consensi dell’opinione pubblica internazionale. È dunque evidente che, per chi ne ha la possibilità, fuggire è l’unico orizzonte di sopravvivenza e l’unica speranza per tornare ad essere padroni del proprio futuro, invece che inermi strumenti di guerra a disposizione delle forze militari in gioco. Questo tipo di lettura viene confermata anche dalle motivazioni che potrebbero spingere i profughi a tornare in Siria: il 58% degli intervistati pensa che i siriani potrebbero rimanere in Siria se fosse prevista una no-fly zone per fermare le barrel bomb e gli attacchi aerei, mentre il 68% prenderebbe in considerazione l’idea di rientrare in Siria se cessasse il conflitto. Tuttavia la permanenza di Assad rimane una condizione vincolante, in quanto il 52% tornerebbe in patria solo a patto che il dittatore lasciasse il potere.

In realtà un numero di siriani (ancora) ridotto sta tornando nel suo paese, a causa delle condizioni insostenibili vissute come profughi nei paesi limitrofi.

Dove scappano i siriani?

Prima del conflitto, la Siria contava 22 milioni di abitanti. Dallo scoppio della guerra, più di 5 milioni di persone sono fuggite dal Paese, buona parte di loro negli Stati limitrofi. Secondo i dati raccolti dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), i profughi siriani si sarebbero così divisi:
• più di 2 milioni in Turchia, provenienti principalmente dalla città di Aleppo (il 36%) e dalle altre zone vicine al confine turco, attualmente contese dalle forze governative di Assad e varie fazioni ribelli fra cui anche l’Esercito siriano libero sostenuto dagli USA. Diversi provengono anche dalla capitale ribelle Idlib (il 21%) in fuga soprattutto dai bombardamenti del regime.
• Quasi un milione e mezzo in Libano, provenienti sopratutto da Damasco e Homs, ma si contano anche diversi profughi da Jebel Saman, Idlib, Hama, Al Ma’ra e Raqqa.
• Più di mezzo milione in Giordania, provenienti per la maggior parte da Dar’a, città controllata dai ribelli assediata dai bombardamenti governativi e dalle famigerate barrel bomb.

L’ultimo milione è dislocato nei vari Paesi europei: secondo gli ultimi dati raccolti ad aprile 2017, il 65% dei rifugiati siriani si divide fra Germania e Svezia, il 21% tra Ungheria, Austria, Olanda, Danimarca e Bulgaria, e il restante 14% è sparso in piccole percentuali nei paesi rimanenti. L’Italia ne avrebbe accolti “solo” 4000, meno dei 15.000 della Francia, gli 11.000 della Spagna e soprattutto i 14.000 della Svizzera. Diverse realtà del nostro Paese hanno comunque attivato ponti umanitari che permettono alle famiglie fuggite in Libano e Turchia di raggiungere il nostro suolo nazionale in sicurezza per via aerea.

rifugiati siriani
@pixabay

Quello che rimane della Siria

In buona parte delle città liberate rimangono solo macerie, ma si possono ancora trovare diversi civili che vivono nelle casa sopravvissute agli scontri e ai bombardamenti. Se non hanno imbracciato le armi coi ribelli, buona parte di coloro che sono rimasti lo hanno fatto per attaccamento alla patria e fiducia in Assad. E anche chi non è fuggito per ragioni di opportunità, sembra ormai essersi convinto che la sua conferma alla guida del Paese rappresenti il male minore. Ormai il governo del dittatore appare per buona parte dei civili l’unica garanzia reale per una ricostruzione dopo la guerra, anche se i conflitti sono lontani dall’essere conclusi. Le minoranze rimaste sul territorio, prima fra tutte quella cristiana, sostengono pienamente Assad, visto come l’unico interessato a garantire la pace e l’integrazione fra i cittadini siriani rimasti. Sono ormai in pochi ancora a sperare in una “liberazione” dal regime e chi ha smesso di crederci o è già fuggito o è sul punto di farlo.

