La palomita de Poy: il gol più festeggiato di sempre8 min read

27 Marzo 2015 Uncategorized -

La palomita de Poy: il gol più festeggiato di sempre8 min read

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palomita de poy
@trescuatrotres

È il 1970, il Paraná scorre e Aldo Pedro Poy pensa al suo futuro. Era solito frequentare l’isla Charigüé quando era bambino e veniva con il padre a sparare agli uccelli. Essere qui ora, mentre tutti lo stanno cercando, non era previsto: è uscito di casa, ha cominciato a camminare e, quando ha incontrato un pescatore amico del padre, uno dei pochi abitanti di quest’isolotto di fronte a Rosario, lo ha seguito. Si è fermato anche a dormire: sta scappando dal calciomercato. Poche ore prima, quando il presidente del Los Andes di Buenos Aires ha bussato alla porta della sua casa nel quartiere di Arroyito, si è nascosto, fingendo di non esserci. La madre però è stata chiara, non avrebbe collaborato alla messinscena un’altra volta. In fondo l’offerta è tutt’altro che disprezzabile, si tratta pur sempre di una squadra impegnata nella massima serie e di uno stipendio migliore di quello percepito al Rosario Central: è già tutto fatto, manca solo la firma. Aldo Poy, però, non è convinto: è nato a 300 metri dallo stadio, del Central è stato prima tifoso e poi calciatore, debuttando in prima squadra a 19 anni e riuscendo a giocare un paio di partite con l’idolo della sua infanzia, il Gitano Juarez.

Quando torna in città, il presidente del Los Andes è ancora sulle sue tracce: le trattative proseguono in albergo, fino a quando Poy lo dice chiaro e tondo al suo presidente: non se ne vuole andare. Qualche mese dopo finirà per la prima volta sulla copertina di El Gráfico. Anni più tardi, già famoso, declinerà le offerte di Celta Vigo e Paris Saint-Germain, scegliendo di vestire una sola maglia per tutta la carriera, ma è quel primo rifiuto, fatto quando ancora non immagina che un giorno tenterà l’assalto al Guinness dei primati per il gol più festeggiato di tutti i tempi, a cambiargli l’esistenza per sempre.

Come ogni Gesù, anche Aldo Pedro Poy ha il suo Giovanni Battista a preannunciarne la venuta. Il 13 settembre 1966, per iniziativa di alcuni medici fanatici tifosi del Rosario Central, nasce l’OCAL (Organización Canalla Anti Leprosa): un’organizzazione il cui scopo, almeno inizialmente, è quello di burlarsi del Newell’s Old Boys, l’altra squadra della terza città d’Argentina. A capo di questa specie di setta, che raccoglie proseliti negli ospedali cittadini per poi espandersi tra dentisti, avvocati, professionisti e lavoratori di ogni genere, è la figura del Gran Lama, la cui identità è ignota ai non iniziati.

A dare una finalità più alta e delirante all’OCAL, a cambiare per sempre il senso dell’esistenza di Aldo Pedro Poy, è il 19 dicembre 1971. Nessuna squadra dell’Interior, quindi nessuna squadra di Rosario, ha mai vinto, prima di quell’anno, un campionato professionistico in Argentina. Central e Newell’s si incontrano in semifinale è il Clasico più importante della loro storia e per l’occasione si allontana dalla città, approdando in campo neutro, al Monumental di Buenos Aires: uno stadio che Angel Labruna, allenatore del Central, conosce fin troppo bene, tanto da obbligare i suoi a scegliere gli spogliatoi degli ospiti per motivi scaramantici.

Aldo Pedro Poy, invece, non è scaramantico. La squadra aspetta l’ora dell’incontro giocando a carte all’interno dello stadio: quando il baffuto attaccante si affaccia a un balcone e viene ricoperto di insulti da un tifoso leproso di passaggio, non trova di meglio che preannunciargli quanto sta per capitare. “Vai tranquillo, che vinciamo 1-0 e segno io il gol”. Un tono profetico che, dopo un primo tempo chiusosi sullo 0-0, assume anche nella ripresa, quando, appena conquistato un calcio d’angolo, urla ai fotografi a bordo campo di prepararsi, ché il gol sta arrivando. Un modo per innervosire i difensori avversari, già mal disposti dai sei anni senza vittorie contro i rivali, ma anche per ottenere una bella foto della rete più festeggiata della storia.

Alle 19:09, al minuto 54, quando sugli sviluppi di quel corner il Negro González crossa dalla sinistra, Poy beffa il suo marcatore De Rienzo avventandosi sul pallone di testa, a volo d’angelo, per gli argentini palomita. La palomita de Poy. Il Central poi vincerà la partita, tre giorni dopo si toglierà la soddisfazione di festeggiare il primo campionato della sua storia a Rosario, battendo il San Lorenzo sul campo del Newell’s; ma è quel gol, che il Gran Lama a quanto pare festeggia rovesciandosi una bottiglia di Fanta in testa, che non se ne andrà più via dalla memoria collettiva. Come per l’omicidio di Kennedy, tutti si ricordano dove erano e cosa facevano mentre Poy volava, con la maglia gialloblù indosso e i capelli al vento.

Quel volo, oltre quarant’anni dopo, non è ancora finito. Per il resto della sua vita, oltre a vincere un altro campionato, partecipare a un mondiale e farsi eleggere consigliere municipale, Aldo Pedro Poy ha continuato a segnare quel gol. Non solo in senso metaforico, nelle tante caricature che lo ritraggono o nel celebre racconto del Negro Fontanarrosa, intitolato appunto “19 de dicembre de 1971”, dove il Viejo Casale, che non ha mai visto il Central perdere un derby, viene sequestrato dai suoi compagni di tifo e portato al Monumental, dove a causa dei problemi al cuore muore al fischio finale. Poy, dal 1971 a oggi, senza mai saltare un anno, ha letteralmente continuato a realizzare quello stesso gol: per sua fortuna, come gli ripeteva Fontanarrosa, non lo ha segnato in rovesciata, altrimenti, arrivato quasi ai settant’anni di età, rischierebbe la vita a ogni occasione.

