Operazione Sangaris: la Francia in difficoltà nel pantano centrafricano7 min read

19 Dicembre 2013 Mondo Politica -

Operazione Sangaris: la Francia in difficoltà nel pantano centrafricano7 min read

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Il 5 dicembre 2013, dopo l’adozione della risoluzione 2127 da parte dell’ONU, la Francia ha inviato nella Repubblica Centrafricana 1600 uomini a sostegno dei 3000 soldati della MISCA, la missione dell’Unione Africana. In pochi giorni, le forze armate francesi inviate nell’Operazione Sangaris hanno potuto misurare l’ampiezza della sfida: in una settimana i combattimenti e le violenze interreligiose hanno fatto più di 600 morti.

«Questa mattina, un colonnello Séléka ha ucciso un tassista, causando la rivolta di alcuni giovani che hanno impugnato i loro machete e hanno attaccato la sua casa, con alcuni musulmani che sono accorsi in sua difesa. C’è stato uno scontro, delle raffiche di mitra, lancio di missili, ed un’ora dopo, i militari francesi sono intervenuti». Questo è il racconto di un medico ferito, raccolto dal giornalista Cyril Bensimon, che illustra la situazione di un paese che sprofonda nel caos. La Repubblica Centrafricana è un paese molto povero, al 124° posto nella classifica mondiale dello sviluppo.

Da due settimane, l’esercito francese è dispiegato allo scopo di far cessare le tensioni comunitarie ed inter-etniche. Un migliaio di uomini sono stati inviati per sostenere le forze africane (MISCA) e quelle dell’Onu, già presenti sul posto per proteggere i civili, garantire la sicurezza, l’ordine pubblico e la stabilizzazione del paese nel quale, negli ultimi mesi, il clima è divenuto irrespirabile.

La Repubblica Centrafricana vive in un’atmosfera da guerra civile che oppone le comunità l’una contro l’altra: i Séléka contro gli anti-balaka (anti-machete), i cristiani contro i musulmani. La diffidenza è diffusa anche in seno alle famiglie, fratelli e sorelle non si parlano più. Nel cuore del continente nero si scrive la storia della dolorosa e lenta agonia di una nazione.

Repubblica Centrafricana, storia di rivalità e di violenza

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Il 24 marzo, ultimo episodio di una lunga storia di rivalità e violenze, un colpo di Stato ha rovesciato il presidente François Bozizé, salito al potere nel 2003 dopo la deposizione illegale del presidente Ange-Félix Patassé. I due si erano contrapposti nuovamente nel 2011, questa volta però legalmente o quasi. Bozizé fu rieletto per la seconda volta alla fine di uno scrutino sulla cui correttezza vi è qualche dubbio e qualche mese dopo venne costituito un governo d’unione nazionale. Un abile stratagemma per dividere l’opposizione, ma insufficiente per fermare le fazioni armate di opposizione al potere centrale.

Il non rispetto degli accordi di pace del 2007 e del 2008 firmati con questi gruppi per il reinserimento degli antichi miliziani ha suscitato il loro raggruppamento in seno alla Séléka (Unione in lingua sango). Un vero patchwork di fazioni diverse: i ribelli ciadiani e i superstiti del conflitto del Darfour fiancheggiavano i membri del Fronte Democratico del Popolo Centroafricano e quelli dell’Unione delle Forze Democratiche per la Riunificazione, due coalizioni formate nel nord del paese.

Da dicembre 2012 a marzo 2013, sono stati necessari solo pochi mesi per avere la meglio sulle forze armate centrafricane (FACA), disorganizzate e disarmate. Il presidente Bozizé, rifugiato nella Repubblica Democratica del Congo, ha sperato invano fino all’ultimo momento in un intervento della Francia. Il suo omologo francese Francois Hollande, in un primo momento, si è limitato ad adottare misure minime volte a proteggere gli espatriati direttamente minacciati mediante l’impiego dei paracadutisti e di alcuni membri dell’armata francese disposti nel campo di Mopko.

Fin dall’indipendenza del paese dichiarata nel 1960, la Francia ha continuato ad esercitato la sua influenza nella vita politica del paese. Parigi ha sempre piazzato i suoi complici in nome della tutela dei propri interessi. Ancora recentemente, la nazione transalpina non ha esitato ad impiegare il suo esercito nel cuore della savana centroafricana nel 2006 e nel 2007 per cacciare i ribelli di Birao. Sei anni dopo, nulla.

Ci sono parecchi motivi per questo silenzio ed immobilismo. Gli accordi firmati nel 2010 tra i due paesi escludono questo tipo di intervento militare e, sopratutto, gli interessi dell’antica potenza coloniale, sia economici che strategici, non sono più così ingenti come nel passato. Nel 2011, dopo il disastro di Fukushima, Areva aveva annunciato la cessazione provvisoria dello sfruttamento della miniera di uranio. Sul terreno della geopolitica, dalla fine della guerra fredda, la Repubblica Centrafricana non è più lo sbarramento strategico del pré carré francese in Africa. Infine, all’epoca della fuga di Bozizé, l’attenzione del Quai d’Orsay era rivolta alla situazione drammatica del Mali.

