Certificati bianchi ed efficienza energetica: rischio speculazione?5 min read

13 Marzo 2014 Uncategorized -

Certificati bianchi ed efficienza energetica: rischio speculazione?5 min read

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certificati bianchiA fine 2012 è stata pubblicata la nuova Direttiva sull’efficienza energetica (2012/27/UE) con la quale, nell’ottica di armonizzare i sistemi di incentivazione degli Stati membri in vista degli obiettivi fissati per il 2020 e quelli in discussione per il 2030, il sistema nostrano dei Certificati Bianchi è stato assunto come una best practice da applicare a livello comunitario, seppur con la possibilità per gli Stati membri di optare per misure alternative.

Un fatto positivo per il sistema italiano, che in parte riscatta le esperienze negative negli schemi per gli incentivi relativi all’altro pilastro delle politiche energetico-ambientali dell’UE, le fonti rinnovabili: sebbene in qualche misura giustificabile dalla natura differente degli interventi in questione, la differenza tra il costo di un tep risparmiato tramite un impianto fotovoltaico (che accede al quarto conto energia) o un intervento di efficienza energetica (incentivato dal Certificato Bianco) è indicativo: 930 euro per il primo, 100 per il secondo (fonte: AEEG)

Se andiamo però a vedere più in profondità il meccanismo dei Certificati Bianchi (o Titoli di efficienza energetica, TEE) ci accorgiamo che anche questa esperienza non è priva di nervi scoperti, che adesso diventano preoccupanti perché rischiano di dare adito ad una nuova “bolla”, sicuramente più contenuta di quella dei conti energia fotovoltaici, ma non per questo meno fastidiosa per il consumatore (dato che entrambe alla fine ricadono sulle tariffe finali).

I Certificati Bianchi esistono dal 2005, quando però sia la platea ristretta di soggetti obbligati (distributori di energia elettrica e gas sopra i 100.000 clienti), sia gli obblighi contenuti rendevano il meccanismo poco “rilevante” in termini di tep risparmiati e costi (era il periodo in cui per adempiere agli obblighi era sufficiente distribuire le lampadine a basso consumo). Poi estensione dei soggetti obbligati e degli obblighi stessi hanno cambiato la faccia del sistema, basti pensare che per l’anno 2013 l’obbligo in termini di tep è 6 milioni, che se moltiplicato per un prezzo medio di un Certificato di 100 euro dà l’evidenza di un notevole giro d’affari che ha ovviamente attratto soggetti diversi da quelli che si occupano di efficienza energetica.

Questa maturazione del meccanismo avrebbe tuttavia richiesto una governance più attenta a quello che succede, e più capace di dare risposte tempestive alle criticità che gradualmente emergevano. E si tratta di criticità non da poco, per il raggiungimento dei target europei e per l’efficienza del sistema.

Succede quindi che – complice una burocrazia spesso lenta e complessa e modalità di valutazione dei risparmi conseguiti che la stessa Commissione definisce “conservatrice” – dal 2010 le quantità di TEE (Titoli di Efficienza Energetica) disponibili sul mercato non riescono mai a soddisfare gli obblighi nazionali e di conseguenza dei singoli distributori, che quindi operano in costante deficit nel rapporto tra Titoli e obblighi (il sistema prevede una soglia minima e la possibilità di recupero nell’anno successivo) e costretti ad acquistare – proprio dalla situazione di mercato corto – sul mercato del GME a prezzi ben più alti del riconoscimento tariffario definito dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas.

I distributori di energia elettrica e il gas – messi originariamente al centro del meccanismo, nonostante impossibilitati dalla stessa Regolazione di operare interventi di efficienza sui consumi finali, come soggetti stabilmente presenti sul territorio e capaci di fare da collector degli interventi fatti in un’ottica di neutralità economica – iniziano quindi a chiedere all’Autorità che riveda, come d’altronde prevede il DM 28 dicembre 2012 che definisce il periodo 2013-2016 del sistema, il meccanismo di definizione del contributo tariffario, ancorandolo ai prezzi d’acquisto che effettivamente sostengono.

Questo passaggio avviene di fatto con la recente delibera 13/2014/R/efr del 23 gennaio 2014. Non ci interessa in questa sede analizzare più nel dettaglio tale meccanismo, basti sapere che l’effetto è quello di rendere il soggetto obbligato quasi totalmente passivo rispetto all’eventuale innalzamento dei prezzi di mercato, e quindi quello di eliminare ogni barriera alla speculazione.

Già, speculazione. Perché dall’uscita della delibera i prezzi sono schizzati da circa 100 euro a 140 euro, e non necessariamente perché riflettono costi effettivi maggiori per gli interventi. E in questo momento, in cui fiorisce la presenza di puri trader e di soggetti con sede estera che poco hanno a che fare con l’efficienza energetica del nostro sistema, tutto fa pensare che si tratta solo dell’inizio, che i prezzi aumenteranno, che gli extracosti andranno sulle bollette, e che forse gli italiani – senza la capacità di discernere tra bontà degli obiettivi e adeguatezza degli strumenti – inizieranno a guardare l’efficienza energetica con lo stesso scetticismo con cui guardano ora il settore del fotovoltaico.

Sarebbe un vero peccato perché è l’efficienza energetica – e la sua capacità di coniugare innovazione tecnologica, risparmi economici e ricadute positive sulla filiera industriale nostrana – rappresenta a detta di molti la priorità d’azione per il nostro Paese, anche in chiave anti-ciclica.

Eppure le soluzioni sembrano intuitive e fattibili in tempi brevi. Ad esempio pulendo il sistema da presenze “non gradite”, che nessun beneficio possono portare in termini di efficienza energetica, e mettendo in grado il GME (Gestore dei Mercati Energetici, soggetto responsabile delle borse dell’energia) di monitorare ed intervenire sui comportamenti scorretti, anche di natura fiscale, nelle compravendite di certificati. Ma alcune misure positive si potrebbero trovare anche cambiando qualcosa nella regolazione e forse nella normativa primaria, in modo da promuovere la realizzazione degli interventi e il loro riconoscimento in termini di Certificati Bianchi, e quindi un mercato più liquido che non permetterebbe un eccessivo arbitraggio dell’offerta rispetto alla domanda.

Ma un altro aspetto che andrebbe risolto è quello della “geopardizzazione” delle competenze sul sistema dei Certificati Bianchi, che dopo il DM 28 dicembre 2012 sono ancora più frammentate. Al Ministero dello sviluppo economico, di concerto con quello dell’Ambiente, la regia politica, all’Autorità per l’energia elettrica e il gas la regolazione, al GSE la responsabilità del meccanismo, al GME il controllo delle borse di compravendita, ad Enea e RSE il controllo tecnico degli interventi. Troppi soggetti per poter prendere decisioni tempestive e incisive, che invece spesso si perdono nei corridoi della burocrazia. Ed invece dovrebbero rispondere all’esigenza di far funzionare al meglio un settore dal quale l’Italia dovrebbe ripartire.

Immagine|Zeroemission.tv

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Fondatore di Climalia, prima società italiana di servizi climatici per la resilienza territoriale. Collabora con il Kyoto Club come responsabile della cooperazione internazionale e come esperto di politiche di adattamento ai cambiamenti climatici. Consulente del Ministero dell’Ambiente, Acclimatise UK, AzzeroCO2 e Commissione Europea.
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