La lenta corsa ai nuovi stadi italiani10 min read

25 Gennaio 2017 Uncategorized -

La lenta corsa ai nuovi stadi italiani10 min read

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Il progetto del nuovo stadio della Roma | @stadiodellaroma.com

La Juventus è il club con il maggior numero di sostenitori in Italia ed è, storicamente, anche quello con più tifosi “contro”. Tuttavia, negli ultimi anni, la società bianconera ha avuto un enorme merito, che va riconosciuto al di là di ogni questione di tifo: essersi dotata di uno stadio di proprietà e di ultima generazione. Ha creato il precedente di cui il desolante panorama degli stadi italiani aveva un disperato bisogno.

Ha avuto il coraggio e le risorse per tirare giù un dinosauro inutile come il Delle Alpi e per edificare ex novo lo Juventus Stadium, inaugurato nel 2011. I benefici, in termini di fatturato, appeal e risultati, sono stati ingenti.

La Juve è stata poi seguita da Sassuolo e Udinese, seppur in modalità e proporzioni differenti. Tuttavia lo “sprint” verso nuovi stadi italiani si è esaurito e difficilmente vedremo altri casi come questi almeno, salvo imprevisti, fino al 2019. Quali saranno le prossime squadre di Serie A a giocare in un nuovo stadio, uno di quelli in cui è possibile godersi una partita senza il disturbo di barriere, recinzioni, reti para-palloni, fossati, gabbie, la “famigerata” pista di atletica e tutto ciò che non ha più ragione di esistere in uno stadio calcistico moderno?

La lenta corsa ai nuovi stadi italiani

La perdita di competitività dei club italiani in campo internazionale, infatti, è ben rispecchiata dalla situazione stadi. Se da un lato lo Juventus Stadium, il Mapei Stadium e il nuovo Friuli – Dacia Arena hanno finalmente dato una sveglia indicando l’inequivocabile direzione da prendere, dall’altro rischia di passare ancora troppo tempo prima di veder sorgere in Italia un altro impianto nuovo di zecca. Di cantieri aperti non se ne vedono: sicuramente ci sono alcuni progetti il cui iter tecnico-burocratico è in fase più o meno avanzata, ma gran parte delle società di massima serie li ha ancora solo sulla carta, o fermi nei cassetti delle pubbliche amministrazioni, oppure non è minimamente interessata a cambiare le cose.

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Italia-Spagna alla nuova Dacia Arena di Udine | @udinese.it

La realtà del calcio di oggi, tuttavia, parla fin troppo chiaro: senza uno stadio di proprietà e di nuova generazione, i cui standard sono universalmente noti (tribune prossime al campo di gioco, assenza di barriere, sky box, aree commerciali e di svago per essere attivo tutta la settimana ecc.), è difficile per un club essere sostenibile o salire di livello. La crisi economica ha messo a nudo le falle di un intero sistema e, dopo anni di scelte sbagliate, è il momento di invertire la rotta, iniziando a investire sulle strutture.

Lo stadio deve essere un patrimonio della società, grazie al quale aumentare il fatturato offrendo al pubblico elevati livelli di comodità, visibilità del campo, sicurezza e servizi. Senza dimenticare che un impianto sempre pieno e un pubblico fisicamente vicino ai calciatori è spesso garanzia di più vittorie. L’epoca delle strutture mastodontiche stile Italia ’90 è ormai tramontata. I nuovi progetti, perché è per lo più ai progetti che siamo fermi, riguardano impianti più piccoli, destinati a riempirsi il più possibile senza lasciare quegli enormi spazi vuoti che spesso campeggiano nei colossi come Olimpico e San Nicola. Vediamoli nel dettaglio.

