Perché Alitalia è sempre in crisi?8 min read

16 Maggio 2017 Politica Politica interna -

Perché Alitalia è sempre in crisi?8 min read

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Perché Alitalia è sempre in crisi? Foto di Alitalia, la compagnia di bandiera italiana
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Alitalia è nuovamente sull’orlo del fallimento. I tre commissari speciali incaricati dal governo ad aprile stanno lavorando duramente per evitarne la liquidazione totale. Ma negli ultimi dieci anni la compagnia di bandiera è già stata salvata ben tre volte grazie agli sforzi dei governi e i soldi dei contribuenti. Vediamo di approfondire la storia di Alitalia e cerchiamo di capire perché, malgrado i continui salvataggi, non è mai riuscita a riprendere il volo.

Storia di Alitalia, una compagnia di bandiera

Alitalia nasce come compagnia nel 1947 e il volo di inaugurazione viene effettuato con un italianissimo Fiat G.12 Alcione sulla tratta Torino-Roma-Catania. Nei primi anni di vita, Alitalia si conferma come leader nel settore del trasporto italiano arrivando a fondersi con la concorrente Linee Aeree Italiane. Diventa così la prima compagnia aerea del Paese. Nel 1960 diventa il vettore ufficiale delle Olimpiadi di Roma, affermandosi come società seria e affidabile anche in ambiente internazionale. Ormai riconosciuta nel mondo come la compagnia di bandiera italiana, nel corso degli anni ’70 vengono aperte le prime tratte internazionali con America e Giappone.

Fino agli anni ’90 la società rimane interamente di proprietà dello Stato, prima attraverso l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), società statale che controllava tutte le partecipazioni strategiche dello Stato, e poi sotto la diretta partecipazione del Ministero del Tesoro. A causa di difficoltà finanziarie legate ai bilanci in perdita e ad alcune scelte strategiche di mercato, nel 1996 il primo Governo Prodi decide di aprire ai privati la possibilità di acquistare le partecipazioni della compagnia di bandiera. Si tratta di fatto del primo tentativo di privatizzazione di Alitalia.

A seguito degli attentati dell’undici settembre 2001, il settore delle linee aeree subisce una grave crisi che porta dei cambiamenti radicali sia alle infrastrutture che all’offerta dei servizi. Alitalia non è in grado di seguire il nuovo corso e dal 2002 al 2005 registra importanti perdite di bilancio dalle quali non si riprende più. Seguendo l’esempio del governo francese che aveva appena privatizzato Air France, il secondo Governo Prodi prova a salvare la compagnia di bandiera vendendo sul mercato il 39% delle partecipazioni della società che erano in mano al Tesoro. Inizia così il processo che porterà Alitalia alla completa privatizzazione.

Un difficile nuovo inizio

La prima gara indetta dal governo per l’acquisto delle quote di maggioranza della compagnia va deserta a causa dei forti paletti e restrizioni incluse nei termini di vendita. Nel 2007 il Governo Prodi ci riprova entrando in trattativa diretta con Air France-KML. Giunti all’accordo per un prezzo di acquisto di 1,7 miliardi di euro nel marzo del 2008, la trattativa subisce una drastica frenata a causa dei sindacati che si rifiutano di confrontarsi con la nuova proprietà. Dopo circa un mese Air France ritira la sua offerta lasciando Alitalia in balia dei suoi conti in rosso. La caduta del Governo Prodi e la presa di posizione di Silvio Berlusconi, papabile prossimo leader di governo, contro la vendita a un interlocutore straniero sono state le motivazioni principali del passo indietro di Air-France.

