Come rendere più sostenibile la mobilità urbana?13 min read

18 Gennaio 2021 Ambiente Città -

Come rendere più sostenibile la mobilità urbana?13 min read

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Oggetto di studio di architetti e urbanisti, fantasia e utopia di avanguardie storiche e della fantascienza letteraria e cinematografica, motivo di battaglia per ecologisti e attivisti, la mobilità è da sempre testimonianza della metamorfosi urbana, civica nonché tecnologica. Le trasformazioni che ha vissuto sono molte, ma la sfida cui è oggi chiamata rispondere è riuscire ad adattarsi ai cambiamenti di oggi e di lungo periodo per diventare una mobilità urbana sostenibile.

Mobilità urbana: da dove partiamo

Per tutta la durata del XIX secolo gli unici mezzi di trasporto pubblico che affollavano le vie dei centri urbani erano le carrozze trainate da cavalli e i tram. Per far fronte al fenomeno della crescente urbanizzazione, nella Londra della seconda metà del secolo si assiste alla realizzazione della prima linea metropolitana. Dal primo dopoguerra poi l’automobile inizia a imporsi come mezzo competitivo alla trazione animale, affermandosi come mezzo diffuso di mobilità privata.

Questi tre mezzi – linee metropolitane, tram/autobus e automobili private – governeranno per i decenni a venire il modo di spostarsi nelle città, fino ad occuparne tutto il suolo libero possibile.

Una mobilità urbana sostenibile era ancora di là da venire. Con la progressiva presa di coscienza delle tematiche ambientali, dei problemi legati all’inquinamento e ai cambiamenti climatici, il concetto di sostenibilità viene però gradualmente associato alla mobilità e alle sue forme, tra cui quelle urbane.

Nascono norme e piani per regolamentare il settore viabilistico e dei trasporti, uno dei più emissivi e inquinanti delle città (la mobilità urbana è responsabile del 40% di tutte le emissioni di CO2 del trasporto su strada). Aumentano le attenzioni verso il trasporto pubblico locale come risorsa, spesso però non accompagnate da politiche attuative concrete ed efficaci, almeno in Italia. La sfida alla mobilità urbana sostenibile è una sfida tuttora aperta.

Ma cos’è la mobilità urbana sostenibile?

Per mobilità urbana sostenibile si intende un modello di sistema di trasporto a disposizione di persone e merci in grado di soddisfare al meglio le esigenze di spostamento massimizzandone efficacia e accessibilità e al tempo stesso riducendo al minimo gli impatti ambientali.

Eppure, il contenuto e il confine di questo concetto sono notevolmente mutati nel corso negli ultimi anni, e ancora di più nell’ultimo anno, perché mutate sono le condizioni di contorno e le ragioni di spostamento presenti e future.

Per i 3,5 miliardi di persone che vivono attualmente nelle città del mondo, la mobilità è una questione essenziale legata alla sussistenza, ai servizi e alla vita sociale. Le città sono inoltre destinate a crescere fino ad accogliere quasi il 70% della popolazione terrestre entro metà secolo, una sfida che fra gli altri anche il settore dei trasporti deve affrontare e superare.

Al tempo stesso, il 25% delle emissioni di gas serra in Europa derivano dal settore dei trasporti. Decarbonizzare il sistema dei trasporti pubblici e privati e ridurne le emissioni è considerata da anni una delle principali armi di mitigazione contro i cambiamenti climatici.

Secondo il Piano europeo di azione per il clima, le emissioni di CO2 si devono ridurre del 33% al 2030, fino a raggiungere le emissioni zero al 2050. Per il settore dei trasporti, questo significa passare dai 100 milioni t/anno di CO2 attuali a 77 milioni t/anno in 10 anni.

La gestione della mobilità urbana sostenibile costituisce una sfida importate per le aree urbane. Piani e politiche devono soddisfare il fabbisogno di spostamento di persone e beni, mantenere la qualità della vita, favorire l’attività economica e migliorare la qualità ambientale.

Ma quali sono gli strumenti e le politiche per rendere davvero sostenibile una rete di mobilità urbana?

