Le politiche migratorie in un’America al voto9 min read

3 Novembre 2024 Migrazioni Mondo Politiche migratorie -

Le politiche migratorie in un’America al voto9 min read

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Il 5 novembre 2024 gli elettori statunitensi saranno chiamati a scegliere chi, fra l’ex presidente Donald Trump e la vicepresidente uscente Kamala Harris, governerà gli Stati Uniti per i prossimi quattro anni. Sono molteplici le questioni sulle quali l’elettorato dovrà pronunciarsi: dalle sfide legate alla politica estera a quelle interne relative all’economia, al welfare, all’assistenza sanitaria e al diritto all’aborto.

Poche, però, hanno animato il dibattito politico degli ultimi decenni come ha fatto l’immigrazione. Repubblicani e democratici da tempo si confrontano con la gestione dei flussi di persone migranti in movimento verso gli Stati Uniti: come continueranno a farlo dopo le elezioni?

[📸 IoSonoUnaFotoCamera]
Durante la campagna presidenziale il candidato repubblicano Donald Trump ha fatto dell’immigrazione il suo cavallo di battaglia, così come nel 2016 quando le sue proposte furono accolte con successo dagli elettori, tanto da contribuire significativamente a confezionare l’allora vittoria. Oggi il Tycoon è di nuovo in gara e i suoi sforzi si concentrano sul ripromettere di porre fine all’immigrazione irregolare negli USA rilanciando molte delle politiche istituite durante il primo mandato, a cominciare dal completamento del muro lungo il confine che separa gli Stati Uniti dal Messico. Di fatto la prima amministrazione Trump ha provveduto all’installazione di circa 136 km di barriere laddove prima non c’erano, sostituendo altri 600 km di recinzioni basse e datate. Il progetto è proseguito poi con Biden, che nel 2023 ha annunciato di aggiungere altri 32 km di muro nella Valle del Rio Grande, utilizzando i fondi stanziati nel 2019 dal predecessore.

La barriera del confine di Yuma
Un tratto della barriera del confine di Yuma [📸 Clay Gilliland]
Trump vuole potenziare anche i controlli lungo la frontiera aumentando il dispiegamento di agenti. Per questo, in campagna elettorale, ha promesso l’assunzione di 10mila nuovi agenti della U.S. Customs and Border Protection nonché aumentare i loro stipendi, se il Congresso lo permetterà.

Un altro punto del programma elettorale riguarda il Migrant Protection Protocols, meglio noto come il programma “Remain in Mexico”. Introdotto nel 2019 per fronteggiare l’aumento degli arrivi via terra dall’America Latina, il programma stabilisce che i richiedenti asilo – uomini, donne e famiglie – fermati lungo il confine meridionale, e le cui motivazioni della richiesta di protezione appaiono già in un primo momento credibili, debbano essere rimandati in territorio messicano dove devono attendere l’udienza per la valutazione dell’istanza di asilo.

Soltanto pochi giorni fa Trump ha dichiarato un’altra volta di voler attuare, in caso di vittoria, «la più grande deportazione di massa dei migranti clandestini» a partire, dice, dai membri delle gang e dagli appartenenti ai cartelli criminali sudamericani arrivati nel Paese irregolarmente. Per farlo ha invocato l’Alien Enemies Act, una legge del 1789 che autorizza, in stato di guerra, il presidente in carica a trasferire, arrestare o deportare qualsiasi cittadino non statunitense ritenuto pericoloso per la pace e la sicurezza degli Stati Uniti, che provenga, però, da un paese ostile agli States.

Il tycoon ha promesso poi di ripristinare «più forte di prima» il divieto di viaggio, una delle misure distintive della sua prima presidenza. Attuato, seppur con svariati ostacoli, al fine di «proteggere la nazione dall’ingresso dei terroristi», il divieto sospendeva temporaneamente la possibilità di oltrepassare le frontiere alle persone con passaporto iraniano, libico, somalo, siriano e yemenita; si sono aggiunte in un secondo momento anche la Corea del Nord e il Venezuela. Nella stessa occasione fu abbassato pure il tetto dei rifugiati ammessi, che viene fissato ogni anno dal presidente in carica: nel 2021 Trump ridusse il numero dai 110 mila della Presidenza Obama a 15 mila e fu sospeso il ricollocamento dei rifugiati siriani. Oggi, invece, Trump ha promesso di non ammettere i rifugiati palestinesi in fuga dagli attacchi israeliani, per proibire l’ingresso di chi simpatizza con Hamas.

