Eldorado Argentina: storie di italiani dell’altro mondo6 min read

12 Settembre 2019 Emigrazione -

Eldorado Argentina: storie di italiani dell’altro mondo6 min read

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Tra fine Ottocento e inizio Novecento milioni di italiani sono emigrati all’estero, molti in Argentina. Prima che le loro storie finiscano per essere dimenticate, sono andato dall’altra parte dell’oceano e ne ho raccolte alcune. Qualcuno leggerà delle storie di vita intense, qualcuno ci troverà dei collegamenti alle migrazioni di oggi, altri ci troveranno delle differenze, altri ancora apprezzeranno i valori del nostro paese. Qui tutti gli articoli.

italiani in argentina
Foto: Luca De Marchi

Passeri e fiorentini sono per tutto il mondo

affermava un proverbio fiorentino nel Medioevo. Non ci aveva visto male, visto che a oggi gli originari italiani nel mondo sono oltre settanta milioni. Quello italiano è il tipico esempio di un popolo migrante.

Lasciando alle competenze della storia le espansioni dell’impero romano e quelle di singole personalità come Marco Polo, Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci, è a partire dall’Ottocento che milioni di persone con aspirazioni personali e collettive lasciano testimonianze della loro identità nel mondo e in particolar modo nel continente americano.

Perché il popolo italiano nell’Ottocento fu uno dei maggiori a emigrare? In quel secolo l’Europa viveva una crisi profonda: “continente sovraccarico di popolazione, espelle i popoli da tutte le parti invece di reclamarli” affermò il presidente argentino Domingo Sarmiento. L’Italia, che stava concludendo il suo processo di unificazione, era un paese povero e arretrato, soffocato dai debiti contratti per la guerra e che dovette quindi ridurre le spese pubbliche e aumentare le tasse; la tassa sul macinato in particolare venne soprannominata “tassa della fame”.

Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar

Diceva una canzone popolare: ed in effetti, come riportato negli annali di statistica, dal 1876 alla metà del secolo successivo emigrarono circa 21 milioni di italiani, soprattutto dal sud, dove l’agricoltura si praticava ancora con tecniche medievali e dove cominciavano ad apparire gli “agenti di emigrazione”. Questi agenti presentavano altri paesi come ricchi di lavoro e guadagni e, siccome la popolazione italiana era in gran parte analfabeta, si occupavano di tutta la parte burocratica per permetterle di partire.

Perché in Argentina?

italiani in argentina
Foto: Luca De Marchi

Un “Annunzio ufficiale” diffuso nel XIX secolo invitava ad andare in Argentina perché «nessun paese del mondo offre più vantaggi per gli agricoltori. Clima temperato e sano, terre a basso prezzo e fertili, facili da lavorare; pianure vastissime, qualsiasi tipo di grano a prezzo modico come in nessun’altra parte; grandi linee ferroviarie; reti di comunicazione quasi quotidiane con Europa; istituzioni uguali a quelle statunitensi, ma più liberali per gli stranieri, che possono essere proprietari senza compromettere la propria nazionalità».

Generalmente gli italiani erano indecisi tra Buenos Aires e New York, due città che ai loro occhi si sarebbero contese il titolo di leader del mondo. L’Argentina in particolare era considerata il granaio del mondo: dava da mangiare all’Europa durante le guerre e in occasione della guerra civile spagnola inviò al paese tonnellate di vestiti e medicinali in supporto alla popolazione. Per la sua trasformazione industriale si resero necessari uomini che portarono a favorire leggi per l’immigrazione.

Nella Costituzione argentina del 1853 all’articolo 25 si legge: «Il governo federale incoraggerà l’immigrazione europea; non potrà restringere, limitare o gravare con alcuna imposta l’ingresso nel territorio argentino degli stranieri che abbiano per oggetto coltivare la terra, migliorare le industrie, introdurre e insegnare le scienze e le arti».

In Italia non si cercò di arginare l’emigrazione perché venne vista come uno sbocco alla protesta dei sempre più forti sindacati. Quattro milioni di italiani erano disoccupati e i primi governi della Repubblica videro quindi nell’emigrazione una necessità vitale: come riportato nella pubblicazione I Congressi nazionali della Democrazia Cristiana, il leader democristiano Alcide De Gasperi invitò gli italiani a “riprendere le vie del mondo”.

