Io sto con la sposa: intervista a Gabriele del Grande11 min read

5 Giugno 2014 Cultura Migrazioni -

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Sociologo

Io sto con la sposa: intervista a Gabriele del Grande11 min read

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io sto con la sposa: intervista a Gabriele del Grande

Pochi progetti hanno la capacità di conquistare l’immaginario come Io sto con la sposa. Il film è la storia vera, anche se costruita ad hoc, del corteo nuziale di una sposa palestinese siriana in viaggio, clandestino, da Milano a Stoccolma. I temi sociali, politici e artistici che questa storia potentissima rivela sono molteplici e abbiamo scelto di raccontarli con un’intervista a Gabriele del Grande.

Gabriele, noto autore del blog Fortress Europe, è l’ideatore del progetto assieme al regista Antonio Augugliaro e al poeta palestinese Khaled Soliman al Nassiry, e le sue parole sono un concentrato di lucida passione civile ed estetica che raramente ci capita di leggere.

Il film è stato girato, ma il costo di produzione e postproduzione è di 150mila euro. Per questo è partita una campagna di crowdfunding che punta a raccoglierne almeno la metà in tempo per iscrivere il film al Festival di Venezia. Le Nius sta con la sposa. E voi?

Io sto con la sposa: intervista a Gabriele del Grande

Gabriele, presentati in due righe al pubblico di Le Nius.

Toscano, viaggiatore, scrittore. A tredici anni ho iniziato a lavorare, a diciotto a viaggiare e a ventidue a scrivere. Ho pubblicato tre libri (Mamadou va a morire, Roma senza fissa dimora, Il mare di mezzo) e questo è il mio primo film.

Io sto con la sposa è un progetto di cui ci si innamora con una facilità disarmante. Segno che da anni una grande quantità di persone aspettava questo momento: un modo universale di denunciare quanto accade nel Mediterraneo. Vi sentite questa responsabilità?

Non è la denuncia l’ingrediente chiave del nostro film, ma la speranza. Di film di denuncia ce ne sono abbastanza. E l’assuefazione è alta. Noi abbiamo fatto un’altra cosa. Abbiamo vissuto un’avventura romantica, un’amicizia senza frontiere, giocosa e solidale. E l’abbiamo raccontata. Credo sia questo che incuriosisce. L’avventura e il suo linguaggio. Nel nostro film non si compatisce nessuno. Non ci sono vittime. Ci sono eroi – per carità è un’armata brancaleone la nostra, non un western -, c’è un gruppo di sognatori che fa una cosa folle e bella. E il pubblico quasi li invidia, vorrebbe essere lì con loro. Ecco il segreto. Se sentiamo la responsabilità di tutto questo? è ancora presto per dirlo. Aspettiamo prima di vedere come va a finire. Se ci selezionano a Venezia e se per davvero riusciamo a portarlo nelle sale e a riempirle le sale. È un’impresa impossibile. Ma a noi piace pensare in grande. Dopotutto anche il crowdfunding era un’impresa impossibile. È la prima volta in Italia che si tenta di raccogliere una cifra così alta per un documentario. E ci stiamo riuscendo alla grande!

Senti Gabriele, ma cosa succede a Milano? Perché questo gran viavai?

Succede che c’è una guerra devastante a poche ore di volo da qui. La guerra in Siria ha messo in fuga un abitante su tre. Più di 7 milioni tra sfollati e rifugiati. Era inevitabile che alcune migliaia di loro si riversassero sui confini europei, a Lampedusa e in Sicilia. Si imbarcano da Libia e Egitto. Viaggiano di contrabbando perché le ambasciate europee non rilasciano loro i visti. E non hanno altra scelta che sfidare la morte in mare. Per quasi tutti l’Italia è soltanto il corridoio d’ingresso dell’Unione Europea. Sono diretti nel Nord Europa. Per raggiungere Svezia e Germania, Milano è una tappa forzata. Qui arrivano con i treni dal sud. E una volta scesi in stazione centrale cercano un contrabbandiere. Il passaggio costa dai mille ai duemila euro. Perché anche dentro Schengen per viaggiare devi affidarti al contrabbando se non hai il passaporto giusto. Poco importa se sei appena fuggito da una guerra.

Il nostro blog sta seguendo con grande attenzione le sorti dei profughi siriani a Milano, grazie al diario di Sarissa, una nostra collaboratrice volontaria con le persone accolte nel capoluogo lombardo. Dal diario emerge continuamente come la Svezia sia la meta dei sogni. Perché?