Tra le altre promesse vi è poi quella di negare la cittadinanza ai bambini nati negli Stati Uniti da genitori non statunitensi e non legalmente residenti nel Paese, così da porre fine al «turismo delle nascite», andando dunque verso la fine della cittadinanza per diritto di nascita sul suolo statunitense (ius soli), sancito dalla Costituzione.

Sempre rispetto alle persone prive di regolari documenti, Trump mira a tagliare i finanziamenti alle cosiddette “sanctuary cities” ovvero alle città, o alle comunità, che dispongono di regolamenti e\o adottano politiche che rendono difficile la collaborazione con le autorità federali nel momento in cui devono rintracciare gli immigrati irregolari così da arrestarli ed espellerli.

[📸 Colin Lloyd]
Sul fronte democratico, Kamala Harris da un lato fatica a reggere il confronto con il successo che Trump riscuote tra gli elettori mentre dall’altro si scontra con l’aumento record dell’afflusso di migranti ai valichi di frontiera lungo il confine sud, avvenuto nel periodo post-pandemia. Sebbene appena eletto Biden abbia ribaltato la maggior parte del lavoro realizzato da Trump, il numero crescente di arrivi ha comunque spinto l’amministrazione uscente ad attuare maggiori restrizioni. Una di queste è stata varata lo scorso giugno, in piena campagna elettorale, volta a limitare il numero di richieste di asilo che possono essere presentate al confine con il Messico. L’ordine esecutivo impedisce infatti ai migranti irregolari di beneficiare del diritto di asilo quando gli ingressi superano i 2500 al giorno, inizialmente per sette giorni consecutivi mentre dal 30 settembre i giorni sono ventotto. La Casa Bianca ha specificato che le persone saranno riammesse quando il numero tornerà a scendere sotto i 1500 ingressi giornalieri.

Questa misura è stata appoggiata da Harris, la quale in queste settimane si è rivolta agli elettori promettendo di essere più restrittiva nei confronti dell’immigrazione illegale, limitando l’accesso alle frontiere al di fuori dei canali ufficiali di ingresso e promettendo di inasprire le pene per le persone che tentano di attraversare il confine sprovviste di documenti legali.

Da vicepresidente si è spesa per far approdare in Senato l’accordo bipartisan sulla sicurezza delle frontiere, naufragato a maggio per il mancato sostegno dei repubblicani. Il disegno di legge conteneva l’assunzione di personale alla Customs and Border Protection, maggiori finanziamenti agli agenti di pattuglia e l’introduzione di tecnologie più avanzate per il monitoraggio dei confini – tra cui l’installazione di cento scanner per aiutare il rilevamento del fentanyl nei punti d’accesso situati sul confine sud-occidentale – e l’espansione dei posti letto nelle strutture detentive per migranti gestite dall’Immigration and Customs Enforcement. Il disegno di legge si è posto come obiettivo anche quello di riformare il diritto di asilo, introducendo procedure più accelerate di valutazione delle domande di asilo e incrementando il numero di funzionari che se ne occupano.

Presumibilmente una futura amministrazione Harris continuerà a portare avanti queste proposte, accanto alla volontà di espandere i percorsi di ingresso legali come il reinsediamento dei rifugiati, l’aumento dei visti per lavoro e ricongiungimento famigliare, agevolando inoltre le imprese statunitensi nell’accesso alla manodopera straniera.

Ricordiamo per altro che Harris è stata forte sostenitrice del Deferred Action for Childhood Arrivals (DACA), il programma istituito da Obama, e al quale Trump ha cercato di porre fine, finalizzato a offrire tutele e protezione ai giovani migranti che sono arrivati nel Paese privi di documenti quando erano bambini (per richiederlo bisognava avere almeno 15 anni) e come vicepresidente ha investito molto per lavorare sulle cause delle migrazioni. Per questo l’amministrazione uscente ha cercato di implementare gli sforzi diplomatici e di sostegno al Guatemala, El Salvador e all’Honduras, con l’intendo di ridurre all’origine i motivi che spingono le persone a lasciare la propria casa.

