Negoziati sul clima | La storia degli accordi internazionali da Kyoto a Parigi9 min read

26 Marzo 2021 Clima -

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Naturalista, cambiamenti climatici

Negoziati sul clima | La storia degli accordi internazionali da Kyoto a Parigi9 min read

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Dall’1 al 12 novembre 2021 si terrà a Glasgow la 26° Conferenza delle Parti (COP 26), la riunione annuale dei paesi che hanno sottoscritto la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici. Posticipato di un anno a causa della pandemia globale, questo appuntamento è una nuova tappa del percorso dei negoziati sul clima, e un’opportunità per spingere l’acceleratore verso la costruzione di un’economia verde e sostenibile, capace di far fronte agli effetti devastanti del Covid-19 che, in totale simmetria con la crisi climatica, ha confermato come un problema globale abbia bisogno di una collaborazione globale per essere risolto.

L’incontro di Glasgow prevede che i 197 paesi riuniti si confrontino per la prima volta sugli impegni presi nel 2015 con l’Accordo di Parigi, i cosiddetti “Nationally Determined Contributions”, o Contributi Determinati su Base Nazionale (NDCs), ossia i piani che ogni singolo Stato propone di attuare per contribuire alla lotta al cambiamento climatico.

L’Accordo di Parigi, approvato nel 2015, è considerato il primo decisivo passo verso la neutralità climatica, ossia il traguardo delle “emissioni zero”, che l’Unione Europea si è impegnata a raggiungere entro il 2050. L’obiettivo è limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C, attuando ogni sforzo possibile per non superare i 1.5°C, soglia considerata cruciale dalla comunità scientifica per un contenimento significativo dei rischi e degli impatti dei cambiamenti climatici. L’Accordo, universale e legalmente vincolante, è entrato in vigore il 4 novembre 2016  dopo che almeno 55 paesi, responsabili di almeno il 55% delle emissioni globali, lo hanno ratificato.

Ma come è iniziato tutto? Quando la comunità internazionale ha preso coscienza dei rischi dei cambiamenti climatici e della necessità di uno sforzo globale? Come funzionano i negoziati sul clima? Quali sono i principali strumenti e organismi che se ne occupano?

Storia dei negoziati sul clima

Negli anni settanta, su richiesta del Club di Roma – un’associazione di scienziati, umanisti e imprenditori legati dalla comune preoccupazione per la situazione mondiale – un gruppo di ricerca del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston effettua uno studio sullo stato della Terra.

I risultati, pubblicati nel 1972 sono contenuti nel celebre rapporto I limiti dello sviluppo, che illustra come, a fronte di una crescita costante della popolazione e dell’economia, e in mancanza di strategie di tutela dell’ambiente, si sarebbe andati incontro all’“arresto e conseguente collasso” del sistema globale intorno alla metà del 21° secolo. L’unica alternativa imponeva di mettere in atto drastiche misure per la protezione del Pianeta.

negoziati sul clima
Foto: Oxfam International

Negoziati sul clima: le prime conferenze internazionali

A partire dal 1972, quando a Stoccolma viene organizzata la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, è un susseguirsi di eventi che sottolineano l’esigenza di creare un’alleanza internazionale per tenere sotto controllo l’evoluzione dell’ambiente.

Nel 1979, a Ginevra, si tiene la World Climate Conference, la prima conferenza scientifica internazionale sul cambiamento climatico sponsorizzata dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), con lo scopo di fare il punto sulla situazione climatica globale e sulla sua evoluzione, avviando forme di cooperazione scientifica internazionale sulla ricerca e sulle osservazioni climatiche.

Pochi anni dopo, nel 1988, dalla cooperazione tra l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) e il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), nasce il Pannello Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) con il compito di “valutare in maniera obiettiva, trasparente e chiara la letteratura globale scientifica, tecnica e socio-economica rilevante per comprendere il rischio dei cambiamenti climatici indotti dalle attività umane”.