A maggio, Berlusconi vince le elezioni e viene nominato nuovo Primo Ministro. Nell’estate viene costituita su spinta del nuovo governo la CAI (Compagnia Aerea Italiana), società il cui scopo è rilevare la compagnia di bandiera. La nuova società viene fondata da alcune delle realtà imprenditoriali italiane più importanti del Paese: il gruppo Benetton, il gruppo Riva (proprietari dell’ILVA), il gruppo Ligresti, il gruppo Marcegaglia, la famiglia Caltagirone, il gruppo Gavio, l’imprenditore Marco Tronchetti Provera e la partnership di Intesa Sanpaolo. Da subito cominciano a palesarsi alcuni evidenti conflitti d’interesse, in quanto molte delle società che partecipano alla cordata attraverso la CAI sono concessionari dello Stato (Tronchetti Provera per le frequenze telefoniche e Benetton per le autostrade). La trattativa di acquisto si conclude comunque coi seguenti termini: CAI acquista il marchio Alitalia e la parte “sana” della compagnia (good company) per circa 1 miliardo di euro; i comparti di Alitalia in rosso e i debiti (bad company) rimangono sotto il controllo statale; gli esuberi ammontano a 7.000 lavoratori con sette anni di cassa integrazione pagata dallo Stato. L’ultimo volo della prima storica Alitalia avviene il 12 gennaio del 2009.

L’interminabile crisi di Alitalia: Da Air France a Etihad

Rispetto all’accordo con Air-France, l’acquisto da parte della CAI si rivela molto più svantaggioso: l’offerta finale è di settecento milioni in meno rispetto a quella francese; gli esuberi previsti dal primo accordo sarebbero stati solo 2.000 contro i 7.000 della cordata italiana; con il mantenimento della bad company nelle mani dello Stato, i debiti della compagnia di bandiera sono finiti interamente sulle spalle dei contribuenti. Inoltre, la rimozione del titolo della vecchia Alitalia dalla Borsa per il fallimento controllato è costato caro ai piccoli azionisti e risparmiatori che avevano investito nella compagnia di bandiera. Poco dopo l’accordo, arriva anche la notizia della partecipazione di Air-France come partner strategico della C.A.I che si assicura il 25% delle azioni della nuova Alitalia. La beffa finale è data dal fatto che la cordata italiana finirà per versare solo trecento milioni per l’acquisto della parte sana della vecchia Alitalia, contro il miliardo accordato dalla trattativa.

L’investimento di nuovi capitali non basta comunque a risollevare le sorti di una compagnia aerea incapace di adattarsi al nuovo mercato delle tratte aeree. Dopo altri 2.400 esuberi e il taglio del 20% agli stipendi dei manager della compagnia, nel 2013 si rende assolutamente necessario un nuovo aumento di capitale per scongiurare il fallimento per l’ennesima volta. Arriva in soccorso Poste Italiane che entra nella compagnia azionaria, mentre Air-France diluisce la sua partecipazione. La crisi è scongiurata però solo in maniera temporanea e si comincia a guardarsi attorno per trovare un nuovo acquirente. Alla fine del 2013 la compagnia di bandiera degli Emirati Arabi Etihad Airways conferma ufficialmente di essere in trattativa per l’acquisto della compagnia aerea italiana. Nell’agosto del 2014 viene siglato a Roma l’accordo che prevede l’acquisto da parte di Etihad del 49% delle quote di Alitalia. Il primo gennaio del 2015 viene costituita la nuova “Alitalia – Società Aerea Italiana” controllata attraverso una quota di maggioranza del 51% dalla vecchia Alitalia – CAI, mentre il 49% delle quote finiscono in mano a Etihad Airways.

Un nuovo fallimento all’orizzonte

L’ottimismo per la nuova Alitalia dura purtroppo pochi mesi: la società chiude il suo primo semestre con una perdita di 130 milioni di euro, che a fine anno diventano 199 milioni totali. Alla fine del 2016 le perdite arrivano a 600 milioni. Ormai prossima al fallimento, la dirigenza di Alitalia il 14 aprile di quest’anno ha sottoposto ai sindacati un pre-accordo che prevedeva 980 esuberi, tagli dell’8% agli stipendi e la diminuzione delle ferie per tutti i dipendenti. Il 21 aprile un referendum interno indetto dai sindacati ha però bocciato il piano dei tagli.