Strumenti e politiche per la mobilità urbana sostenibile

Nel corso dell’ultimo decennio lo scenario della mobilità urbana è molto cambiato. Fino a qualche anno fa, l’appropriatezza della mobilità urbana era valutata sulla base della qualità, o quantità, del trasporto pubblico su ferro e gomma, unica alternativa ai mezzi privati. Una città poteva definirsi moderna e competitiva quanto più capillare era la sua rete di trasporto locale.

Negli ultimi anni le esigenze degli utenti da un lato e gli innovativi servizi tecnologici dall’altro hanno modificato il panorama urbano introducendo nuovi concetti, strumenti e modelli giunti per rimanere. Esaminiamo quali sono.

Mobilità privata

Sul fronte della mobilità privata – quella a cui noi italiani siamo più legati in confronto a molti altri paesi europei – le rivoluzioni vero la mobilità urbana sostenibile riguardano tre fondamentali fattori: elettrificazione, automazione e condivisione.

Se il passaggio da veicoli tradizionali a veicoli elettrici dipende dalla domanda degli utenti, ovvero noi, e dalla capacità dello stato di stimolare il mercato, gli enti locali devono dimostrare capacità di adeguare l’infrastruttura urbana ai nuovi scenari.

In Europa, il primo posto sul podio per quanto riguarda la mobilità elettrica è della Norvegia, mentre fra le città più ambiziose vi è Amsterdam, il cui obiettivo è di garantire entro il 2030 la presenza di soli veicoli a emissioni zero attorno ai suoi canali.

In Italia il mercato c’è, ed è in fermento. I dati dicono che la quota di mercato dei veicoli elettrici è ancora modesta se comparata al totale del mercato delle immatricolazioni ma il trend è in crescita costante: a ottobre 2020 sono 76 mila i veicoli elettrici o ibridi circolanti nel nostro paese, con un tasso di immatricolazione in crescita di oltre il 170% rispetto allo scorso anno. I passi sono ancora molti da fare, ma le prospettive sono rosee.

Mobilità condivisa

Ciò che colpisce della metamorfosi del concetto di mobilità non è però tanto la comparsa di mezzi tecnologici capaci di azzerare le emissioni, sfruttare l’energia rinnovabile e rendere i mezzi sempre più “intelligenti”, fenomeni tutti prevedibili con l’evoluzione della scienza, quanto il cambio di paradigma rispetto al concetto di proprietà privata dei mezzi di spostamento.

Una delle parole chiave dell’evoluzione della mobilità degli ultimi anni, in particolare in ambito urbano, è infatti condivisione. La sharing mobility è ormai una realtà che, anche in molte delle medie-grandi città italiane, non cambia solo lo scenario economico degli utenti, concedendo la possibilità di spostarsi con dei mezzi anche quando non se ne ha possesso, ma anche quello ambientale.

Fino al 40% dell’intero traffico cittadino è rappresentato infatti dalla ricerca di un parcheggio, in più le automobili private in città rimangono parcheggiate per il 95% del tempo. Se più persone fanno utilizzo della stessa auto, significa che vi saranno meno parcheggi occupati in città, a fronte di una minore richiesta.

Nella Sharing Economy, diffusasi ampiamente anche al di fuori al concetto di mobilità, l’attenzione non è più rivolta alla proprietà privata quanto piuttosto al servizio offerto: il possesso dell’auto diventa secondario rispetto alle condizioni e all’offerta, che permette di massimizzare l’efficacia degli spostamenti.

Il concetto, già realtà nell’autonoleggio o in senso ampio nei taxi, ha conosciuto slancio grazie alla diffusione di piattaforme digitali accessibili da smartphone, che hanno reso possibile lo scambio tra domanda e offerta senza la necessità di scambio fisico. Si tratta del consolidamento del concetto della Maas – mobility as a service – la mobilità come servizio, da cui attingere in modo flessibile, multimodale e mediante app.

L’avvento della sharing mobility ha riacceso poi i riflettori della micromobilità urbana, ovvero che fa utilizzo di tutti quei mezzi leggeri tra cui monopattini elettrici, bici, scooter e minicar elettrici e altro ancora, che rappresentano senza dubbio lo strumento più efficace per gli spostamenti brevi tipici dei tessuti urbani. Questo settore ha conosciuto, più di tutti gli altri, una rapida crescita sul mercato, e va certamente nell’ottica di una mobilità urbana sostenibile.

