Come sta cambiando il matrimonio in Italia e in Europa34 min read

24 Febbraio 2023 Società -

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Sociologo

Come sta cambiando il matrimonio in Italia e in Europa34 min read

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Quanti sono i matrimoni in Italia e in Europa: dati 2018

matrimoni in italia 2018

L’anno con più matrimoni celebrati in Italia è il 1963, con 420 mila matrimoni. Nel 2018 sono 196 mila, molto meno della metà. Un altro dato: negli anni sessanta (1960-69) si celebrarono 4 milioni di matrimoni; negli anni settanta 3,7 milioni; negli anni ottanta 3 milioni; negli anni novanta 2,9 milioni; negli anni duemila 2,5 milioni. Negli anni dieci siamo finora a 1,8 milioni.

Di primo acchito quindi sì, ci sono molti meno matrimoni in Italia. Il 2018 fa segnare in realtà una lieve crescita rispetto al 2017 (196 mila contro 191 mila), ma è improbabile che si tratti di un segnale di ripresa costante.

Per un confronto con gli altri paesi europei dobbiamo fare ricorso a un altro indicatore: il tasso di nuzialità (crude marriage rate, nel linguaggio internazionale), che è il rapporto tra il numero di matrimoni contratti durante l’anno e la popolazione del paese, e si esprime per mille abitanti.

Per l’Italia quindi 196 mila matrimoni in rapporto a circa 60 milioni di abitanti risulta in un tasso di nuzialità di 3,2 matrimoni ogni mille abitanti. Il grafico riporta un confronto tra alcuni paesi europei.

nuzialità in europa 2018

L’Italia è dunque lo stato con il più basso tasso di nuzialità d’Europa. Siamo abituati a stare in fondo alle classifiche, ma questo dato forse sorprende un po’, se ci immaginiamo il matrimonio come un’istituzione conservatrice di matrice religiosa.

In alto alla classifica troviamo, oltre ad alcuni paesi dell’est Europa su cui spicca la Romania, anche alcuni paesi del centro-nord Europa – Danimarca, Svezia, Austria – che leghiamo nel nostro immaginario a società più progressiste e secolarizzate dalla nostra.

La questione infatti è che il matrimonio non è un’istituzione religiosa.

Quanti sono i matrimoni religiosi in Italia e in Europa: dati 2018

Se andiamo a scomporre ulteriormente il quadro, notiamo infatti che in Italia il 50% dei matrimoni si svolge con rito religioso. Una percentuale in grande calo negli ultimi anni, pensate che solo dieci anni fa era al 65%, che pure risulta nettamente più alta di altri paesi europei.

matrimoni religiosi 2018

Nel Regno Unito i matrimoni religiosi sono il 22%, in Francia il 21%, in Spagna il 20,5%, in Germania addirittura il 18,4%.

In Italia quindi ci si sposa poco, ma ci si sposa religioso. Le differenze regionali però sono molto ampie. In alcune regioni del centro-nord – Valle d’Aosta, Liguria, Provincia di Bolzano, Emilia Romagna, Toscana, Friuli Venezia Giulia – i matrimoni religiosi sono meno del 35%, mentre in tutte le regioni del sud la percentuale supera il 70%.

Primi e secondi matrimoni in Italia e in Europa: dati 2018

Un indicatore di cambiamento sociale è anche il numero di secondi matrimoni, conseguenza della crescita di divorzi e separazioni che analizzeremo in seguito.

I dati Eurostat riportano in realtà il dato opposto, ossia la percentuale di primi matrimoni rispetto al totale dei matrimoni celebrati in un anno.

La percentuale di primi matrimoni è in generale più alta (tra l’80 e il 90%), sia per i maschi che per le femmine, nei paesi mediterranei e dell’est Europa, mentre si ferma al 70-75% in molti paesi del centro-nord Europa.

È una percentuale in diminuzione ovunque. Pensate ad esempio che in Italia nel 1990 il 95% degli sposi maschi era al primo matrimonio contro l’86% del 2018, e percentuali molto simili si riscontrano anche per le femmine.

Quando ci si sposa in Italia e in Europa: dati 2018

Altro indicatore determinante per cogliere il cambiamento dell’istituto del matrimonio in Italia e in Europa è l’età media a cui ci si sposa.

età media matrimonio europa 2018

Secondo i dati Eurostat i paesi dove ci si sposa più tardi sono Svezia, Spagna, Danimarca, Italia. L’Italia è quindi tra i paesi dove ci si sposa più tardi in Europa. I paesi dove ci si sposa prima sono quelli dell’Est Europa: Slovacchia, Polonia, Bulgaria, Lituania, Croazia.