Cagliari in pole position

A Cagliari il fatiscente Sant’Elia sta per arrivare alla fine dei suoi giorni. Il club sardo è, per ora, quello relativamente più vicino a concretizzare il sogno di un nuovo stadio. Ma il Cagliari è pure, tra le società di alto livello, quella messa peggio in Italia in fatto di impianto: dopo l’infelice esperienza di Is Arenas, la squadra gioca in un Sant’Elia ibrido, una sorta di stadio smontabile costruito all’interno del precedente, che giace tutt’intorno, chiuso e pericolante. Il Cagliari intende investire 55 milioni di euro per demolirlo e innalzare al suo posto una “bomboniera” da 21 mila posti.

L’iter è avviato: l’amministrazione cittadina guidata dal sindaco Zedda non sembra porre ostacoli e il consiglio comunale ha già dato il via libera unanime alla variante urbanistica per consentire l’inizio dei lavori, previsto nell’estate 2017 con l’obiettivo di tagliare il nastro nel 2019. Un altro problema da non sottovalutare, con cui si deve fare i conti anche nelle altre città, è garantire alla squadra la possibilità di continuare a giocare in casa durante la stagione agonistica: dalla prossima primavera sarà costruito uno stadio provvisorio da 16 mila posti in un’area adiacente all’attuale, utilizzando la vecchia tribuna principale di Is Arenas e parte degli spalti mobili del Sant’Elia, con una spesa di 8 milioni.

Roma, Roma, Roma…

Se a Cagliari procedono piuttosto spediti, il resto d’Italia va a rilento e deve fare i conti con i ben noti, atavici ostacoli: burocrazia, oneri economici, vicissitudini politiche. Il futuro stadio di cui si parla di più è quello della Roma, che dovrebbe sorgere in zona Tor di Valle. La capitale, con la “vela” di Calatrava a fungere da sanguinoso e ingombrante biglietto da visita, sembra oggi il posto meno indicato per far sorgere dal nulla un nuovo tempio sportivo, ma il club giallorosso ci crede e vuole il suo stadio di proprietà da edificare con capitali privati.

L’iter per il nuovo stadio della Roma è iniziato nel 2012, il progetto di Dan Meis, l’architetto che tra l’altro ha progettato lo Staples Center di Los Angeles, è del 2013, mentre nel 2014 è arrivata l’approvazione del consiglio comunale ai tempi del sindaco Marino. Dopo numerose vicissitudini politiche e amministrative, successive alla vittoria elettorale di Virginia Raggi e del Movimento 5 Stelle, il Comune e l’A.S. Roma il 25 febbraio 2017 sono arrivati a un accordo che prevede comunque la realizzazione dello stadio (52 mila posti, espandibili a 60 mila), ma con l’eliminazione dei tre grattacieli di Libeskind e di alcune opere pubbliche quali il prolungamento della linea B della metro e la bretella stradale per Fiumicino, per un totale di 500 mila metri cubi in meno rispetto al milione e più previsti nel disegno originario.

Senza intoppi, i lavori sarebbero dovuti cominciare nella tarda primavera del 2017 e la Roma mettervi dal 2019, ma la tempistica è destinata ad aumentare perché c’è da rimettere mano a tutto il progetto. Senza contare i possibili ostacoli da parte della Soprintendenza delle Belle Arti, che ha già dato più di un parere negativo. E il taglio di alcune infrastrutture di pubblica utilità, quanto mai necessarie per una città congestionata come Roma, non sembra aver molto senso. Quindi, mai dare nulla per scontato nella Città Eterna, dove spesso a essere eterni sono invece i cantieri delle grandi opere.

La Toscana ci prova

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Empoli, il progetto del nuovo stadio | @iltirreno

