Il Pimpa in Siria: resta solo il sorriso dei bimbi9 min read

3 Agosto 2022 Cooperazione -

Il Pimpa in Siria: resta solo il sorriso dei bimbi9 min read

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Marco Rodari, in arte il Pimpa, è un clown di guerra. O forse il clown di guerra. Come Le Nius lo seguiamo nei suoi viaggi, ma questa è la prima volta in cui Marco ci chiede esplicitamente di parlare della drammatica situazione siriana, oltre che del sorriso dei bambini incontrati.

Paolo Dell’Oca: Ciao Marco, sei arrivato da poco dalla Siria, com’è andata?

Marco Rodari: Per quanto riguarda l’incontro con i bimbi è andata molto bene: è sempre straordinario vederli sorridere e meravigliarsi. È sicuramente il lato più positivo di ogni esperienza che vivo in qualunque luogo del mondo, quando incontro bambini e adulti in difficoltà.

Per quanto riguarda il resto ho incontrato tante persone che stanno peggio di qualche anno fa per tanti motivi. Il primo è ovviamente che la guerra non è finita: è meno forte nelle città però non è finita, dura da più di 11 anni.

A pochissimi giorni dal mio rientro a casa riporto la grande difficoltà di chi bambino non è più. Non che non siano in difficoltà i bimbi, però loro danno speranza: col passare del tempo purtroppo stanno diventando l’unica speranza perché la situazione è veramente complicata.

PDO: Facciamo un passo indietro: quanto tempo sei stato in Siria, dove e a fare cosa?

MR: Ho avuto il privilegio di vivervi più di un mese: uno dei problemi maggiori è che veramente pochissimi possono entrare in Siria, sia stranieri che siriani. Ho girato le grandi città: Aleppo, che è un po’ la mia base, Homs, Latikia e Damasco.

Partendo da Aleppo e andando a Damasco ho raggiunto anche piccoli villaggi, a volte isolati, e lì è proprio incredibile il contrasto: si arriva in una situazione complicatissima dove prima del momento del clown è giusto portare acqua, cibo e se possibile magari un vestito pulito, soprattutto per i bimbi.

E dopo c’è questa gioia pazzesca: i bambini non hanno mai vissuto un momento di gioia, quantomeno comunitario, quest’anno è una delle cose che da un lato mi riempiono veramente di orgoglio, ci sono persone che lavorano tanto per far sì che il pagliaccio possa arrivare in questi luoghi; però dall’altro lato non posso non pensare che in 7, 8, 11 anni questo è il primo momento in cui ci si ritrova insieme.

È capitato che si parte dalle lacrime di commozione (di solito dei più grandi) per poi sciogliersi davvero tutti davanti alla gioia dei bimbi.

PDO: Hai incontrato persone che già conoscevi?

MR: Sì, soprattutto ad Aleppo, ho cercato di tornare nei luoghi dove ero già stato. Sono trascorsi un paio d’anni e in due anni i bambini crescono molto però mi ricordavano.

Era importante per me inserirmi nell’ingranaggio dei giovani che organizzano attività per i bambini; anche per questi giovani è bello avere una persona che arriva da fuori e che porti novità per i bimbi: fai conto che in un mese e pochi giorni siamo andati a incontrare circa 50.000 bambini.

Vista la difficoltà a spostarsi nel Paese è stato straordinario, avevo più manager (diciamo così!) in giro per le varie città che mi accoglievano. La mia relazione con queste comunità non finisce con la mia ripartenza: da molte parti ci sono attività che proseguono tutto l’anno.

Altrove ho visitato invece situazioni in cui non c’è veramente niente per i bambini, a volte neanche la scuola: e c’è una differenza clamorosa nell’incontro tra il clown e i bambini se c’è una parvenza di scuola o se non c’è.

PDO: Attraversando la Siria cosa vedevi intorno a te?

MR: Attraversando la Siria si vedono solo macerie, e questo mi è capitato solo in Siria: in Iraq ci sono città parzialmente distrutte e quartieri totalmente distrutti, per farti un esempio, ma se uno si muove all’interno del Paese non trova la distruzione totale.

La Siria invece è impressionante. Lo è stato nel 2017 quando l’ho potuta percorrere per la prima volta da Damasco ad Aleppo e oggi non è cambiato niente: ogni volta che arrivavo in un villaggio cercavo dei piccoli segni di vita e non ne ho trovati.

Viaggiavo per ore, guardavo a destra, guardavo a sinistra, e vedevo tutte case distrutte; e quelle case sono ancora abitate, perché tantissimi milioni di persone in Siria vive nelle macerie. Te ne rendi conto quando ti capita di viaggiare all’imbrunire e allora tra le macerie vedi spuntare qualche lumino, che da un lato dimostra che la vita resiste, dall’altra parte vivere lì con i 40° C di questi giorni o d’inverno…

PDO: Tante volte sei tornato da paesi, europei, africani, mediorientali, e mi hai raccontato dei bambini, degli spettacoli che hai fatto e degli incontri. Questa volta invece sento da parte tua un racconto diverso.

MR: Speravo che la Siria avesse fatto dei passi in avanti, o quantomeno che fosse rimasto tutto come due anni fa, invece ha fatto troppi passi indietro. Per 1000 motivi: ho avuto occasione di parlare con i missionari e persone che conoscono bene la realtà ed eravamo tutti consapevoli che

per la situazione attuale in Siria, tolto il sorriso dei bambini, non c’è speranza.

La Siria vive una guerra da tanti anni, in questo momento ci sono più eserciti stranieri che fanno letteralmente quello che vogliono in alcune aree della Siria. Poi ci sono i terroristi che stanno tornando ad emergere con attentati: ho fatto uno spettacolo con i bimbi in un luogo di Aleppo che qualche ora dopo è saltato in aria.