La palomita de Poy diventa mito

La prima volta, il 10 gennaio 1972, è accaduto in un bar di Rosario, il Polo Norte, alla presenza di qualche decina di persone e di una porta improvvisata: cross, palomita, gol. Sono passate poche settimane dall’evento e nessuno ha idea di cosa è appena iniziato. L’OCAL, però, comincia a pensare in grande: non si accontenta di esibire nel proprio museo, accanto ai capelli di Poy che hanno visto da vicino il pallone, l’appendice estratta al difensore del Newell’s Ricardo De Rienzo, operato il giorno successivo alla partita da un chirurgo membro dell’organizzazione, che ha provveduto a conservare la reliquia, custodita in un vasetto recante la scritta “Apéndice del jugador De Rienzo, por donde, a 20 cm. de la misma, pasó la pelota impulsado por Aldo Pedro Poy de ‘palomita’”. Le reliquie non bastano, bisogna ricreare il miracolo a Rosario, in Argentina, nel mondo.

Più o meno funziona sempre così: centinaia, a volte migliaia di persone, pagano l’ingresso all’evento acquistando la maglietta commemorativa e si ritrovano da qualche parte: Buenos Aires, Santiago del Cile, Barcellona, Miami, Montevideo, Ushuaia, Mar del Plata, Mallorca. Tutti, anche i ragazzini, conoscono la storia; qualcuno viene anche dall’altra parte del mondo, pur di assistere al miracolo che si ripete. Il momento cruciale è quello della rievocazione del gol: c’è sempre una porta, c’è qualcuno che lancia il pallone, una volta con i piedi, ora con le mani, e c’è Aldo Pedro Poy, che ogni volta, dopo aver fatto ore di viaggio per recarsi nella località decisa da altri, si presta lanciandosi in volo, circondato dalla folla, trovando sempre il gol. A quel punto tutti esultano come se fosse la prima volta, gli saltano addosso (a volte mettendo in pericolo la sua incolumità), lo portano in trionfo sulle spalle, cantano “Aldo-Poy-Aldo-Poy-el-papá-de-Newell’s-Old-Boys”, sventolano bandiere, gli consegnano i neonati come si farebbe con un Papa, chiedono una foto, un autografo. Lui non si tira indietro, perché sa che quel gol non gli appartiene più di quanto appartenga al suo popolo: “Sono stato la sintesi dei desideri di migliaia di tifosi”. E poi è abituato alla popolarità fin dal giorno del suo matrimonio, nel 1972, quando la chiesa Perpetuo Socorro era assediata dai tifosi e, tra i tamburi e i poliziotti, il prete concluse la cerimonia in cinque minuti, terrorizzato dalla folla che saltava sui confessionali e portava via angeli e pezzi di panche come souvenir della giornata.

https://www.youtube.com/watch?v=UnboQX_Q_yw

Nel 1996, dopo aver liberato colombe (palomas, appunto) al Gigante de Arroyito, una carovana di auto si è diretta a Buenos Aires, per assistere alla rievocazione della palomita davanti all’Obelisco; l’anno dopo a l’Avana, Cuba, alla presenza delle autorità e di una cinquantina di tifosi del Central, è stato il figlio di Ernesto Che Guevara, canalla come il padre, a recitare il ruolo del Negro Gonzalez servendo il passaggio decisivo. In altre occasioni l’onore del cross è toccato all’ex Milan Claudio Borghi o al giornalista cileno Francisco Mouat. Un anno Poy si è travestito da Babbo Natale, consegnato regali ai bambini e segnato nel centro della città di Rosario; un’altra volta, al grido di “Hoy soy Poy”, le magliette sono state sostituite da maschere, e quando l’autore della palomita è entrato al Club Rio Negro si è ritrovato di fronte a uno spettacolo che non dimenticherà facilmente: “Ho avuto i brividi, era come guardarsi allo specchio, duemila specchi”. Anche se l’originale, ovviamente, resta unico, almeno fino a quando José Cibelli, che lavora negli USA ed è a capo del Dipartimento delle Clonazioni dell’OCAL, non riuscirà nel suo intento.

Se anche la scienza non dovesse progredire abbastanza in fretta, comunque, la palomita continuerà a ripetersi ogni 19 dicembre. Si spera di portare Poy a segnare a Dingwall, in Scozia, terra d’origine del primo presidente del Rosario Central, e già si mormora di un senatore statunitense, possibile futuro vice-presidente, desideroso di vedere la palomita a Washington D.C. Il futuro, in ogni caso è assicurato dai Misioneros Ocalistas, i figli di tifosi canallas nati a partire dall’anno 2000, il cui compito è quello di assistere al “Primer Centenario del Vuelo Historico”, in programma per il 19 dicembre 2071. Sono già più di 900 e loro toccherà escogitare una trovata migliore dell’Aldomovil, l’imbarcazione sormontata da un enorme faccione di cartapesta di Poy, utilizzata per i festeggiamenti del 29° anniversario: quel giorno, mentre osservava quell’assurdo corteo fluviale sul Paraná, deve aver pensato a quando, davanti a quelle stesse acque, ha preso la decisione migliore della sua vita.

Fonti: Four Four Two, El Grafico, El Mercurio, Perfil.com

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Classe 1988, appassionato di campionati di dubbio gusto. Scrive su Calcio Sudamericano, Canale Milan e Fantagazzetta. Venera Ibrahim Ba.
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