Restare a casa, con i bambini: com’è andata alle madri lavoratrici durante la pandemia?10 min read

23 Giugno 2020 Genere -

Restare a casa, con i bambini: com’è andata alle madri lavoratrici durante la pandemia?10 min read

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Scritto con il contributo di Lidia Manzo, Università di Milano

lockdown disuguaglianze genere

La pandemia ci ha insegnato una lezione importante sulla divisione di genere del lavoro domestico: madri e padri si sono trovati costretti ad affrontare insieme le conseguenze di una nuova organizzazione del lavoro di cura e del lavoro retribuito, imposta dall’isolamento forzato che ha rinchiuso tutti noi tra le mura domestiche per quasi due mesi.

Prima di questo momento, ad occuparsi del lavoro di cura della casa e dei figli erano prevalentemente le madri, in tutti i paesi e i gruppi sociali, anche tra coloro che hanno un elevato grado di istruzione (Urdinola e Tovar, 2019), nei paesi del nord Europa, sebbene fra i più egualitari (Bernhardt et al. 2008) e tra le coppie in cui è la donna ad avere una retribuzione maggiore (Chesley, 2012).

In Italia la situazione è particolarmente drastica da questo punto di vista. Insieme alle donne rumene, le donne italiane detengono il record tra le europee per il lavoro familiare quotidiano con una media di 4,5 ore al giorno, contro 1,5 ore per gli uomini italiani (Eurostat 2019). Inoltre, mentre le donne italiane sono le più attive nel lavoro di cura, gli uomini sono meno attivi che in altri paesi.

Uno scompenso che genera una disparità di genere più marcata che altrove, in cui a giocare un ruolo fondamentale sono anche gli standard di cura che nel nostro paese, viste le ore ad essa dedicate, sono più alti che altrove. Data la scarsa partecipazione delle donne al lavoro retribuito in Italia, che solo recentemente ha toccato il 50% della popolazione in età da lavoro, si potrebbe pensare che la differenza nel lavoro domestico sia dovuta al fatto che le donne passano più tempo a casa rispetto agli uomini.

In realtà, secondo gli ultimi dati Istat, anche quando le donne contribuiscono al reddito e al lavoro tanto quanto gli uomini, sono loro a farsi carico della maggior parte del lavoro di cura. Le donne lavoratrici contribuiscono con 2,8 ore in più degli uomini, un divario che sale a 4,2 quando ci sono bambini in casa.

Cos’è successo durante il lockdown

Ma cosa è successo nelle famiglie durante il periodo di isolamento? Alcuni dati ci dicono già che la divisione di genere si è amplificata in questo periodo e che la struttura del lavoro di cura è rimasta invariata. Un recente studio (Del Boca et al. 2020) mostra che il 68% delle donne che durante il lockdown hanno lavorato da casa hanno dedicato più tempo al lavoro domestico durante l’isolamento rispetto alla situazione precedente, il 29% ha dedicato lo stesso tempo e solo il 3% ha sentito ridotto il carico di cura.

Guardando ai partner, solo il 40% degli uomini ha trascorso più tempo dedicandosi ai lavori domestici, mentre la maggior parte (55%) non ha modificato il proprio comportamento (solo il 6% lo ha diminuito).

lockdown e lavoro domestico

Per le coppie con figli, se si analizza il tempo dedicato dai genitori alla loro cura, la maggior parte delle donne che durante il lockdown ha lavorato (61%) lo ha aumentato. Solo il 34% ha lasciato invariato il proprio impegno (e solo il 5% lo ha ridotto). Anche la maggioranza degli uomini ha aumentato il tempo dedicato alla cura dei figli, ma la percentuale è del 51%. Ben il 45% non ha modificato il proprio comportamento (e solo il 3% ha ridotto il tempo dedicato alla cura dei figli).

Maggiori evidenze si possono dedurre dall’analisi delle narrazioni di queste madri lavoratrici e di come hanno gestito in famiglia tempi e spazi tra lavoro di cura e lavoro retribuito. Questo è stato proprio lo scopo del progetto SMART MAMA, realizzato da Lidia Manzo, Università di Milano, e Sara Martucci, Mercy College, in cui sono state raccolte più di quaranta interviste di madri con figli dell’età massima di cinque anni, che hanno raccontato le loro giornate durante la pandemia.