Questi dati fanno riferimento alla popolazione femminile. Per ottenere i valori dei maschi dovete aggiungere in media due-tre anni.

Il cambiamento nel tempo anche di questo indicatore è evidente. I primi dati messi a disposizione da Eurostat rispetto all’età media del primo matrimonio per le donne e gli uomini europei fanno riferimento al 1990. Prendiamo quindi come riferimento il periodo 1990-2018 e analizziamo il fenomeno in termini storici. In Italia, ad esempio, la situazione è questa.

età media matrimonio italia 2018

Nell’arco di 28 anni l’età media delle donne al primo matrimonio è aumentata di 6,5 anni e quella degli uomini di 6,3. Un cambiamento notevole, figlio dei cambiamenti sociali ed economici che hanno mutato i percorsi di transizione all’età adulta dei giovani, con percorsi formativi più lunghi e ingressi molto precari e graduali nel mondo del lavoro, ma anche con scelte che sono ora molto più accettate socialmente, come quella di non sposarsi oppure di dedicare più tempo anche ad esperienze di piacere e crescita personale.

Un cambiamento che attraversa trasversalmente tutti i paesi europei, anche se in misura diversa. Considerando l’età media delle spose al primo matrimonio, questa aumenta tra il 1990 e il 2018 di 7,9 anni in Spagna, 7,6 in Repubblica Ceca e Ungheria, 7,3 in Slovenia; più contenuto l’incremento in Danimarca (+4,7 anni), Grecia e Finlandia (+5,4).

Possiamo quindi affermare che è vero, ci si sposa sempre più tardi. E i figli? Il matrimonio è (ancora) vissuto come un passo preliminare alla procreazione?

Figli dentro e fuori dal matrimonio in Italia e in Europa: dati 2018

Come abbiamo visto all’inizio, l’etimologia della parola matrimonio mette l’accento sui fini procreativi dell’unione, e d’altra parte sia nel rito religioso che in quello civile il riferimento alla prole è evidente.

Tuttavia, anche qui, un conto è la carta e un conto sono i comportamenti sociali. Comportamenti che, anzitutto, va detto, vanno nella direzione di una diminuzione dei figli, per una serie di cause sociali ed economiche tra cui, e per fortuna, una accresciuta libertà di scelta di persone e coppie.

Ciò premesso, consideriamo l’indicatore del numero di figli che nascono fuori dal matrimonio come un indicatore del cambiamento di quest’ultimo e della società. Si tratta di un dato che è in netta crescita ovunque, mostrando come matrimonio e procreazione non siano più necessariamente conseguenti.

bambini nati fuori dal matrimonio in italia 2018

In Italia il 34% delle nascite è avvenuta fuori dal matrimonio nel 2018. Nel 1970 questo dato era al 2%. Un mutamento straordinario, che pure ci lascia ancora agli ultimi posti fra i paesi europei dietro a Grecia – dove solo l’11,1% delle nascite avviene fuori dal matrimonio – Croazia, Polonia, Lituania, Romania e, sorpresa, Germania.

bambini nati fuori dal matrimonio in europa 2018

In 8 paesi UE su 28 nascono più bambini da coppie non sposate che da coppie sposate, e in 21 paesi la percentuale è superiore al 30%. Questo dato ci dovrebbe interrogare sulla distanza che a volte esiste tra immaginario e realtà, tra ordinamenti giuridici e comportamenti sociali.

Il paese europeo con il più alto tasso di nascite fuori dal matrimonio è la Francia, dove sei bambini su dieci nascono da coppie non sposate, seguita da Bulgaria, Slovenia, Portogallo, Svezia, Danimarca, Portogallo.

Sorprende in questa classifica trovare alle posizioni più alte anche paesi mediterranei e dell’est Europa, solitamente considerati più tradizionalisti. Evidentemente, certi collegamenti non vanno dati per scontati.

Il dato che accomuna tutti i paesi è che la percentuale di bambini che nascono fuori dal matrimonio è in crescita ovunque, a ritmi in alcuni casi elevatissimi. Il Portogallo è il paese che negli ultimi dieci anni ha più incrementato la percentuale (dal 38% del 2009 al 56% del 2018), seguita da Italia e Spagna con un incremento di 14 punti percentuali.