Mobilità attiva

Se fino a pochi mesi fa l’orizzonte a cui tendevano gli ideali della città del futuro, anche nel campo della mobilità, era costituito in gran parte dalla sfera della smart city, la città intelligente e innovativa, quest’ultimo anno e il nuovo stile di vita cui siamo stati chiamati hanno re-introdotto nello scenario futuro la componente più umana della mobilità, quella fatta di brevi distanze, accessibilità e spostamenti ‘attivi’.

La pandemia ha dato alle città la rara opportunità di reinventarsi in ottica di mobilità urbana sostenibile. I concetti della “città in 15 minuti” e le esperienze delle bike lanes sono giunti per rimanere anche nelle nostre città italiane, forti del consenso di massa conosciuti nei mesi di lockdown e post-lockdown.

Sono quasi 200 i km di ciclabili leggere pop-up nate quest’anno in Italia, con capofila Milano e Genova, nate rapidamente e in via temporanea, ma destinate a diventare una presenza stabile nelle nostre città. Le città di tutto il mondo sperano di rendere infatti permanenti queste abitudini e rendere la congestione urbana una problematica del passato.

Alcune città lo avevano capito già nel secolo scorso: era il 1953 quando la città olandese di Rotterdam trasformò una via principale in una strada pedonale completamente priva di auto. Neanche un decennio più tardi toccò a Copenaghen.

Lo scetticismo abbondava negli anni del boom economico e delle proprietà private, ma presto fu chiaro che la scommessa era vinta: laddove abbondavano auto in sosta e parcheggi, i pedoni, turisti e commercianti si riappropriarono presto dello spazio urbano.

Da allora molte altre città seguirono questo esempio, tra cui anche la metropoli di New York, costruita come molte città americane attorno al mito dell’automobile, ma che con la visionaria Janette Sadik-Khan all’epoca del primo mandato dell’allora sindaco Michael Bloomberg, diede inizio alla rivoluzione nel modo di spostarsi nella Grande Mela.

Con il primo corridoio ciclabile sulla 9° Avenue fu chiaro che la domanda latente di mezzi alternativi per spostarsi era molto più alta di quello che la città potesse aspettarsi. Nel corso degli anni il volto della città cambiò rapidamente tra nuove ciclabili e pedonalizzazioni, un percorso non ancora finito che porterà la città a costruire 250 nuove ciclabili dal 2021.

bici new york
In bici a New York | Foto: climatevisuals

La riorganizzazione dello spazio urbano e del modo di cui ne disponiamo dettata dalla pandemia ha posto la necessità di considerare nella pianificazione della mobilità di lungo e breve periodo i nuovi strumenti e le nuove abitudini emerse con forza in questi mesi.

Che cos’hanno questi in comune? La centralità della persona in qualità di soggetto attivo, che non solo fa utilizzo di mezzi leggeri per spostarsi nella città – i piedi, la bicicletta, il monopattino, ecc. – ma che, in questi spostamenti, interagisce attivamente con il tessuto commerciale, sociale, e ambientale che attraversa.

Non più dunque una mobilità passiva da un punto a ad un punto b, ma un percorso percettivo, sensoriale e interattivo, nell’ottica di generare quartieri vivi, dotati dei principali servizi di prima necessità, restituendo ai cittadini un senso di appartenenza troppe volte dimenticato dalla pianificazione urbana.

La trasformazione della mobilità urbana dei prossimi anni, infatti, non riguarderà solo il come ci muoviamo, ma anche e soprattutto il dove. I modelli radiali di organizzazione del tessuto urbano e delle sue attività, atti a calamitare nei centri urbani le maggiori necessità di spostamento a discapito delle periferie e dei piccoli centri che costellano le aree limitrofe alle grandi città, tenderanno a lasciare più spazio a micro-sistemi diffusi di mobilità.

Verso una nuova pianificazione della mobilità

Qual è la chiave per far si che il modello di mobilità urbana sia al tempo stesso sostenibile, efficiente, ma anche flessibile?

Gli strumenti per raggiungere risultati concreti nello sviluppo della mobilità urbana sostenibile sono già disponibili, e sono da un lato la tecnologia e l’innovazione, dall’altro l’esito delle nostre decisioni in quanto fruitori e al tempo stesso decisori, e sono l’accessibilità e le opportunità create.

mobilità urbana sostenibile

Le città nelle quali le politiche di mobilità urbana sostenibile hanno avuto più successo sono state quelle nelle quali le diverse tipologie e i diversi strumenti sono stati applicati in maniera integrata, in modo da rafforzarsi una con l’altra.

