La teoria dei giochi (di Natale)3 min read

16 Dicembre 2013 Giochi -

La teoria dei giochi (di Natale)3 min read

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[divider scroll_text=”Il culo di Rubik”]
Tra le mille contraddizioni che caratterizzano il nostro affascinante Paese c’è il fatto che nel periodo natalizio, teoricamente dedicato alla spiritualità e all’esercizio della virtù, in Italia sia usanza giocare a tombola e/o a Mercante in fiera; vale a dire due giochi d’azzardo a tutti gli effetti.

D’altra parte la commistione tra fede e vil denaro è scritta nel nostro DNA: l’Italia ospita nei suoi confini il Vaticano, ma è anche il Paese che ha inventato le banche. Non c’è da stupirsi, quindi, se gli italiani sono soliti celebrare la più importante festa religiosa scommettendo dei soldi al tavolo da gioco, sia pur in modiche quantità. Anche perché, a guardar bene, i due giochi in questione non fanno altro che rappresentare in chiave ludica i dogmi dell’unico vero culto universale: l’economia.

La tombola è chiaramente un gioco statalista. Lo è fin dalle origini: nacque, infatti, quando nel 1734 Carlo di Borbone decise di vietare il gioco del Lotto, costringendo i sudditi napoletani a inventarsi una più modesta alternativa casalinga. Fu, insomma, il frutto indiretto di un’iniziativa statale.

Ma anche le regole rispecchiano la struttura economica statalista. Il giocatore che gestisce il tabellone è lo Stato: incassa le imposte in proporzione agli averi dei contribuenti, un tot per ogni cartella, e in cambio garantisce un flusso costante di servizi, nella forma di ambi, terni, quaterne e cinquine.

In teoria è il gioco più democratico possibile: dal momento che la vittoria è una questione di pura fortuna, tutti hanno le stesse probabilità di vincere. In pratica non è proprio così: anche lo Stato – tabellone partecipa alla partita, e lo fa da giocatore privilegiato, avendo a sua disposizione tutti e novanta i numeri…

Ma il vero problema è che, diciamocelo, si vince poco. Se pure riesci ad azzeccare una tombola, di solito non porti a casa granché.

Carte mercante Giacconi

Il Mercante in Fiera, viceversa, è palesemente un gioco liberista, e non solo perché simula uno scambio di merci. Anche qui c’è un giocatore – Stato, ma in ossequio al liberismo più ortodosso non prende parte al gioco: ha un ruolo esterno, a metà tra l’arbitro e il battitore d’asta.

Altra differenza rispetto alla tombola statalista è che non ci sono tasse, cioè quote di partecipazione. Il montepremi si forma da solo, grazie alle regole del mercato, man mano che i giocatori fanno le loro offerte per accaparrarsi più carte possibili. E in assenza di un tetto massimo per le puntate, non c’è limite neanche a quanto puoi vincere.

Note dolenti: è un gioco che spinge sul pedale della concorrenza più selvaggia. Per arrivare alla vittoria bisogna saper bluffare, mantenere il sangue freddo, manipolare il prossimo. I giocatori non dotati di faccia come il culo rischiano di uscirne sempre sconfitti.

Curiosità: sia la tombola che il Mercante in fiera sono popolari anche all’estero, ma con nomi diversi. La tombola si chiama Bingo. Il Mercante in fiera, invece, è noto come Borsa.

Ah, e buon Natale!

Immagine| Anne

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Classe 1975, è laureato in Lettere. Lavora come editor in campo letterario, televisivo e cinematografico. Vive con la sua famiglia a Segrate, in provincia di Milano.
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