Neve artificiale: soluzione o illusione? Il caso del Monte Bondone8 min read
Reading Time: 6 minutesDi fronte a inverni sempre più brevi e poveri di neve naturale, molte località sciistiche alpine stanno cercando di adattarsi costruendo o progettando nuovi bacini idrici artificiali destinati all’innevamento programmato. È una strategia diffusa, ma non priva di contraddizioni: se da un lato promette di garantire piste innevate e ricavi turistici ancora per qualche stagione, dall’altro comporta costi crescenti, rischi di impatti ambientali rilevanti e tensioni con le comunità locali. Secondo il report Neve Diversa di Legambiente (2024), l’Italia è tra i Paesi alpini più dipendenti dalla neve artificiale: il 90% delle piste è innevato artificialmente e sono già presenti 158 bacini idrici in quota, con il primato del Trentino-Alto Adige (60 invasi). Tuttavia, uno studio della Banca d’Italia avverte che l’innevamento artificiale diventerà economicamente insostenibile con l’aumento delle temperature, mentre molti comprensori – soprattutto quelli a bassa quota – si ritrovano in “accanimento terapeutico”, con impianti chiusi e strutture ricettive abbandonate. In questo contesto di cambiamenti climatici, resistenze culturali e scelte difficili, il caso del Monte Bondone, in Trentino, è emblematico: racconta come una comunità, urbana e di montagna insieme, si confronta con la scelta tra proseguire con un modello turistico sempre più fragile o cercare alternative.
Un progetto divisivo
Il progetto di costruzione di un nuovo bacino idrico artificiale sul Monte Bondone continua a far discutere. Anche in occasione delle scorse elezioni comunali della città di Trento, sotto la cui amministrazione ricade il Bondone, la coalizione di centro-sinistra a sostegno del sindaco uscente Franco Ianeselli, poi riconfermato, si è presentata spaccata. Alcuni partiti, come Azione, hanno condotto una campagna elettorale apertamente a favore di un nuovo invaso per l’innevamento artificiale, mentre altri, come Alleanza Verdi e Sinistra, si sono dichiarati contrari.
Ancora prima della politica, però, la costruzione del bacino divide gli operatori economici, i comitati ambientalisti e le comunità locali rappresentate dalle ASUC, le amministrazioni separate degli usi civici. Il 60% del territorio del Bondone è infatti posto sotto uso civico, in quanto bene collettivo dei membri delle comunità. Le ASUC di Sopramonte, Baselga del Bondone e Vigolo Baselga si oppongono da anni a nuovi progetti invasivi di sviluppo turistico incentrati sullo sci alpino. Di recente, queste ASUC hanno ricevuto un importante riconoscimento nazionale da Legambiente, che ha conferito loro la bandiera verde per il loro impegno nella gestione sostenibile del territorio, nella tutela degli ecosistemi e nella resistenza a logiche di sfruttamento a breve termine.
Monte Bondone: 25 anni di rilancio turistico incompiuto
La vicenda del bacino artificiale del Bondone parte però da più lontano e si intreccia con una storia più vecchia, iniziata venticinque anni fa: il tentativo di rilancio del Bondone come località turistica nei primi anni Duemila, dopo una lunga crisi iniziata a metà degli anni Ottanta. Al primo inverno senza neve nel 1984/1985, infatti, era seguita la progressiva chiusura di una parte degli impianti di risalita e di numerosi alberghi.
Oggi, nonostante decenni di investimenti pubblici e privati, il Bondone si trova ad affrontare le stesse sfide di inizio anni Duemila: un comprensorio sciistico poco attraente perché piccolo, a quote medie e quindi povero di neve naturale, e una lunga serie di edifici vuoti e cadenti. Secondo Fulvio Rigotti, presidente di Trento Funivia S.p.A., la società partecipata dal Comune di Trento che gestisce gli impianti di risalita, per sostenere l’innevamento artificiale servirebbe un surplus di 210mila metri cubi d’acqua, che solo un nuovo bacino artificiale può fornire. Perché oggi come ieri, e sempre più in futuro, le piste del Bondone restano spesso parzialmente chiuse. In annate con scarse precipitazioni come il 2023 solo il 50% delle piste sono state aperte. “La necessità di realizzare l’opera è evidente perché pur non sapendo cosa succederà tra vent’anni noi sappiamo che oggi il turismo invernale è ancora centrale e dà redditività alle imprese sostenendo centinaia di lavoratori e di famiglie”, aveva dichiarato Paolo Prada, allora presidente degli operatori economici del Bondone, al termine di quella difficile stagione invernale.
Il futuro dello sci alpino
I dati però parlano chiaro: stazioni sciistiche come il Bondone in futuro avranno sempre meno neve, e per meno giorni. Sull’arco alpino italiano la quota della neve affidabile è passata dai 1511 m del periodo 1961-1990 ai 1750 m di quota del 1991-2020. Le elaborazioni su questo periodo di 60 anni evidenziano un incremento della quota della neve di 213 m per ogni aumento di 1°C della temperatura: se il riscaldamento globale continuerà a correre ai ritmi attuali, entro la fine del secolo per aree alpine come il Bondone, poste a un’altitudine inferiore ai 2000 metri, si prevede una riduzione dell’equivalente idrico della neve, ovvero la quantità di acqua “raccolta” in forma di neve, dell’80/90%. Nel versante sud delle Alpi, inoltre, nella fascia fra i 1000 e i 2000 m la stagione con neve al suolo si è già accorciata di 33 giorni, per il ritardo nella formazione del manto nevoso autunnale ma soprattutto per l’anticipo della fusione. Per garantire la neve sulle piste non basterà solo produrla, ma sarà anche necessario mantenerla.