Tutto quello che sappiamo sui cambiamenti climatici, dai dati agli impatti, passando per le proiezioni future e le soluzioni proposte, lo dobbiamo agli esperti dell’IPCC che, ogni anno, revisionano e valutano la produzione scientifica sull’argomento, riunendola in un rapporto di valutazione (Assessment Report – AR) che viene pubblicato all’incirca ogni 7 anni.

Ed eccoci arrivati al 1992 e al Summit sulla Terra di Rio de Janeiro, conferenza che vede un’ampia partecipazione della società civile e alla quale dobbiamo la nascita di documenti fondamentali tra cui l’Agenda 21, la Convenzione quadro sulla Biodiversità e, per l’appunto, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).

I principali accordi internazionali

La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC)

Entrata in vigore il 21 marzo 1994, la Convenzione è il principale trattato internazionale in materia di lotta contro i cambiamenti climatici. Il suo obiettivo è stabilizzare le concentrazioni atmosferiche dei gas serra in modo tale da impedire pericolose interferenze da parte dell’uomo nei confronti del sistema climatico mondiale.

Dal 1994, i paesi che l’hanno ratificata si incontrano annualmente nel corso della Conferenza delle Parti (COP), il principale organo decisionale dell’UNFCCC. Oltre alle delegazioni ufficiali che negoziano gli accordi e gli obiettivi, si riuniscono in questa sede anche imprenditori, organizzazioni internazionali, associazioni, gruppi di interesse e il mondo accademico e della ricerca. Per i paesi partecipanti è un’occasione unica di confronto aperto e valutazione sullo stato dell’arte di quella che è stata definita la più grande sfida di tutti i tempi.

Negoziati sul clima: il Protocollo di Kyoto

È proprio durante una Conferenza delle Parti che, nel 1997, viene adottato il Protocollo di Kyoto. Entrato in vigore solo nel 2005, il Protocollo è stato fino al 2020 l’unico strumento legalmente vincolante a richiedere, alle 192 parti che l’hanno ratificato, una riduzione quantitativa delle emissioni di gas a effetto serra rispetto ai propri livelli di emissione del 1990 (baseline) e in percentuale diversa da Stato a Stato.

Spesso criticato e definito come un primo passo insufficiente per contrastare i cambiamenti climatici, anche a causa del principio di responsabilità comuni ma differenziate su cui si basava, il Protocollo stabiliva due periodi di impegno: il primo (2008-2012) richiedeva ai firmatari la riduzione delle loro emissioni in media del 5% rispetto ai livelli del 1990. Nel secondo periodo (2013-2020), invece, richiedeva una riduzione delle emissioni di almeno il 18% rispetto ai livelli del 1990.

Nonostante le misure vincolanti di riduzione quantitativa assegnate ad ogni Stato, il protocollo di Kyoto interessava i paesi corrispondenti solo al 12% circa delle emissioni globali. Molti dei più grandi consumatori di gas climalteranti infatti non hanno aderito al trattato, e questo ha costituito un suo forte limite.

È rimasto nella storia il ritiro degli Stati Uniti dal Protocollo nel corso della COP di Marrakesh del 2001, a cui ha fatto seguito nel 2019 il più recente ritiro dall’Accordo di Parigi, deciso dall’ex Presidente Donald Trump. In questo caso, l’azione è stata però riparata dall’attuale presidenza Biden che, pochi giorni dopo la nomina, ha firmato affinché gli Stati Uniti rientrassero nell’accordo.

Negoziati sul clima: da Kyoto a Parigi

accordo di parigi
Dopo la firma dell’accordo di Parigi durante la COP21 | Foto: Wikipedia

Entrato in vigore nel 2016, l’Accordo di Parigi è stato accolto dalla comunità internazionale come il risultato più grande conseguito dai negoziati sul clima. Rispetto al Protocollo di Kyoto, e senza entrare nei tecnicismi, cambia la soglia limite che, ora, è fissata “ben al di sotto dei 2°C”, e la volontà di raggiungere il picco di emissioni entro il 2050.