L’isolamento, secondo queste interviste, avrebbe aggravato le disuguaglianze di genere, creando un riordinamento domestico diseguale delle funzioni genitoriali. Le madri lavoratrici hanno ridefinito l’organizzazione spesso in modo creativo (ed efficace), facendosi anche carico della gestione emotiva del lockdown sui figli, cercando di mantenere un certo grado di normalità ed efficienza sul lavoro.

Madri lavoratrici in lockdown, tra lavoro a distanza e genitorialità

Tutte le partecipanti all’indagine hanno riferito chiaramente di aver dovuto riprogrammare completamente le loro attività quotidiane: orari di sonno, sveglia, turni per lavorare, cucinare, pulire, giocare e assistere i bambini. Questo è accaduto anche quando i padri erano in smart working o avevano sospeso il lavoro (risultati da Manzo e Minello 2020).

In generale, quasi tutte le madri si prendevano cura dei figli durante l’isolamento, sacrificando il loro tempo di lavoro e mettendo in atto strategie diverse per far fronte alla nuova situazione, dalla riorganizzazione radicale degli spazi della loro casa (ad esempio il balcone utilizzato per la merenda e i giochi pomeridiani, il soggiorno per la ginnastica, il garage trasformato nell’ufficio del padre, etc.) alle negoziazioni con i figli sull’orario del riposino, la concessione di merendine e persino dell’allattamento pur di potersi ritagliarsi del tempo di lavoro.

“Mi sento molto in colpa – dice un’intervistata – quindi cerco di organizzarmi: sulla tavola rotonda facciamo insieme puzzle, costruzioni, [e] disegni. A volte accendo il PC e lavoro mentre lui gioca, non interagiamo molto. C’è silenzio, così metto un po’ di musica. È tutto orrendo! Forse sei al telefono con il tuo capo e tuo figlio deve andare a fare pipì, e non riesci a capire né l’uno né l’altro.”

E ancora: “Diciamo che ho avuto una “evoluzione”! Ho capito che posso fare tutto al telefono, posso fare qualsiasi cosa ovunque, solo quando ho una chiamata lei [la figlia] è intelligente e ne approfitta, può chiedere dei dolci e sa che li avrà!”.

Le mamme lavoratrici a distanza che hanno partecipato allo studio ci hanno rivelato che riuscivano a lavorare soprattutto quando i bambini dormivano: all’alba, di notte, e durante il pisolino post pranzo, che all’improvviso è diventato il picco della loro produttività.

Le coppie che cercavano di sostenersi a vicenda tra chiamate e scadenze e che tendevano a dividersi equamente la cura dei figli erano poche. Prevaleva il modello male-breadwinner, che privilegia incondizionatamente il lavoro degli uomini, a prescindere che sia o meno quello maggiormente retribuito o con maggiori prospettive di carriera.

Lui è un consulente del lavoro, così ha creato un ufficio nel garage ed è lì 9-13 e 15-cena; mi dice che ha cercato di tenere le ragazze, ma non ci è riuscito e quindi faccio tutto da sola, anche quando devo insegnare online e quindi lavoro di notte.

Un’altra testimonianza: “Le ragazze stanno a casa con me, mi occupo di loro da sola. Anche se anche il mio compagno ha iniziato a lavorare in modo intelligente, si prende cura di loro solo quando ho degli incontri online. Mia è l’attività di metterle a letto, cucinare… Lavoro subito la mattina dopo aver preparato le ragazze e poi dopo pranzo, mentre la piccola dorme.”

In questo senso, raggiungere un compromesso con i bambini e i partner nell’organizzazione quotidiana del lavoro e della cura dei figli non significava trovare un equilibrio. Questo ha portato spesso all’emergere di sentimenti di sconforto e frustrazione: “la grevità dei lavori di casa è schiacciante! Per esempio, io lavo i pavimenti e poi la ragazza ci fa letteralmente la pipì sopra. Rifaccio i letti, e un secondo dopo fanno già schifo… è frustrante, e penso grazie al cielo che non lo faccio per tutta la vita!”.

Alcune delle intervistate hanno reagito esprimendo le loro emozioni ad alta voce: “Gestire l’esaurimento è la cosa più difficile. Ci sono giorni in cui piango e urlo. Mio marito non mi capisce, dice che è inutile urlare”. Al contrario, altre hanno preferito evitare gli scontri: “Devo lottare per tutto? Io mi lascio andare il più possibile. Non posso combattere ogni giorno in questo momento di crisi”.

