IRES non profit, l’aggiornamento9 min read

28 Gennaio 2019 Non profit Politica -

IRES non profit, l’aggiornamento9 min read

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Aggiornamenti sull'IRES
@ilsole24ore.com

IRES non profit, il seguito

Il 28 gennaio 2018 il Senato ha discusso il cosiddetto Decreto Semplificazioni, il primo provvedimento utile per inserire una norma che rimediasse a quello che lo stesso governo aveva definito un errore: l’eliminazione dell’agevolazione del’IRES per il non profit, ciò che alcuni hanno chiamato la tassa sulla bontà.

Ne abbiamo scritto (nell’articolo sotto la prossima foto) mettendo in risalto alcune preoccupazioni rispetto all’esito del percorso annunciato e rispetto alla visione del ruolo del Terzo Settore emersa nelle dichiarazioni di esponenti del governo.

Il Presidente del Consiglio aveva effettivamente incontrato i rappresentanti del Terzo Settore il 10 gennaio, rinnovando le rassicurazioni, sebbene pare non avesse presentato testi o rappresentato la visione che si intende seguire.

Il testo dell’emendamento (a firma dei parlamentari del PD) cui facciamo riferimento in questo aggiornamento è quello dell’emendamento “1.34 testo 3”. Lo specifico perché, per quanto dai lavori delle commissioni sembrasse quello l’emendamento, in questo momento il testo 3 è scomparso dal sito del Senato.

Vediamo quindi quali sono state le scelte del Governo: presentato da parte dei parlamentari dell’opposizione, un emendamento ha bisogno del nulla osta del Governo per passare in commissione. Ecco il testo:

Dopo il comma 8, aggiungere i seguenti:

«8-bis. All’articolo 1 della legge 30 dicembre 2018, n. 145, sono apportate le seguenti modificazioni:

  1. a) al comma 34 sono aggiunte le seguenti parole: “e di quelli di cui all’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601”;
  2. b) il comma 52 è sostituito dai seguenti: “52. La disposizione di cui al comma 51 trova applicazione a decorrere dal periodo d’imposta di prima applicazione del regime agevolativo di cui al comma 52-bis.

52-bis. Con successivi provvedimenti legislativi sono individuate misure di favore, compatibili con il diritto dell’Unione europea, nei confronti dei soggetti che svolgono con modalità non commerciali attività che realizzano finalità sociali nel rispetto dei princìpi di solidarietà e sussidiarietà. Sarà assicurato il necessario coordinamento con le disposizioni di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117″.

8-ter. [omissis: coperture finanziarie]

Intanto occorre dire che l’emendamento non cancella la norma contenuta nella legge di bilancio, ma ne postpone l’entrata in vigore ad una successiva rivisitazione delle misure di favore per gli enti non profit, in armonia con la riforma fiscale contenuta nella riforma del Terzo Settore e compatibili con la disciplina dell’UE sugli aiuti di Stato.

Ma quali?

In questo pur breve testo ci sono un altro paio di punti che meritano di essere analizzati, perché la materia fiscale è articolata e la scelta di alcuni termini può rappresentare una sensibile indicazione di direzione.

Il primo punto riguarda la scelta dei termini “che svolgono con modalità non commerciali attività”. L’accento viene posto sulle modalità non commerciali più che sulle finalità non commerciali. Crediamo che il motivo per cui il Terzo Settore debba avere un trattamento di vantaggio sia dato dal fatto che la sua azione ha un impatto sociale positivo, riesce cioè ad agire anche sulla riduzione di spesa pubblica per il sostegno alle fasce deboli (fa risparmiare lo Stato, destinando risorse private attività di interesse generale). Va detto che l’interpretazione delle “modalità commerciali o non commerciali” a vantaggio delle finalità è ancora prevalente anche all’interno dell’agenzia delle entrate e della giurisprudenza.

Questo approccio non permette di vedere le immense possibilità che una imprenditoria sociale può offrire anche in risposta alla ricerca esasperata di profitto. In alcuni settori, ad esempio la gestione dei beni comuni o delle risorse naturali, questa forma potrebbe essere rivoluzionaria, ma si preferisce pensare alla concorrenza negativa che si potrebbe avere verso i capitali in cerca di remunerazione.

