L’Alpe d’Huez e le altre cime. Dieci anni senza Marco Pantani3 min read

14 Febbraio 2014 Viaggi -

L’Alpe d’Huez e le altre cime. Dieci anni senza Marco Pantani3 min read

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Marco Pantani
@driek

Morire all’hotel “Le Rose” nel giorno di San Valentino ha un che di simbolico nella tragedia. Dieci anni fa ci lasciava il “Pirata” per antonomasia del ciclismo, abbandonando nei VHS la gloria di un passato che non sarebbe più stato presente. Marco Pantani, in realtà, non era più lui da tempo quando fu trovato senza vita, solo, in una stanza d’albergo a Rimini.

Di cime che ne hanno segnato il passaggio dai comuni mortali alle leggende ce ne sono diverse tra Italia e Francia: il Mortirolo, l’Alpe di Pampeago, il Galibier. E L’Alpe d’Huez. Un paradiso per gli sciatori, 123 piste per 243 km di distesa nevosa, entrato però nella memoria degli sportivi italiani grazie alla “Grande Boucle” e alla tradizione italiana che qui vide trionfare anche Fausto Coppi nel 1952. Ventuno tornanti che riportano i nomi di tutti i vincitori di tappa, 1100 m di dislivello.

Per Pantani un simbolo. L’unico arrivo che lo ha visto braccia al cielo per due volte in carriera. Tutti gli altri traguardi li ha tagliati per primo una volta sola, in una breve e fulminante carriera spezzata da un grave incidente alla Milano-Torino del ’95, ripartita di slancio e precipitata dopo la celebre squalifica per ematocrito alto a Madonna di Campiglio.

Intorno a L’Alpe d’Huez si stagliano le montagne simbolo del mito, a partire da Les Deux Alpes dei quasi 9′ dati a Ullrich nel ’98. Strade e tornanti percorribili in macchina, raggiungibili in non più di due ore dopo l’ingresso in territorio francese via Piemonte. Dalle Alpi italiane alle Hautes Alpes francesi si arriva nella regione Rhone-Alpes e si respira l’aria montanara del dipartimento francese di Isère, un nome la cui valle ha forti rimandi alla storia dello sci alpino.

È su questo asfalto che Pantani ha dimostrato di saper scendere come uno slalomista, oltre che salire con la rapidità di un felino, fermandosi durante la tappa più importante della sua carriera e infilando un impermeabile per proteggersi dalle intemperie, ipotecando il suo unico Tour de France.

Un documentario in uscita lunedì prossimo e girato dal regista inglese James Erskine (‘Pantani’, distribuito da The Space Movies e GA&A productions) rilancia i dubbi sulle possibilità sfumate del “Pirata” di rivincere il Giro d’Italia e, chissà, anche il Tour de France a causa della squalifica del ’99. Alimenta dubbi sulla validità delle analisi, sulle voci di scommesse contro Pantani vincente a Milano (evento impossibile senza lo stop forzato, visto l’enorme vantaggio accumulato).

Alla presentazione del film alla stampa, ieri a Milano, la madre Tonina ha tirato fuori lo spirito da combattente con cui da dieci anni difende la memoria del figlio. Un’eredità che Pantani raccolse e trasmise sui pedali, scalando montagne che sembravano pianure davanti alla sua facilità di corsa. La stessa grinta, purtroppo, gli è mancata quando il mondo è crollato sulla sua testa e la bicicletta è diventata per lui un simbolo di tristezza ben oltre i successi, portandolo sulla via della cocaina e della depressione.

Del ‘Pirata’, dieci anni dopo, resta la commozione che bagna le palpebre nel vederlo all’apice del suo dominio. Impossibile da respingere, come i suoi attacchi. “Scatta Pantani”. E chi lo vede più.

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Realizzatore di sogni parzialmente mancato, giornalista sportivo riuscito. Segno che qualcosa è andato per il verso giusto, dai venti in poi. Sostenitore convinto della necessità di pensare e divulgare, meglio se in un pub, peggio se in discoteca. Scrittore per diletto, con la fortuna di vivere del mio lavoro.
1 Commenti
  1. ema

    grande Mattia. Grazie.

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