La condizione primaria è la presenza di un trasporto pubblico diffuso in grado di permettere gli spostamenti più o meno lunghi lungo le direttrici principali, efficiente e sistemico, al quale affiancare in maniera integrata gli altri tipi di mobilità a sostituzione del veicolo privato.

Le città e i loro governi devono mostrarsi capaci di pianificare una mobilità urbana sostenibile integrata favorendo sistemi ibridi e multicanale, permettendo di effettuare i più o meno lunghi spostamenti necessari in maniera efficace, offrendo diverse soluzioni o integrandole tra esse.

Questo significa creare spazi e occasioni di cambiare mezzi, rendere i parcheggi della città intelligenti e connessi fra loro, raggiungere in maniera capillare l’intero tessuto urbano, diffondere strutture di ricarica di veicoli elettrici, ampliare i confini dei servizi di sharing anche al di fuori della cerchia urbana o comunale.

Allo stesso tempo occorre offrire a chi non necessita di effettuare spostamenti per lavoro, ad esempio in virtù dello smart working, di trovare tutto ciò di cui può avere bisogno in via primaria nelle vicinanze della propria abitazione, senza dover attraversare interi pezzi di città. Pianificazione urbana e progettazione delle infrastrutture sono due pedine da muovere simultaneamente.

Il successo di un sistema integrato di mobilità urbana sostenibile sta però anche nel coinvolgimento attivo dei cittadini nelle decisioni pubbliche, nell’ascoltare con loro le problematiche e nel disegnare insieme le soluzioni. La partecipazione, anche nella sfera dei trasporti, è un elemento imprescindibile per creare un sistema flessibile, adeguato alle esigenze e capace di essere sfruttato.

Al tempo stesso è necessario un processo diffuso di sensibilizzazione, sia dei cittadini che degli enti locali più “tradizionali”. Se è vero che le generazioni più giovani sono più propense al concetto di condivisione e di spostamenti attivi piuttosto che quello di proprietà privata, è pur vero che non tutti hanno la possibilità di averne accesso (esclusione dai confini dello sharing, mancanza di ciclabili, scarsa frequenza, etc, su cui occorre far leva sull’ente locale) e non tutti quelli che si spostano sono giovani o propensi a cambiare le proprie abitudini.

Inserire questa visione nell’educazione alle giovani generazioni, con appositi strumenti e approcci che promuovano la mobilità urbana sostenibile valorizzandone anche l’aspetto culturale deve diventare una prassi comune.

Città verso una mobilità più sostenibile

Probabilmente non esiste ancora una città che abbia raggiunto fino in fondo l’obiettivo di creare un sistema sostenibile di mobilità. Ma certo è che molte città hanno individuato la loro ricetta e la stanno già attuando.

Fra queste vi è Berlino, che per raggiungere il suo concetto di mobilità sostenibile, intermodale, efficiente, moderna non include l’automobile. Così proprio la capitale tedesca, grazie al ricorso alle nuove tecnologie che offrono ai cittadini un accesso rapido ai dati e alle informazioni sui trasporti più efficienti, ha valorizzato la propria rete di trasporto favorendo la sostenibilità. Ma anche Londra, Parigi e Milano vanno in questa direzione, con obiettivi anche di lungo periodo molto ambiziosi.

Gli approcci per affrontare la sfida sono molti e tutti diversi fra loro, poiché da adattare ai contesti e alle necessità locali. Ma le esperienze di altre città ci hanno mostrato che l’arma più potente ed efficace è l’ambizione e l’audacia nel cambiare e nell’investire nel futuro.

L’obiettivo della mobilità deve essere quello di mettersi al servizio dello sviluppo economico e sociale urbano. Il senso di questo cambio di paradigma, che deve partire tanto da noi quanto dalle istituzioni, è quello di offrire benessere ed equità a noi e all’ambiente.

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Emiliana d’origine, torinese per studio e milanese per scelta, ama conoscere storie e mondi. Laureata in Architettura Sostenibile parla e ascolta di resilienza, e ama scoprire cosa rende vivibili le città. Nella sua vita la sostenibilità è un’ossessione, i tortelli un’istituzione.
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