Nella scelta di utilizzare invece “attività che realizzano finalità sociali nel rispetto dei princìpi di solidarietà e sussidiarietà” si vuole sottolineare la differente formulazione sia rispetto alla legge abrogata del ’73 (che comprendeva anche quelle religiose e di culto) sia rispetto alla definizione contenuta nella nuovo codice del Terzo Settore, che parla di finalità civiche solidaristiche e di utilità sociale, con cui pure si dovranno armonizzare le nuove misure.

Notando come questa promessa sia stata mantenuta, rimane l’incognita di come e quando sarà modificato il sistema di agevolazioni per questo settore, con il pensiero maggiore che va alla visione (che pare un po’ obsoleta e eccessivamente limitante) della funzione che il privato sociale può avere per la crescita del benessere dei cittadini.

Nella legge di bilancio alzata l'IRES al non profit
@Adnkronos

IRES non profit, un pasticcio preoccupante

Quest’anno il Governo ci ha regalato un Natale differente. Non siamo arrivati alle feste conoscendo i contenuti delle leggi di bilancio dello Stato, e quindi non sappiamo bene cosa aspettarci dal nuovo anno.

Le modalità di estensione della manovra finanziaria, ovvero del bilancio dello Stato, hanno inoltre reso una caccia al tesoro la scoperta delle nuove norme che impatteranno sull’economia del 2019.

Una delle sorprese più amare ha raggiunto gli operatori del Terzo Settore (dove finalmente si era arrivati ad una definizione legislativa nella legge cosiddetta “Riforma del Terzo Settore”): senza essersi confrontato neanche con il Consiglio Nazionale del Terzo Settore, il Governo ha raddoppiato l’IRES agli enti non commerciali, eliminandone il regime di favore e, con esso, 70 anni di legislazione di vantaggio per questi enti, equiparando l’aliquota a quella per le società commerciali: 24% invece che 12%.

Proviamo a vedere cosa significa in concreto e perché preoccupa.

Che cos’è l’IRES per il non profit

L’IRES è l’imposta sul reddito delle società, il corrispettivo dell’IRPEF che tutte le persone fisiche pagano, ed è uno degli architravi del sistema fiscale italiano. Si tassa il reddito di impresa (il cosiddetto utile o avanzo di gestione, che comunque la maggior parte delle organizzazioni non ha), ma anche i redditi diversi, come quelli fondiari (gli affitti), patrimoniali (i capitali investiti) e le plusvalenze (vendite di patrimonio immobiliare).

Proviamo a capire cos’è il reddito di impresa: se vendo per 100 e spendo 80 (per esempio per pagare i materiali, i lavoratori, gli spazi, i canali di vendita, le spese legali, le spese per le concessioni e le autorizzazioni), genero un avanzo di gestione di 20.

Se sono una società profit che ha come scopo l’arricchimento dei soci, allo Stato va poco meno di un quarto del mio avanzo di gestione, permettendomi di intascare quindi soltanto poco più di 15 (stando all’esempio).

Se invece sono una realtà non profit verso allo Stato quasi un ottavo (quindi 2,5 nell’esempio), però la legge mi impedisce di portarmi a casa i restanti 17,5; questi soldi li devo investire nella mia attività di pubblica utilità: assistenza sociale, assistenza sanitaria, cultura, beneficenza, e tante altre.

Questo aspetto del re-investimento è fondamentale per capire la ratio, la logica della fiscalità di vantaggio concessa al Terzo Settore. Il legislatore definisce gli ambiti di operatività per cui ci si può definire di pubblica utilità, e li definisce in positivo, inserendone l’elenco nella legge. Oltre agli ambiti di azione il legislatore pone limiti di carattere organizzativo, pone limiti sulle attività, sulle retribuzioni dei dirigenti;

insomma, può servirsi di diversi strumenti per definire lo scopo di lucro o non di lucro di un’attività e per impedire una distribuzione anche indiretta e fittizia di questi utili. E lo fa con dati oggettivi, partendo dai bilanci delle organizzazioni.

L’impatto dell’innalzamento dell’IRES non profit

L’impatto economico sulle organizzazioni non profit di questa norma sarebbe ovviamente variabile a seconda delle dimensioni delle organizzazioni: per una piccolissima qualsiasi variazione di costo indiretto può avere un impatto marginale alto, mentre in una molto grossa può comportare la necessità di rivedere o spostare piani di investimento. L’impatto potrebbe essere maggiore per quelle fondazioni che utilizzano le rendite patrimoniali per fare beneficenza (dare soldi ad altri per sostenere progetti) per via della tassazione dei cosiddetti redditi diversi.