Se da una parte l’emigrazione liberò il paese di un elevato numero di cittadini, l’emigrazione ne accentuò tuttavia la crisi: gli immigrati italiani in Argentina producevano grano più economico di quello italiano e lo esportavano nella stessa Italia, costringendo sempre più persone a partire.

Italiani in Argentina: chi partiva e cosa trovava

Fu un’avventura di circa tre milioni di persone, famiglie, giovani, per il settanta per cento uomini. Molti partirono soli e una volta installati trasferirono il resto della famiglia. Andavano a fare l’America, ma appena sbarcati si trovarono soli, abbandonati in una terra straniera e immensa, tutta da costruire, senza luci e senza strade.

Gli immigrati italiani in Argentina capirono presto cosa significava “fare successo”: trovarsi un lavoro, possibilmente autonomo, costruirsi la propria casa e lavorare duro per mantenere la famiglia e l’educazione dei figli. Molti dovettero tornare indietro, ma non si può dire che fallirono; ogni migrante cercava le opportunità che il suo paese in quel momento negava, alcuni la trovarono e altri no: non esiste colpa nel voler trovare il proprio posto nel mondo.

Al porto di Buenos Aires, dove un tempo sbarcavano in migliaia i migranti dall’Europa, si trova oggi il Museo dell’Immigrazione, nell’edificio che un tempo ospitava l’Hotel degli Immigrati.

italiani in argentina
Foto: Luca De Marchi

All’entrata un monumento intitolato “Dio è un migrante” rappresenta gli alberi di una barca. Il museo è un percorso che si sofferma sulla partenza, sul viaggio e sull’arrivo dei migranti in Argentina ed è documentato attraverso fotografie e documenti dell’epoca.

Non mancano alcune video interviste ai migranti di ieri, come per esempio Rocco, proveniente da Gioiosa Ionica (Reggio Calabria):

Andavo scalzo e non conobbi mai né una caramella, né un dolce. Ma questa condizione di povertà mi servì perché per dare valore alle cose devi prima desiderarle.

Ci sono però anche interviste ai migranti di oggi, come Nda Thie, proveniente dal Senegal: “Noi viaggiamo perché non abbiamo futuro e per colpa di molte violenze che subiscono i nostri popoli, la destinazione non la scegliamo perché non ne abbiamo il tempo”.

I migranti che arrivarono in Argentina nella maggioranza dei casi raggiungevano amici o familiari già inseriti nel paese. In altri casi arrivavano tramite imprese di colonizzazione con la speranza di appropriarsi di qualche terreno. L’Hotel degli Immigrati era una struttura che dava alloggio fino al momento in cui il migrante veniva raggiunto dall’amico o dal familiare o finché non trovava lavoro o un alloggio. Nell’Hotel venivano offerti cibo, letto e un’assistenza nel tempo sempre più completa: controlli sanitari, supporto burocratico, nella ricerca del lavoro e nello studio dello spagnolo.

Italiani in Argentina: le storie per ricordare la storia

Le storie di queste persone sono ricche di tradizioni che richiamano le nostre ma che si mescolarono con la novità del nuovo continente. I luoghi di origine diventano un mito, il lavoro un oggetto di culto, la famiglia accoglie parentele lontane e concittadini, la lingua rappresenta una casa.

Prima che queste storie finiscano per essere dimenticate, sono andato dall’altra parte dell’oceano e ne ho raccolte alcune. Qualcuno leggerà delle storie di vita intense, qualcuno ci troverà dei collegamenti alle migrazioni di oggi, altri ci troveranno delle differenze, altri ancora apprezzeranno i valori del nostro paese. Il mio invito è di ripartire, nella riflessione sulla nostra identità, da queste storie di bellezza e coraggio.

Eldorado Argentina: qui tutte le storie

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Nordico con le radici nel Sud, studia critica letteraria a Trento, insegna tedesco e italiano in Alto Adige e scrive per alcuni giornali locali. Ha lavorato per alcuni anni con persone di strada e migranti e vorrebbe scrivere di professione, perché pensa che siano le storie a dare senso al mondo. Il sogno? L'Africa.
2 Commenti
  1. Davide Fracasso

    Idea davvero preziosa, grazie Luca

  2. Luca

    Grazie, Davide

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