“Di fronte a inverni con poca neve non è possibile continuare a sviluppare questo modo di fare turismo”, spiega Silvano Baldessari, presidente dell’ASUC di Baselga del Bondone. E aggiunge: “È proprio la consapevolezza della realtà del cambiamento climatico a guidare la nostra posizione sul bacino artificiale: come ASUC abbiamo già dato abbastanza agli impianti sciistici. Non possiamo snaturare un territorio per un ricavo di pochi anni”.
L’equilibrismo della politica tra bene comune e interessi privati
A fronte delle prese di posizione di ASUC, operatori economici e comitati ambientalisti, finora l’amministrazione comunale di Trento ha evitato di prendere apertamente posizione. Ma ha comunque adottato provvedimenti amministrativi che aprono la strada alla costruzione di un nuovo bacino, più capiente di quello già esistente a Mezzavia, la cui capacità massima è di 66mila metri cubi. Già nel 2019 l’allora sindaco Alessandro Andreatta, di centro-sinistra, aveva acconsentito su spinta della minoranza a inserire nel Piano regolatore comunale (PRG) un emendamento che permetteva la costruzione di un bacino per l’innevamento artificiale sull’altipiano delle Viote, un’area di particolare pregio naturalistico, a poca distanza dal comprensorio sciistico. La decisione era stata contestata dalle associazioni ambientaliste e dalle ASUC, che avevano sottolineato l’importanza locale e a livello di arco alpino delle Viote, e in generale del Monte Bondone, per la conservazione della biodiversità. Su una superficie totale di oltre 1.100 ettari di aree protette, infatti, la Rete di Riserve Bondone ospita 303 differenti specie animali, di cui 49 specie in Direttiva Habitat e 94 in Direttiva Uccelli. Un ambiente ricco e ancor ben conservato, ma anche estremamente fragile a causa delle sue lente dinamiche di recupero: secondo le associazioni ambientaliste, la costruzione del bacino artificiale avrebbe impatti negativi significativi sia durante la costruzione che durante il suo utilizzo.
Si è tornati a parlare di PRG all’inizio di quest’anno, quando la giunta Ianeselli ha votato una variante tecnica per adeguare il Piano comunale al Piano urbanistico provinciale (PUP). Secondo le associazioni ambientaliste, questa scelta amplia di ben 200 ettari le aree definite “sciabili”, all’interno delle quali è consentita la realizzazione di infrastrutture connesse agli sport invernali come parcheggi, impianti energetici, locali noleggi, biglietterie, scuole di sci, bacini e vasche interrate per lo stoccaggio dell’acqua destinata all’innevamento. Secondo il Comune di Trento, invece, l’adeguamento al PUP è puramente cartografico e non amplia la possibilità di realizzare nuovi interventi. Fatto sta che questi sviluppi hanno allertato non solo i comitati ambientalisti, ma anche le ASUC, che lo scorso 9 febbraio hanno aderito insieme ad altre 24 sigle a una grande mobilitazione in occasione della manifestazione nazionale “La montagna non si arrende”.


Nel frattempo, il Comune di Trento ha affidato all’Università di Trento e al Museo delle Scienze di Trento-MUSE la realizzazione di uno studio di fattibilità sul nuovo invaso, che analizzerà l’impatto dell’opera sull’ecosistema montano e prenderà in considerazione gli scenari climatici dei prossimi decenni. C’è però chi critica l’inerzia della politica, incapace non solo di prendere delle decisioni e proporre una visione a lungo termine per il Bondone. “È da ormai cinque anni che si parla dell’invaso, e anche se si deciderà di costruirlo, non sarà pronto prima di altri due, tre anni: con questo tempistiche, rischia di diventare un’opera anacronistica”, lamenta Alberto Barbieri, titolare dell’Hotel Montana a Vason, ai piedi degli impianti di risalita. Continua: “Se la transizione fosse iniziata vent’anni fa, oggi non avremmo bisogno del bacino. Allo stato attuale, invece, serve certamente traghettare il Bondone verso un nuovo modello turistico, ma per arrivarci bisogna evitare il collasso del sistema economico. Oggi, con lo sci che rappresenta ancora tra il 60 e il 70% dell’indotto, il bacino è necessario”.
“Fare in fretta non significa sempre fare bene”, ribatte il sindaco Ianeselli. “Una volta concluso, lo studio sul bacino artificiale sarà illustrato a tutti i cittadini interessati e diventerà la base da cui far partire il confronto”. Maggiore partecipazione e trasparenza, del resto, sono le richieste dei comitati ambientalisti e delle ASUC. Tutte le parti coinvolte, però, sono consapevoli che la decisione sul nuovo bacino resterà una scelta politica.
All’amministrazione, dunque, il delicato compito di trovare un equilibrio tra gli interessi della montagna e quelli della città, tra le necessità del turismo e i bisogni dei residenti, tra lo sviluppo economico e la tutela dell’ambiente.
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