Nella “corsa” al nuovo stadio si è inserito anche l’Empoli. Nell’estate 2015, il piccolo club toscano ha stupito tutti, annunciando un progetto di rifacimento totale del Castellani, pronto a diventare un gioiellino al passo coi tempi. Ma fin da subito c’è un pomo della discordia: la locale società di atletica va su tutte le furie perché il progetto prevede l’eliminazione della pista. La società di calcio corregge il tiro, impegnandosi a realizzare a proprie spese una pista in un’altra zona della città e iniziando un paziente lavoro diplomatico con il Comune, dapprima scettico. A inizio 2017, comunque, il progetto non è ancora del tutto pronto. 20 milioni il costo stimato, finanziato dal Credito Sportivo. Uno stadio interamente coperto, da circa 20 mila posti, circondato da un’area commerciale. L’amministrazione comunale dovrà indire comunque un bando e assicurarsi che, prima di mettere mano al Castellani, si provveda al nuovo campo di atletica. Probabilità di riuscita: discreta. Tempi: come gli altri, i lavori non finiranno prima del 2019, sempre che partano nell’estate 2017, previsione piuttosto difficile.

A inizio marzo 2017 è uscita allo scoperto la Fiorentina, presentando un progetto completo per uno stadio nuovo di zecca, da edificare nella zona dei mercati generali. Dalla presentazione vien fuori un bellissimo impianto da 40 mila posti interamente al coperto, dalla silhouette a forma di fiore, con 77 mila metri quadrati di aree commerciali, un’area eventi di 6700 metri quadrati, hotel e museo, per un investimento di 420 milioni di euro. I tempi? Cantieri non prima del 2019 e apertura nel 2021. Ma la partita nel capoluogo toscano è tutta da giocare.

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Chi è fermo, o quasi

Nelle altre piazze di Serie A siamo al “caro amico”. A Bergamo si attende il bando con cui il Comune metterà in vendita lo Stadio Atleti Azzurri d’Italia a un prezzo base di 7-8 milioni: l’Atalanta vuole prenderlo e ristrutturarlo (qualcosa ha già fatto), ma è impossibile iniziare qualsiasi opera prima dell’estate 2018. A Bologna è in ballo un’idea di ristrutturazione del Dall’Ara, voluta dal proprietario Joey Saputo, con l’intenzione di aprire i lavori nell’estate 2019. A Pescara c’è un progetto ancora da presentare e poco altro. A Napoli sono stati effettuati alcuni lavoretti al San Paolo, a spese del Comune, e altri ne verranno, ma per cambiare volto al degradato impianto di Fuorigrotta ci vorranno minimo tre anni e tanti altri soldi.

Inter e Milan paiono intenzionate a tenersi San Siro: Suning, la nuova proprietà cinese dei nerazzurri, non ha nascosto di essere interessata a un restyling, ma ha anche accennato alla possibilità di uno stadio nuovo: come e dove ancora non si sa; mentre bisognerà attendere le mosse dei prossimi padroni, sempre cinesi, del club rossonero, che ha recentemente abbandonato il progetto di un nuovo impianto nell’area del Portello. Nulla si muove a Roma sponda Lazio, dopo un tentativo di Lotito vari anni fa, idem a Palermo dove Zamparini lascerà l’incombenza ai futuri acquirenti. A Verona Chievo e Hellas sono contenti del Bentegodi, nonostante il Comune sia disposto a venderlo, mentre a Crotone l’urgenza maggiore è garantire la problematica adeguatezza dello Scida prima di dedicarsi all’idea di una nuova arena, che pure il discusso patron Vrenna aveva fatto trapelare.

Una menzione particolare per Genova, che potrebbe avvantaggiarsi di una scorciatoia: lo stadio esiste già, basta solo ammodernarlo. Sampdoria e Genoa hanno costituito la Luigi Ferraris srl, finalizzata alla gestione dello stadio comunale di Marassi ottenuto in concessione, il più antico d’Italia (fu edificato nel 1911) e quello che più di tutti si avvicina alla tanto amata atmosfera degli stadi inglesi. L’intenzione, già a fine campionato, è quella di ristrutturare l’intero Ferraris (il manto erboso è già stato rifatto nel 2015) con un investimento di 20 milioni per eliminare le barriere e ristrutturare panchine, box, tribuna vip e tribuna stampa. Però la Sampdoria sta sondando anche la possibilità di un nuovo impianto.