Con il rifiuto delle banche di stanziare nuovi finanziamenti, Alitalia ha avviato le pratiche per chiedere il commissariamento e finire in amministrazione controllata. Per evitare nuovamente il fallimento, si dovrà adesso trovare un nuovo partner che sia disposto a investire in una compagnia aerea che in 10 anni è già stata tre volte sull’orlo della liquidazione. Il Governo Gentiloni ha messo a disposizione 220 milioni di euro come aiuto per superare questi mesi e ha dato incarico tre commissari speciali studiare le possibili soluzioni. Gli incaricati designati sono Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari. Ad oggi, i tre si sono occupati di mettere a punto il bando pubblico per le manifestazioni d’interesse e di rinegoziare molti contratti di fornitura e gestione, come quelli per i carburante o il leasing degli aerei. Questa settimana sono attesi in Parlamento per esporre la situazione e i piani per i prossimi mesi in vista di una nuova quasi insperata acquisizione.

Alitalia: i motivi delle crisi

Secondo Andrea Giuricin, docente di economia dei trasporti all’Università Milano Bicocca, scelte di mercato strategiche poco lungimiranti sarebbero alla base delle cicliche crisi di Alitalia. Da sempre le rotte nazionali ed europee costituiscono l’80% delle tratte offerte dalla compagnia di bandiera; la scelta di investire in queste tratte ha portato Alitalia a competere non solo con le compagnie low cost, ma anche con altri servizi di trasporto che offrono la medesima destinazione a costi più accessibili (basti pensare ai treni ad alta velocità). I costi infrastrutturali che Alitalia deve sostenere per il mantenimento dei propri servizi non le permettono di rimanere competitiva rispetto ai concorrenti.

Commentando l’analisi del bilancio 2015 del prof Gaetano Intrieri pubblicata sulla rivista specializzata Avionews, Marco Sodano sulla Stampa evidenzia come:

[Alitalia] spende 6,5 centesimi al chilometro per passeggero, mentre su tratte simili Ryanair si ferma a 3,5. Easyjet dichiara 6 centesimi. […] La manutenzione costa il 40% più della media di settore, 150 milioni l’anno di troppo. Anche i servizi a terra (handling) sono il 20% più costosi della media, gap che vale altri 60 milioni di extra-costi. E100 milioni l’anno si potrebbero risparmiare sul carburante.

Abbattere i costi non sarebbe comunque sufficiente se non vengono rivisti anche i piani dell’offerta dei voli. Su questo punto, continua Sodano sulla Stampa:

Alitalia paga la sua concentrazione sulle rotte a corto raggio, quelle su cui quasi tutti perdono soldi, che pure è stata una scelta strategica precisa fatta dalle ultime due gestioni nell’ipotesi che un partner si occupasse del resto del mondo. Le altre compagnie recuperano profitti sulle lunghe percorrenze o grazie a strategie di gestione molto aggressive, Alitalia è rimasta al palo, non ha le prime e non pratica le seconde.

È evidente come Alitalia stia pagando care le sue debolezze strutturali e, anche in caso si riuscisse a trovare un nuovo “Capitano Coraggioso” che salvi la compagnia, non è detto che riesca a riprendersi se a cambiare non saranno anche le strategie di mercato.

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Fiorentino di nascita, Web Marketing Specialist per diletto e Nerd di professione. Si nutre di cultura pop e vive la sua vita perennemente in direzione ostinata e contraria. Per Le Nius supporta l'area editoriale, in ambito politica, e l'area social. matteo@lenius.it
Commento
  1. gaetano giordano

    Dobbiamo essere felici che il M5S non si sia fatto incastrare dal PD perchè costoro non aspettano altro per danneggiare il Movimento riservando per se medesimi tutte le good company e agli altri le bad.Vedasi la povera Raggi,e ora cominciano anche con l'Appendino.Abituati come sono agli attacchi subdoli (chiamano "pregiudicato" Grillo per essere incorso in un incidente stradale),figuriamoci cosa sarebbero capaci di inventarsi per danneggiare il Movimento,unico baluardo contro le loro Malefatte.SI FACCIANO DA SOLI LA LEGGE ELETTORALE!! Il M5S governerà da solo,assumendosi oneri ed onori,quando avrà il 51% se Dio vorrà!

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