Spesso l’impatto dell’IRES sul bilancio di un’organizzazione è ridotto, ci sono tante altre tasse che pesano maggiormente: l’IVA ad esempio per una Onlus (o, in futuro, per un Ente del Terzo Settore) è considerata un costo come lo è per un consumatore finale, cioè non si può recuperare l’IVA versata sugli acquisti; molti sostengono che per questo motivo il regime onlus potrebbe anche non essere vantaggioso in alcuni settori come l’assistenza sociale o la sanità.

A bilancio vanno quindi 118 milioni di €; contando che le organizzazioni presenti in Italia sono 343.000 (ma la maggioranza di esse non ha IRES da pagare), risulterebbero mediamente 344 € ad organizzazione.

Quello che preoccupa tutto il mondo del terzo settore, che si è finalmente “ribellato” in questi giorni, sono il metodo e le motivazioni che stanno dietro a questa scelta, questioni che non si risolveranno neanche qualora la promessa di cambiamento dovesse essere mantenuta. L’impatto principale in questo caso è culturale, e consiste nello scardinare alla base il vantaggio fiscale di chi opera per pubblica utilità.

I problemi

Il Governo oggi sembra agire come gli algoritmi dei social network, con un meccanismo di analisi delle reazioni a leggi, provvedimenti, semplici affermazioni, per poi aggiustare il tiro. Una volta pubblicata la norma si sono accorti delle polemiche suscitate, anche dalla Chiesa e dai Padri di Assisi, potenti e già blanditi in passato dal premier.

Ma le forze al Governo si sono accorte anche che nel “popolo” il sentimento del dover punire i falsi volontari è molto forte. È stata quindi rivendicata l’idea di modificare l’imposta sul reddito delle società per smascherare i furbetti del volontariato. E questo è il problema fondamentale: i furbetti sono già smascherabili dal sistema attuale. La fiscalità di vantaggio ha una sua logica, pensata e strutturata negli anni.

C’è poi la confusione estrema che si fa (o che si vuole fare?) tra volontariato e terzo settore, che comprende anche la cooperazione sociale e l’imprenditoria sociale, quindi attività anche di impresa ma con finalità di pubblica utilità. Nella notte dove tutte le vacche sono nere, viene naturale buttare tutto a monte per punire la vacca malata.

Negli ultimi anni è stato portato avanti un processo partecipativo vero sulla Riforma del Terzo Settore. Un processo di riforma complessivo e sensato, con una visione dello sviluppo e della crescita del settore anche contestabile, ma oggi qualcuno si è svegliato e ha modificato una delle principali differenze del settore, in nome della lotta ai furbetti.

Il futuro

E quindi ciò che più preoccupa è il futuro.

Intanto c’è un’incognita per le organizzazioni non profit: come preparo il bilancio preventivo? Penso alle tasse come in manovra, o mi fido del vice-premier che ha detto che la legge cambierà? Ma come cambierà? Come si calcoleranno i primi mesi dell’anno che precederanno l’eventuale rettifica di legge?

Si rischia una sospensione di scelte che non farà bene a nessuno. Praticamente si consiglia di accantonare il 12,5% del margine previsto in più per coprire eventuale aumento, in modo da poterlo poi sbloccare per investimenti nel momento in cui la norma venisse cambiata.

Il rischio più grosso è che la toppa sia peggiore del buco: alcune dichiarazioni di questi giorni di sottosegretari e di senatori sono oggettivamente preoccupanti. Non si capisce secondo quale linea vogliano muoversi, né come intendano rimodulare questa tassa.

Sia chiaro: la norma del ‘73 potrebbe essere rivista, nessuno la ritiene immutabile così come è. Le critiche alla Riforma del Terzo Settore, per chi scrive, erano indirizzate soprattutto al mancato superamento della disciplina degli enti non commerciali.

Ma qui entra in gioco il metodo, che si contrappone alla questione tempo. Chi scriverà la nuova norma? Chi sarà ascoltato? Con che rappresentatività?

Oggi la preoccupazione è cresciuta, ed è necessario vigilare per capire come migliorare un settore che aiuta la crescita del benessere delle persone.

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Milanese, 38 anni, padre, un po’ africanista, un po’ scout, un po’ marxista, un po’ spaesato da questo momento storico-politico, sicuramente interista. Si occupa di non profit dal punto di vista gestionale ed è appassionato alle questioni economico-sociali.
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