Insomma, sebbene in materia di immigrazione Harris non abbia delineato nel dettaglio le politiche che intende attuare, se eletta potrebbe procedere con un insieme di azioni finalizzate al controllo e contemporaneamente continuare a spingere per una riforma completa del sistema che regola l’immigrazione negli States. Un approccio che potremmo definire “misto” e che si oppone a quello di Trump, in quanto quest’ultimo si regge quasi unicamente sull’adozione di misure strettamente punitive e respingenti.

Gli elettori cosa pensano delle politiche migratorie?

A pochi giorni dall’election day continua il testa a testa nei sondaggi tra i due candidati e la questione migratoria è senz’altro un aspetto che ancora una volta risulterà decisivo. Secondo il Pew Research Center, infatti, circa sei elettori su dieci ritengono l’immigrazione rilevante per il voto. In particolare, lo è per ben l’82% dei sostenitori di Donald Trump, dietro all’economia, e lo è per il 39% dei sostenitori di Kamala Harris, dopo l’assistenza sanitaria, le nomine della Corte Suprema, l’economia, l’aborto, la politica sulle armi e il cambiamento climatico.

(Pew Research Center, settembre 2024)

Scendendo più nel dettaglio, è possibile osservare come prima cosa che per ben il 59% sostenitori di Trump il numero crescente delle persone immigrate impatta negativamente sulle loro vite. Sensazione condivisa dall’11% dei sostenitori di Harris (mentre per il 65% non fa alcuna differenza). Al di là di questo, il 31% degli elettori repubblicani – contro il 62% dei democratici – ritengono che le persone migranti che vivono legalmente nel Paese contribuiscono a migliorare l’economia. Il 71% dei sostenitori di Trump e l’81% di quelli di Harris appoggiano l’ingresso di un maggior numero di immigrati altamente qualificati. Interessante osservare che quasi la metà dei sostenitori di entrambi condividano l’idea che l’immigrazione dovrebbe essere mantenuta al livello attuale. Circa il 49% dei sostenitori di Trump e l’85% di Harris sono favorevoli all’ammissione di un maggior numero di rifugiati.

Spostandoci sull’immigrazione irregolare, il 66% dei sostenitori di Trump e il 40% di Harris afferma che il governo degli Stati Uniti ha poco, se non addirittura nessun, controllo dei migranti che attraversano i confini sprovvisti di documenti. Il 37% dei sostenitori di Kamala Harris e il 92% di quelli di Donald Trump affermano che coloro i quali vivono irregolarmente nel Paese peggiorano la criminalità. Quasi nove sostenitori di Trump su dieci sono favorevoli alle deportazioni di massa delle persone irregolari, alle quali si oppone invece il 72% degli elettori di Harris.

In generale, il sondaggio rileva una minor propensione dell’elettorato statunitense a dire che gli immigrati irregolari dovrebbero rimanere; nel 2017 erano quasi otto su dieci gli elettori favorevoli all’idea che le persone prive di documenti avrebbero dovuto essere autorizzate a rimanere legalmente, a patto che venissero soddisfatti determinati requisiti, mentre oggi sono solo il 59% (l’87% dei sostenitori di Harris e il 33% di Trump). In comune l’elettorato crede che si debba migliorare la sicurezza delle frontiere (96% Trump e 80% Harris) e che ci sia bisogno di riformare il sistema che regola l’immigrazione degli Stati Uniti, più o meno da zero (74% Trump e 76% Harris). Inoltre il sondaggio prende atto che la fiducia nella gestione dell’immigrazione da parte dell’amministrazione Biden è diminuita e a settembre erano più gli elettori a dare credito a Trump rispetto ad Harris (il 52% e il 45%), pur mantenendo lei maggiore affidabilità di Biden.

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Laureata in filosofia all'Università di Verona, inizia a lavorare come operatrice nel Sistema di Accoglienza e Integrazione. Frequenta il master Migrazione e sviluppo presso l'Università Sapienza di Roma, nel tempo libero studia la criminalità organizzata e scrive articoli di approfondimento sulle migrazioni e sulla criminalità.
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