Il cambiamento quindi è più rapido nell’Europa mediterranea, mentre la situazione è più stabile nei paesi del centro-nord Europa dove il fenomeno aveva già raggiunto punte superiori al 40-50% negli anni novanta nei primi anni duemila.

Questi dati derivano ovviamente dal fatto che ci si sposa di meno preferendo forme di convivenza non regolate, ma anche dal fatto che il matrimonio sta diventando sempre più una scelta legata alle dinamiche di coppia più che una tappa propedeutica alla procreazione. In un numero crescente di casi il matrimonio diventa una tappa successiva, maturata anche anni dopo la nascita di uno o più figli.

Quanto dura il matrimonio in Italia?

Un altro indicatore formidabile per verificare i cambiamenti accaduti all’istituto del matrimonio è quello della durata dello stesso. Una questione che solo pochi decenni fa sarebbe apparsa quasi retorica: il matrimonio non ha durata!

In effetti, se pensiamo che in Italia la possibilità di divorziare è stata introdotta solo nel 1970 dovendo anche superare lo scoglio di un referendum abrogativo nel 1974, capiamo che l’idea di matrimonio era quella di un contratto senza scadenza, idea che solo recentemente ha iniziato a modificarsi.

L’ultimo dato disponibile fa riferimento al 2015 e parla di una durata media del matrimonio in Italia al momento della separazione di 17 anni. La durata media del matrimonio in Italia è in lieve ma costante crescita: dai 13 anni dei primi anni duemila, ai 14 del periodo 2005-2007, ai 15 anni del periodo 2008-2011, ai 16 del periodo 2012-2014 fino ai 17 del 2015.

La maggior parte delle separazioni – il 23,5% – avviene dopo il 25esimo anno di matrimonio, il 12% delle separazioni avviene entro i primi cinque anni di matrimonio, il resto delle separazioni è ripartito equamente tra le diverse fasce di durata. Ci si separa, in media, a 48 anni per gli uomini e a 45 anni per le donne.

Quanti sono i divorzi in Italia e in Europa?

L’ultimo indicatore che consideriamo è naturalmente il numero di divorzi che, visto il quadro dipinto finora, supponiamo essere in crescita un po’ ovunque. È così? Ni.

Nel 2018 il numero di divorzi in Italia è stato di 88.458. Furono 18 mila nel 1971, primo anno in cui si poteva divorziare. La cifra si è poi stabilizzata intorno alle 10-15 mila unità all’anno per i successivi 15 anni. Il vero boom è iniziato a metà degli anni ottanta, con una crescita di divorzi proseguita fino ad oggi, anche se il dato segna un calo dopo il picco di 99 mila divorzi nel 2016.

In pratica, per ogni 100 matrimoni ci sono circa 48 divorzi. Erano 2,9 ogni 100 nel 1975, 20 ogni 100 solo nel 2007. È dunque indubbiamente così in Italia, dove i divorzi sono in crescita anche molto significativa.

Per un confronto con gli altri paesi europei dobbiamo fare ricorso a un altro indicatore: se per i matrimoni avevamo utilizzato il tasso di nuzialità, dobbiamo usare qui quello che possiamo chiamare tasso di divorzialità, ossia il rapporto tra numero di divorzi avvenuti durante l’anno e popolazione del paese, che si esprime per mille abitanti.

Per l’Italia quindi 88 mila divorzi in rapporto a circa 60 milioni di abitanti risulta in un tasso di 1,5 divorzi ogni mille abitanti (contro 3,2 matrimoni), uno tra i più bassi in Europa, davanti solo a Slovenia, Malta e Irlanda.

I paesi del centro-nord Europa presentano i dati più alti, dati che in ogni caso sono in crescita ovunque, almeno fino al 2010. Da lì in poi in molti paesi il dato è stabile o in leggera flessione.

E le unioni civili?

Chiudiamo questa lunga carrellata dedicata ai cambiamenti del matrimonio in Italia e in Europa accennando ai primi dati disponibili sulle unioni civili in Italia.