Il governo siriano ha comunque previsto un piano per il reintegro dei profughi siriani, qualora decidessero di tornare dopo la conclusione della guerra: in tante zone del Paese mancano infatti giovani uomini ed è ormai chiaro che la Siria avrà forti difficoltà a rinascere senza le sue migliori forze fuggite nel corso di questi anni di conflitto. I funzionari siriani hanno più volte accusato l’occidente anche di voler boicottare i tentativi di rimpatrio nelle zone liberate, poiché non riescono ancora a coordinarsi per un piano comune in questa direzione. Anche se l’esito della guerra è ancora da scrivere, come dimostrano i bombardamenti anglo-franco-americani di metà aprile, è evidente come la riconferma di Assad al potere rimanga lo scenario più plausibile e auspicato dai siriani decisi a ricostruire la propria patria dalle macerie del conflitto.

Perché i siriani emigrano?

I civili siriani fuggono da una guerra della quale, loro malgrado, sono stati protagonisti e vittime. A fuggire sono soprattutto le famiglie benestanti, quelle che hanno perso casa e possedimenti a causa dei bombardamenti e degli scontri. Chi per svariate ragioni non ha modo di fuggire dal Paese per evitare il conflitto, rimane in patria come profugo interno. La paura più grande rimane quella di essere presi di mira come veri e propri obiettivi militari: armi chimiche, barrel bomb, rapimenti ed esecuzioni sono realtà di guerra con cui i siriani convivono quotidianamente da ormai più di sette anni. Anche dopo la fine delle ostilità, non è detto che molti dei profughi attualmente dislocati in Asia ed Europa decida di tornare in Siria, soprattutto se Assad verrà riconfermato al potere.

Tolti coloro che non sono riusciti ad andarsene dal Paese per mancanza di opportunità, chi è rimasto malgrado la paura perenne spera nella pace e stabilità promesse da Assad. La Siria è sempre stato un Paese variegato, con cittadini di tante etnie e culture diverse. Il dittatore si è sempre dimostrato aperto verso le numerose minoranze e volenteroso nel promuovere un’integrazione totale della società siriana. Per questo, malgrado la repressione e il controllo del regime, molti cittadini siriani continuano a riconoscere in Assad il proprio leader e l’unica speranza per poter tornare alla normalità in un Paese ormai devastato soprattutto dalle sue bombe e da quelle dei suoi alleati.

Il filo

Conoscere quello che succede nel mondo ci rende persone più consapevoli. Ci aiuta a collocare le nostre vite dentro un contenitore più grande, una scatola di senso che ci mette in relazione con persone e contesti lontani eppure sempre più vicini. Ci fa capire meglio le ragioni di fenomeni che sono presenti anche nelle nostre vite, come le migrazioni e i viaggi.

Per questo abbiamo voluto aprire finestre sulla situazione politica, sociale ed economica di molti paesi del cosiddetto “sud del mondo”. Lo facciamo con un attento e costante lavoro di ricerca dei nostri autori e, quando possibile, raccogliendo informazioni di prima mano grazie a contatti che vivono e lavorano nei paesi che raccontiamo. Questo sguardo dal campo è possibile anche grazie alla collaborazione con l’Associazione Mekané, che si occupa di cooperazione internazionale e ha un’estesa rete di contatti con cooperanti in molti paesi. Buona lettura!

Africa: Tunisia, Algeria, Libia, Nigeria, Eritrea, Senegal, Mozambico, Sud Sudan, Zimbabwe.
Asia: Afghanistan, Pakistan, Siria.
Centro e Sud America: Venezuela, El Salvador, Guatemala, Haiti.

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Fiorentino di nascita, Web Marketing Specialist per diletto e Nerd di professione. Si nutre di cultura pop e vive la sua vita perennemente in direzione ostinata e contraria. Per Le Nius supporta l'area editoriale, in ambito politica, e l'area social. matteo@lenius.it
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