Françafrique, cinquanta interventi in cinquant’anni

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Parigi ha infine deciso di inviare le sue forze armate. Il politologo Michel Galy, opponendosi all’ennesimo intervento in Africa, fa i conti: «Cinquanta interventi francesi in Africa in cinquant’anni! (…) centocinquanta anni di dominazione militare e di sfruttamento violento sotto forme diverse ma con i medesimi risultati: mantenimento di dittature sapientemente instaurate». La Francia, attore di primo piano del teatro africano, è impegnata nell’operazione Sangaris, sostenuta dall’Unione Africana e avallata dall’Onu.

La Repubblica Centrafricana è caratterizzata dall’assenza di infrastrutture e di reti di comunicazione che ne hanno provocato un particolare isolamento, il tutto dovuto a decenni di malgoverno. La popolazione è una delle più povere del mondo e la mortalità infantile raggiunge delle cifre tragiche, il 102‰. Questo territorio, grande quasi quanto la Francia con enormi distese inabitate, è popolato da solo 5 milioni di abitanti. Il 90% dei centrafricani vive nella zona centrale e in quella occidentale del paese. Le regioni del nord est sono isolate dal resto del paese per sette mesi all’anno a causa delle piogge e della mancanza di infrastrutture, su un totale di 25.000 km di strade solo 500 sono asfaltate. Di conseguenza, i corsi d’acqua sono la principale via di comunicazione. Queste condizioni avvantaggiano i gruppi armati la cui presenza completa questo quadro sinistro di una Repubblica Centrafricana che soffre.

Repubblica Centrafricana, l’eredità del colonialismo

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Il destino tragico della Repubblica Centrafricana è stato scritto fin dall’inizio della colonizzazione. Nel 1903, denominato Oubangui-Chari, il territorio diviene il luogo della missione civilizzatrice condotta prima dalle compagnie concessionarie poi dallo stato francese. Questo processo di civilizzazione si è sviluppato in un clima di violenza esacerbata caratterizzato dalla concussione dei coloni e dallo sfruttamento delle aziende private che disponevano liberamente degli uomini e delle risorse.

Intermezzo patetico in una storia spaventosa, il colonialismo ha preceduto una serie di guerre interne caratterizzate da una brutalità nata dalla rivalità tra le diverse fazioni politiche per la conquista del potere. Prima dell’adozione della risoluzione 2127 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il segretario generale ha espresso la sua preoccupazione per i crimini che hanno causato la morte di migliaia di persone in questi ultimi mesi.

Eppure, sono molti anni che la Repubblica Centrafricana è in balia del furore delle milizie, nel silenzio della comunità internazionale, è dal 1996 che gruppi armati indipendenti impongono le loro leggi alla popolazione. Di fronte all’assenza prolungata della politica, una parte sempre più grande dei centroafricani considera il ricorso alla violenza armata l’unica soluzione per migliorare la propria condizione. Del resto, l’assenza prolungata di autorità e di legittimità politica costituisce il terreno fertile per la proliferazione dei signori di guerra. Mentre la comunità internazionale è poco desiderosa di impegnarsi in un conflitto complesso, perché la Francia deve sostituirsi ad uno stato che non esiste più? è Il prezzo da pagare per le azioni del passato?

Operazione Sangaris: l’assenza di politica, la morte di uno stato

Le cose non sono così semplici. Per l’ex ministro degli affari esteri Dominique de Villepin, se la Francia ha deciso di agire in un nuovo paese dell’Africa sull’orlo del baratro, «deve farlo essendo cosciente delle proprie responsabilità e della portata delle sue scelte di oggi». Dopo l’abbattimento di un regime dittatoriale assurdo nel 2011 in Libia ed il rilancio della guerra contro il terrorismo meno di un anno dopo nel Mali, la Francia moltiplica gli interventi militari senza che si delinei una strategia all’orizzonte.

Al contrario, sembra che l’invio dell’esercito getti benzina sul fuoco. Gli sforzi militari non possono sostituire lo sviluppo di un processo politico all’interno della società, il conflitto tra le diverse comunità impedisce per il momento di sognare una rapida pacificazione della popolazione, per ottenere la quale la Francia non può agire da sola. La costituzione di una forza multilaterale per il mantenimento della pace su mandato dell’Onu sembra lo strumento necessario per risanare una comunità politica malata e fare di una società armata una vera società civile.

Immagini| quotidiano.net, Amnesty International, Le Monde

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Laureato in comunicazione pubblica e politica in Francia, all’università Paris XII, ho studiato scienze politiche anche a Milano. Il mio passaggio in Italia è stato l’opportunità di confrontare la mia storia e la mia cultura a quelle di un altro paese a cui mi sono affezionato. In un certo senso, l’Italia mi ha fatto capire Rousseau. Qui, adesso, tocca a me parlare della Francia a voi Italiani. Per scambiare e condividere idee e, forse, aiutarvi a capire un po’ di più il vostro paese…
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