Maschio bianco etero4 min read

9 Ottobre 2014 Cultura -

Maschio bianco etero4 min read

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Maschio bianco etero
@torbakhopper

Sembra che per scrivere un buon libro sia sufficiente guardare molti film, rubare a mani basse le migliori idee di comici e sceneggiatori e rimpastare il tutto in una storia poco originale. È ciò che fa John Niven in Maschio bianco etero (Einaudi, 2014).

L’aveva già fatto nel suo libro precedente (A volte ritorno, Einaudi, 2012): spiluccando battute e descrizioni dai comici americani degli anni ’90 e infilando un Gesù anarchico e bohémien in un talent show sulla musica, raccontava un po’ degli stereotipi sulla religione e lo show biz – che non sono poi molto diversi tra loro.

In quest’ultimo libro, invece, sembra che prenda il protagonista di Californication, serie tv ispirata mooolto liberamente alla figura di Charles Bukowski (per chi non lo conoscesse il più citato autore nei post dei social network), e lo manda a sconvolgere la vita tranquilla di una piccola università inglese.

Il protagonista è Kennedy Marr, scrittore famoso trasferitosi dalla sua natia Inghilterra a Los Angeles. Dopo aver fatto fortuna con un romanzo diventato best–seller, si reinventa sceneggiatore lautamente pagato dalle major del cinema per soddisfare tutti gli sfizi di una vita: alcol come se fosse acqua minerale, sesso come un pornodivo in un paese dell’est Europa e savoir faire alla Bogart in Casablanca.
Tutto molto bello. Tutto poco realistico, ma è narrativa e non cavilliamo.

Lo scrittore quindi (non Niven, che nel frattempo sembra aver avuto grande successo) rimane in bolletta: troppi bagordi, bella vita, scialacqua a destra e a manca e la sua coscienza – sotto forma di commercialista – gli suggerisce di accettare un premio conferitogli da un’università inglese che gli coprirà parte dei debiti e gli imporrà un periodo di insegnamento in una università della madre patria. Ovviamente nell’università in questione insegna la ex moglie dello scrittore, nonché madre della sua unica figlia adolescente, con cui non mantiene rapporti idilliaci.

Gli eventi trascendono in un vortice di studenti, professori e situazioni banali e scontate come questa frase. A leggerlo con un po’ di attenzione però non è spiacevole, sebbene chiunque abbia visto una decina di film nella sua vita potrà trovare almeno una citazione sottesa in un’immagine descritta o in un accadimento narrato.

[quote align=”center” color=”#999999″]“Talentuoso è chi il talentuoso fa”.[/quote] 

Sembra che l’autore abbia passato buona parte del suo tempo a guardare la tv e quando gli è capitato di vedere qualcosa di divertente, abbia preso un taccuino e pensato: “bella questa, me la segno e la riuso nel mio prossimo libro”.

Ma c’è di più.
Ci sono battute sagaci che rispondono ad alcuni quesiti esistenziali di non poco conto:

[quote align=”center” color=”#999999″]“Si sfilò la camicia (ma perché si metteva ’ste camicie bianche? Perché non scegliere direttamente un gilè di velcro che trattiene il cibo?)”.[/quote]

C’è un personaggio che ha ancora un po’ d’anima da salvare dopo aver rivoltato lo stomaco e il cuore al termine di una serata invidiabile per il 90% degli uomini maschi, bianchi ed eterosessuali.

Uno di quelli che nonostante tutto – ovvero nonostante la capacità di sedurre qualsiasi bipede di sesso opposto – riesce a pensare che:

[quote align=”center” color=”#999999″]“Tutti gli uomini avevano offeso l’amore. Avevano tutti peccato contro l’amore e ora ne pagavano le conseguenze. Nelle suite degli hotel di lusso avevano imprecato e nominato Dio invano sopra le scapole lucide di ragazze tutte uguali a cui ora facevano da cicisbei. […] Avevano venduto alle mogli riunioni e aggiornamenti mentre quelle ragazze sonnecchiavano accanto a loro, con una patina di sperma che si asciugava nell’interno coscia abbronzato.”[/quote]

È un uomo che teme però la contingenza e la caducità degli eventi, un esistenzialista che ha smesso di bere pastis e si è dato al Martini, che ha sostituito maglioni neri a collo alto con camicie sbottonate, taccuino e stilografica con iPhone, che trapiantato a Hollywood, inebriato dagli afrori delle giovani creature abbronzate che popolano quei luoghi (si dice), cerca di tutelare il suo possibile futuro elargendo elemosine ai mendicanti:

[quote align=”center” color=”#999999″]“– Per te è una specie di assicurazione, di piano pensionistico, aveva risposto lei. – Un investimento sulla gentilezza umana. Perché sei convinto che anche tu un giorno finirai così –”.[/quote]

Gli ingredienti ci sono tutti per creare un bel personaggio. Perché di questo si tratta, di un personaggio che nella sua sconcertante sincerità verso le bassezze della condizione umana si rende “amabile”. Infilato nella narrazione di ciò che abbiamo visto negli ultimi anni, letto o ascoltato, accompagnato con una serie di citazioni ben sistemate sulla pagina, accattivanti, divertenti e fluide, riscuote successo. Probabilmente perché il politically correct va bene se lo si rende pubblico, ma nell’intimità delle poltrone da lettura, imbottite o di ceramica che siano, si preferisce la verità brutta, sporca e cattiva; per non dire maschia, bianca ed eterosessuale.

[quote align=”center” color=”#999999″]– Be’, come ha detto un grande, – disse Kennedy, – non siamo obbligati a fare arte. Non siamo obbligati a fare la storia. O a dire qualcosa. Siamo obbligati a fare soldi. E per fare soldi a volte siamo costretti a fare arte, a fare la storia, a dire qualcosa.
– Hemingway? – disse Drummond, aprendogli la porta.
– Il produttore di Flashdance – .[/quote]

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Nato lo scorso secolo, da 30 anni specula sui grandi temi dell’umanità: Dio, la velocità della mano sul claxon allo scattare del verde, gli abbinamenti scarpe-cintura. Dopo un dottorato di ricerca in filosofia ora lavora. Sì, fa quello che state pensando. Proprio quel mestiere. Intanto si è appassionato ai documentari sulla riproduzione degli animali. Si vanta di non avere verità, solo qualche opinione, come questa.
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