Le unioni civili sono state introdotte nel 2016 dalla cosiddetta legge Cirinnà. Nel periodo compreso tra luglio 2016 e il 31 dicembre 2019 sono state costituite in totale 11.817 unioni civili, di cui il 67% tra uomini (7,9 mila unioni) e il 33%, circa 3,9 mila, tra donne.

unioni civili italia

Per quanto riguarda il 2019, a livello regionale il Lazio è la regione con il maggior numero di unioni civili in rapporto agli abitanti (6,1 ogni centomila), seguita da Lombardia, Toscana e Liguria. Agli ultimi posti Calabria e Basilicata con un tasso inferiore allo 0,5 per centomila abitanti.

Grande differenza la fa il contesto urbano: Roma e Milano in particolare spiccano sia per valori assoluti sia in termini relativi: 1 unione civile su 5 si è celebrata in questi due comuni.

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Sociologo, lavora come progettista e project manager per Sineglossa. Per Le Nius è responsabile editoriale, autore e formatore. Crede nell'amore e ha una vera passione per i treni. fabio@lenius.it
4 Commenti
  1. Luciano

    mahhhh.....matrimonio non c'è fretta o non interessa? Statistiche, numeri, saranno certamente importanti, credo che lo siano più per un'impresa, per le classifiche - spero nella Juve, sopratutto in Champion's -, meno per il modo di definire la vita e tutto quanto contribuisce a portare avanti in nostro essere uomo , donna, comunità ampia di persone o comunità famigliare o gruppo...... Credo sia più importante capire se per voi giovani è ancora necessaria l'unione matrimoniale, e quali siano, oltre ai classici problemi economici e di lavoro, le cause che vi hanno allontanati in buona parte dal matrimonio. Confesso che credo profondamente nel matrimonio sia religioso che civile, ognuno ha poi le proprie idee se l'unione o il matrimonio svolgono ruoli diversi e determinanti nell’ accogliere una nuova vita e nell'educazione alla vita. Quanto sia importante star vicino ai propri anziani (famiglia allargata o gruppo informale?) che vivono così a lungo e che spesso più che di cure hanno necessità di sentirsi amati ed attivi, risorse importanti nei confronti dei nipoti. E' importante conoscere i numeri, ma i numeri devono parlare di persone e non di statistiche e classifiche.

  2. Fabio Colombo

    Sono d'accordissimo. Questo è il grande limite dei dati, che dietro ai dati ci sono storie e nessun dato, anche il più preciso, riuscirà mai a contenere una storia. Quello che stiamo cercando di fare su Le Niùs è alternare dati e storie, anzi raccontare storie senza dimenticarci che comunque anche una lettura statistica può aiutarci a descrivere lo scenario in cui ci muoviamo e i cambiamenti che stanno avvenendo. Spetta a noi, poi, interrogarci sui dati e chiederci quali vicende, scelte, motivazioni ci sono dentro i numeri. Naturalmente possiamo farlo, anzi, mi sa che lo faremo.

  3. Luciano

    Direi che ci troviamo 'numericamente' d'accordo......oltretutto per anni ho seguito per la regione Marche il dossier statistico Caritas sull'immigrazione....nel 2005, mi sembra, ho deciso di fare in regione una piccola pubblicazione statistica che si intitolava: I NUMERI PARLANO DI PERSONE

  4. giorgio

    Interessante ma non sono menzionati motivi economici e fiscali che sono alla base della scelta,un po' come ignorare un elefante nella stanza: spiegherebbero almeno certe differenze macroscopiche rispetto ad altri Paesi europei. Ad esempio perche' in Ungheria ci si sposa cosi' tanto ? non c' entra nulla il costume o la mentalita' ma gli imponenti incentivi governativi che spingono a questa scelta.Non si fa menzione di un' altro aspetto essenziale: e' semplice il divorzio o e' una costosa e tortuosa vicenda burocratica?gli obblighi di mantenimento ci sono in caso di divorzio o ciascuno deve semplicemente provvedere a se stesso ? possono questi pagamenti essere cosi' onerosi da minare la qualita' della vita del ex coniuge pagante? in caso di non versamento degli alimenti possono esserci conseguenze penali? (leggevo oggi con sgomento e incredulita' dell' arresto di un cittadino che da alcuni anni non pagava il dovuto all' ex moglie). https://www.reuters.com/article/us-hungary-marriages-idUSKBN1Y01XG https://www.studiocataldi.it/amp/news.asp?id=30137-assegno-divorzio-come-funziona-in-europa#par5

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