A cambiare è anche il meccanismo che dovrebbe portare al conseguimento di questi obiettivi e che non impone più riduzioni obbligatorie agli Stati ma si basa sui già citati National Determined Contributions (NDCs), sul meccanismo per rimborsare perdite e danni ai soggetti colpiti dagli impatti dei cambiamenti climatici, e sull’impegno dei paesi industrializzati, dal punto di vista giuridico, a sostenere i paesi in via di sviluppo nell’adozione delle loro misure di adattamento e di riduzione delle emissioni.

È costante oggetto di studio e discussione, tra gli addetti ai lavori e non, il reale contributo che i negoziati internazionali danno alla lotta al cambiamento climatico. Sono in molti, infatti, a ritenere che una così ampia arena di dibattito sia destinata inesorabilmente a fallire per la fisiologica difficoltà di unire esigenze, tradizioni e situazioni culturali, sociali ed economiche così differenti tra loro. Non a caso, negli ultimi anni, si è dovuti più volte far ricorso a stratagemmi e meccanismi per sbloccare la discussione ed evitare, così, lo stallo diplomatico.

Un esempio è stato l’utilizzo di un meccanismo negoziale denominato Indaba, termine utilizzato dagli indigeni Zulu e Xhosa, in Africa meridionale, per indicare una particolare forma di negoziato tradizionale dove i capi villaggio si mettono in cerchio, ognuno con il suo gruppo ristretto e, a turno, si confrontano ed esprimono, punto per punto, le questioni su cui non sarebbero mai stati nelle condizioni di cedere.

Tale meccanismo, utilizzato nel corso dei negoziati sul clima di Parigi, sembra essere all’origine del successo della conferenza e, quindi, dell’adozione del noto accordo. Sarebbe proprio seguendo l’esempio di Indaba, infatti, che dopo giorni di estenuanti discussioni, gruppi di delegati si sono confrontati apertamente, dapprima in gruppi ristretti e poi in una sessione più ampia, sottolineando la loro posizione e i punti su cui non erano disposti a negoziare.

Quel che è certo è che senza questo lungo, tortuoso e complicato processo storico, è difficile pensare che 197 paesi sarebbero mai riusciti a riunirsi attorno al tavolo per discutere di come avviare la transizione verso un nuovo paradigma di sviluppo ed un nuovo modello di società.

Dando voce a minoranze, attivisti, scienziati e politici, i negoziati sul clima hanno dato voce ai bisogni di tutte le rappresentanze creando consapevolezza e facendo emergere questioni trasversali come il rapporto tra clima e salute umana, o la necessità di colmare il divario di genere per risolvere la crisi climatica. E, tra i loro più grandi successi, c’è sicuramente l’essere riusciti a portare i cambiamenti climatici sui media, rendendolo un problema attuale e conosciuto anche dalla società civile, giovani inclusi.

Prima della COP di Glasgow, infatti, a settembre-ottobre 2021 si terrà a Milano, e per la prima volta, la pre-COP: un evento in cui i rappresentanti dei paesi membri esporranno ai giovani di tutto il mondo, ed in anteprima, le proposte per contrastare i cambiamenti climatici coinvolgendoli attivamente nella discussione.

Al tavolo negoziale, dunque, ci aspettiamo di vedere nuovi attori, sempre più consapevoli e decisi, come dimostrano i movimenti e le manifestazioni che si susseguono negli ultimi anni, e decisioni concrete e ambiziose per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. A tenere vivo il dibattito ci sarà un’Unione Europea che, con il suo European Green Deal ulteriormente rafforzato con il Next Generation EU, sta mettendo sempre più al centro del dibattito economico e politico i temi legati ai cambiamenti climatici e, in generale, della transizione verde.

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Politologa, naturalista e viaggiatrice. Si occupa di gestione di progetti incentrati sul cambiamento climatico e la sostenibilità. Analizza e racconta il rapporto tra uomo e natura nell'Antropocene e studia il conflitto tra uomo e fauna selvatica, per poi dare vita a progetti e strategie di comunicazione e coinvolgimento dei cittadini finalizzate a dimostrare che “noi siamo natura”.
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