Poi, c’è chi di un nuovo stadio non ha bisogno. Detto già di Juventus, Sassuolo e Udinese, si può aggiungere il Torino, forte di un Olimpico non giovanissimo ma rinnovato per i giochi del 2006. Inoltre la società granata sta concentrando le sue energie sulla ricostruzione del Filadelfia, destinato a ospitare gli allenamenti, la formazione Primavera e gli uffici societari. Un bel complesso con due rettangoli di gioco, che vedrà la luce nel giro di pochi mesi.

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I lavori in corso al nuovo Filadelfia di Torino | @laStampa

E l’Italia resta ancora indietro

Tirando le somme, degli attuali 20 club di A, 4 sono a posto (Juventus, Sassuolo, Udinese, Torino), 3 hanno un iter in corso per costruire un nuovo stadio (Cagliari, Empoli, Roma), 3 hanno un progetto iniziale (Fiorentina, Atalanta, Pescara), 4 puntano alla ristrutturazione dell’esistente (Sampdoria, Genoa, Bologna, Napoli), 5 non sono al momento interessati (Inter, Milan, Chievo, Palermo, Crotone). In teoria, con la fine del campionato 2016-2017 dovrebbero partire 4 cantieri (Cagliari, Empoli, Roma e Genova) e proseguire la ristrutturazione del San Paolo di Napoli.

La realtà è che, nonostante finalmente si sia mosso qualcosa, l’Italia a livello di impianti per il calcio resta indietro rispetto a paesi come Inghilterra, Germania, Spagna e Francia, solo per citare quelli dove si giocano i tornei più competitivi. Per altri due-tre anni probabilmente non vedremo nuovi stadi ultimati e mettiamoci l’anima in pace sul fatto che certi gioielli architettonici continueremo ad ammirarli oltre confine. Certamente fa piacere che ora ci sia una legge sull’impiantistica sportiva e che si agiti qualcosa anche nelle categorie inferiori (il programma B Futura). Però, se soltanto uno dei progetti di cui si è parlato riuscirà a vedere la luce in tempi non biblici, sarà tutto di guadagnato.

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Giornalista, da sempre sport e cultura. Dirigo Move Magazine, rivista di eventi e lifestyle di Viterbo e Terni. Neverendingseason.com è il mio blog sportivo. Sono anche su Rivistaundici.com e altrove. Amo il basket e leggo John Grisham. Per saperne di più, aggiungi .it al mio nome e cognome.
3 Commenti
  1. dav1de

    Tutto vero, però non è il calcio inglese ad essere un modello, dato che i costi sono scaricati sui tifosi che pagano prezzi altissimi per un biglietto. Se lo Juventus Stadium è considerato un modello, non può di certo esserlo per i prezzi degli abbonamenti, più del doppio rispetto ad altri club. A meno che non si voglia far diventare lo stadio un luogo proibito alle fasce più popolari della società. Il modello migliore sembra quello tedesco, dove gli stadi sono pieni e i prezzi ancora accessibili.

    • Francesco Mecucci

      Grazie per il commento. Il mio riferimento all'Inghilterra deriva essenzialmente dal fatto che, quando si parla di stadi senza barriere, senza pista ecc., il primo pensiero va sempre ai loro. Quindi mi riferisco agli stadi inglesi come strutture e non come prezzi dei biglietti. Per il resto, il tema dell'articolo è l’inadeguatezza degli stadi italiani e l’incredibile lentezza nel costruirne nuovi. La questione dei prezzi, giustissima, a mio avviso viene dopo, perché purtroppo in Italia i club - escluse Juve, Sassuolo e Udinese - ancora sono alla preistoria, cioè senza uno stadio di proprietà.

      • dav1de

        Certo, ci mancherebbe. Resta il dato di fatto che se gli stadi di proprietà diventano -come nel caso della Juventus- l'occasione per triplicare i prezzi degli abbonamenti, questa non è la soluzione per chi ama il calcio e vederlo dal vivo e non solo in tv.

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