Il problema grande che sento io è questo: nelle grandi città la guerra non si combatte più da diversi anni ma se poi non c’è alcuna possibilità di ripartire (anzi, se le condizioni economiche vanno a peggiorare rispetto quando c’era la guerra) allora si cade in una depressione data dal fatto che non vedi un minimo di futuro e hai fame, non hai un litro di benzina, non hai la corrente elettrica. Più passa il tempo più queste mancanze deprimono un ambiente che non vedevo fino a due o tre anni fa così depresso.

La depressione la vivo anch’io su me stesso perché io sono un po’ siriano e avevo bisogno questa volta più che mai dell’incontro con i bambini, come quando si combatteva ad Aleppo e avevo bisogno dell’incontro con i bambini per vedere una speranza. Adesso non si combatte più ma la speranza non si vede.

PDO: Dici che la speranza non si vede: hai qualche dato, hai chiesto a qualcuno come arriva alla fine del mese?

MR: Si intuisce subito: c’è grande fame perché ci sono bambini che cercano nella spazzatura e non li si vedeva se non in alcuni momenti di guerra pesantissima, in particolare in Aleppo, e i bambini si aggiungono agli adulti.

A causa di questa crisi economica che sta investendo la Siria gli stipendi vanno dai 5 ai 25 euro al mese: sto parlando di infermieri o di insegnanti. Un chilo di riso costa tra 1 e 2 euro: si lavora per mille lire siriane al giorno, molto sotto la soglia di povertà.

Ho visto l’impegno straordinario di tutte le chiese unite che cercano di dare da mangiare a migliaia di persone: la fame è sicuramente la cosa che più emerge e gli stipendi sono crollati proprio con la pandemia e poi con lo scoppio della guerra in Ucraina.

Difficilmente mi permetto di esprimere analisi geopolitiche sulle situazioni, io più che altro posso portare emozione, ma vedere tanti bambini che ravanano nell’immondizia è qualcosa che così non avevo mai visto in Siria.

Un’altra cosa che vorrei che emergesse oltre alla guerra e al terrorismo è l’embargo: la Siria è sotto embargo da parte praticamente di tutti i paesi dell’Occidente. Questo crea una povertà ancora maggiore.

Senza fare macrodiscorsi vi racconto un paio di cose peggiorate rispetto a qualche anno fa, perché le sanzioni si sono inasprite sempre di più; ad esempio ad Aleppo c’è un bellissimo gruppo di ragazzi con disabilità, chiamato Impronte di gioia, che hanno dei laboratori artigianali: braccialetti, piccoli oggettistica e con un laboratorio facevano il sapone di Aleppo; ecco l’embargo non permette più loro di vendere nulla.

Il mercato interno non esiste, perché chi può permettersi di comprare qualcosa con 5 o 25 euro di stipendio? E se un’organizzazione italiana volesse acquistare del sapone per dare una mano a questi ragazzi perché possano continuare a far vivere questo centro non potrebbe farlo.

Nessuno può più andare neanche al confine a portare aiuti; noi ne siamo stati testimoni insieme, Paolo, in Ucraina: al di là del cibo che può portare un camion, andando in loco si dimostra fisicamente la propria vicinanza.

In Siria questo è impossibile. Io sono un mezzo miracolato per la possibilità di entrare. Tante organizzazioni che ho conosciuto anche in Ucraina mi hanno detto: “Marco, sappiamo che tu vai in Siria, possiamo fare lo stesso?”, e io ho dovuto dire “No, non si può fare lo stesso”, e in molti casi erano stupiti di questo: “Ma come no? Non possiamo aiutare? Possiamo fare un bonifico e mandare dei soldi?”. Non si può, e così l’embargo distrugge le piccole realtà.

Tu prima mi hai chiesto se avessi trovato chi conoscevo già. Ecco, alcuni bambini io non li ho più trovati. In particolare non ho ritrovato Mustafa, un bimbo malato di cancro che avevo conosciuto nell’ospedale ad Aleppo. L’embargo impedisce l’arrivo e la distribuzione dei farmaci. E quando ci sono si scatena il mercato nero e anche i farmaci raggiungono costi insostenibili.

Io non so che fine avrebbe fatto Mustafa; ma lui non ha ricevuto il massimo delle cure possibili e sono molto dispiaciuto perché questo ragazzino aveva lottato per la sua vita durante la guerra ad Aleppo e, finita la guerra, si pensava che ci fosse speranza per questi bimbi e invece così non è stato.

La carenza di farmaci di buona qualità o la totale assenza di farmaci è uno dei motivi per cui muoiono tante persone: l’anziano che deve prendere la pillola per il cuore non la prende più, e quindi piano piano muore. E allo stesso modo è ingiusto che i bimbi non possano avere le cure migliori possibili. Questo è troppo ingiusto.

PDO: Ci riporti una Siria che dopo due anni hai trovato più sola, con più fame, con meno speranza, vittima di un embargo che la mette a dura prova. Ci sono le parole di qualcuno che spiegano ulteriormente la situazione che vorresti menzionare?

MR: Vi invito ad andare a leggere e ascoltare un’intervista che ha fatto Mario Zenari, Nunzio apostolico che ha sede a Damasco, che spiega la questione siriana, quanto sia dura una guerra e quanto sia in questo momento particolarmente dura la guerra in Siria.

PDO: Grazie Marco, al prossimo viaggio!

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Milanese milanista, per Le Nius redattore e formatore. Comunica per Fondazione Arché, blogga per Vita.it. Persegue la semplicità e, nel cammino, interroga il suo tempo. Ha sempre da imparare. paolo@lenius.it
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