Sicuramente la dimensione psicologica e le conseguenze a lungo termine sono un aspetto da considerare. Il carico di lavoro, effettivo e mentale, può avere avuto un peso sul benessere psicologico delle madri, e ovviamente anche dei figli e dei padri.

donne e lockdown

Impareremo la lezione?

Le interviste qualitative, pertanto, confermano e arricchiscono la tendenza sottolineata dalle evidenze statistiche, e fanno pensare che la lezione che si poteva imparare da questa esperienza è andata invece, in gran parte perduta. Dobbiamo stupircene?

No, non è per nulla stupefacente il fatto che nel nostro paese la divisione del lavoro di cura non sia stata stravolta dalla pandemia, così come non è stupefacente che ad oggi il sistema non si sia ancora riattivato in maniera forte per alleviare il lavoro di cura delle madri mentre l’anno scolastico si è concluso e i servizi di cura dei bambini piccoli non si sono ancora ristabiliti totalmente o lo hanno fatto a prezzi elevati.

D’altronde, che nel nostro paese il lavoro di cura sia particolarmente sbilanciato a sfavore delle donne è dimostrato dai dati citati a inizio articolo. Che l’Italia, poi, non sia leader nel facilitare la conciliazione fra i tempi del lavoro e quelli della cura per le donne, attraverso l’attivazione di servizi alternativi a quelli familiari, non è anch’essa una novità.

Prendiamo il caso degli asili nido. La diffusione degli asili nido è andata aumentando nel tempo, con notevoli differenze territoriali, ma non copre oggi le necessità delle famiglie con bimbi piccoli. I posti a disposizione dei bambini nella fascia 0-3 coprivano nel 2017/2018 il 25% dei bambini. Questo dato è ancora sotto il parametro del 33% che l’UE aveva fissato nel 2002 e che sarebbe dovuto essere raggiunto dieci anni fa. Un sistema dunque che conta ancora più sul sostegno familiare o informale che sul sostegno statale o territoriale.

In un contesto così, potevamo davvero pensare che la riorganizzazione della cura non gravasse sulle spalle delle donne?

Soluzioni solo parziali erano prevedibili. Si pensi al bonus per l’acquisto di servizi di baby-sitting per un massimo di 1.200 euro elargito solo ad alcune categorie, che copre dal 5 marzo al 31 luglio 2020 solo 120 ore di babysitting (ovvero 24 ore al mese per circa 5 mesi), quando i servizi educativi privati per l’infanzia – lasciati liberi di gestirsi le proprie le quote – hanno continuato a pretendere il pagamento delle rette pur non garantendo alle famiglie alcun servizio. Così come quei pochi centri estivi privati che, per la fascia 0-3 sono arrivati a chiedere cifre intorno ai mille euro al mese per servizi a orari ridotti rispetto a quelli pre-covid.

In generale, quindi, il lockdown ha esasperato la suddivisione delle attività di cura che già era notevolmente sbilanciata tra i partner. Durante la pandemia le donne, comprese quelle che lavorano regolarmente, hanno svolto la maggior parte dei compiti domestici.

Occorre capire perché il modello del “capofamiglia” maschile prevale anche in condizioni di emergenza quando mostra tutti i suoi limiti, come potrebbero suggerire gli effetti negativi a lungo termine sul mercato del lavoro femminile (Blaskò et al. 2020).

Oggi più che mai la pandemia ha ingigantito una “crisi della cura” che deve essere intesa strutturalmente. Le risposte alla crisi da questo punto di vista possono servire da campanello d’allarme. Un sistema che in qualche modo accetta questo tipo di divario può essere scardinato quando mostra tutta la sua debolezza.

La lezione che la pandemia ci lascia è proprio il mostrare in maniera palese fra le famiglie italiane quanto il sistema sia debole di fronte a necessità relativamente nuove: cresce la partecipazione al mercato del lavoro, cresce il bisogno di parità. Questo significa da un lato riconoscere la centralità alle risorse emotive impiegate nelle attività di cura – specialmente per l’accudimento dei figli – dall’altro rendere consapevole lo Stato della necessità di una massiccia riorganizzazione di tali servizi, volta alla promozione dell’eguaglianza di genere.

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Demografa sociale all’Università di Firenze. Studia le differenze di genere in Italia e in Europa, declinate in vari ambiti: istruzione, sessualità, omicidi, fecondità.
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