Da quando è iniziata la guerra in Siria, i paesi europei che hanno accolto più rifugiati dalla Siria sono Svezia e Germania. Questo ha comportato il formarsi sul posto di una comunità a cui amici e parenti rimasti al di là del mare tentano di ricongiungersi. Chi invece in Svezia non ha parenti né amici, sceglie comunque il nord Europa perché sa che potrà contare su uno stato sociale più forte, che gli permetterà di ripartire più velocemente e dignitosamente con una nuova vita.

Il viaggio da Milano a Stoccolma ha attraversato 6 stati: Italia, Francia, Lussemburgo, Germania, Danimarca, Svezia. Come avete scelto l’itinerario?

La frontiera italiana con la Svizzera e l’Austria è molto controllata da un anno a questa parte, da quando cioè migliaia di siriani in fuga dalla guerra hanno iniziato a transitare su quella direttrice. Quando abbiamo scelto di accompagnare i nostri cinque amici in Svezia, sentivamo la responsabilità di farli arrivare. E per questo abbiamo evitato la strada più difficile e abbiamo aggirato i controlli passando da una strada meno battuta dall’esodo siriano: Ventimiglia. Una volta entrati in Francia, abbiamo passato la prima notte a Marsiglia, ospiti da amici e da lì abbiamo ripreso il viaggio verso Bochum, dove avevamo altri amici che ci aspettavano per la notte. Da lì poi il passaggio da Copenaghen per la Svezia era praticamente obbligato.

Io sto con la sposa propone simboli potentissimi in grado di unire persone di età e culture differenti: il matrimonio, la sposa in abito bianco, il rap innocente eppure così maturo di un ragazzo di 12 anni. Scelte precise o intuizioni di cui più tardi avete scoperto la potenza?

Quando abbiamo pensato al matrimonio, non sapevamo ancora che ne sarebbe nato un film. Era un’idea per aiutare queste cinque persone che avevamo incontrato e che avevamo ospitato a casa. Avevamo un affetto speciale per la Siria. Io in quanto ero da un mese rientrato dal mio ultimo viaggio ad Aleppo, come giornalista. Khaled Soliman Al Nassiry, l’altro regista, in quanto palestinese siriano, quindi come uno che vedeva arrivare la sua gente. Forse è stato soprattutto Antonio Augugliaro, il terzo regista, quello che più ha creduto da subito nella possibilità di farne un film. E non è un caso perché dei tre lui è quello con una formazione più cinematografica e registica. Ma forse è proprio per questo che la storia funziona così tanto. Perché è davvero autentica.

Io sto con la sposa è prima di tutto un atto di disobbedienza alle leggi che hanno trasformato il Mediterraneo in un cimitero per ventimila persone. Un atto per cui tu e i tuoi colleghi state rischiando una denuncia per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (ci sono in ballo fino a 15 anni di carcere). Ma andiamo per un attimo oltre la disobbedienza. Quali soluzioni per far tornare il Mediterraneo un luogo di vita e bellezza?

La soluzione è una sola. E coincide con le politiche sulla mobilità che l’Unione europea attua da ormai sette anni con i paesi dell’Est e da diversi anni ormai anche con buona parte dei Balcani. Di cosa sto parlando? Della liberalizzazione dei visti. Che non significa le porte aperte né significa l’invasione. Significa che chi vuol venire in Europa per studiare, per lavorare, per fare del turismo, per andare a una festa, o per chiedere asilo politico, lo possa fare viaggiando con un passaporto su un aereo anziché su una barca in mezzo al mare. Il problema non è come fermare milioni di immigrati che non ci sono. Il problema è come mettere su un aereo le cinquantamila persone che ogni anno attraversano il Mediterraneo.

Prima però dobbiamo ragionevolmente renderci conto che l’unico fattore di attrazione o di espulsione dei flussi migratori è il mercato del lavoro. Da quando è iniziata la crisi in Italia, se ne sono andati più di 100mila emigrati, proprio perché era venuto meno il motivo per cui erano partiti: il lavoro. E allora possibile che non si possano semplificare le regole affinché la domanda e l’offerta si incontrino liberamente senza mettere a rischio la vita di nessuno? Chiaramente un altro discorso va fatto per le guerre. E va fatto in modo radicale. Ne va dei nostri valori. Quando la casa del vicino brucia, non gli si chiude la porta in faccia. Quando la casa del vicino brucia, si apre la porta e si mettono in salvo più persone possibili. Ne va della nostra civiltà. Ne va dei nostri rapporti con la Siria di domani. Non soltanto assistiamo inermi al massacro da ormai tre anni, ma non siamo nemmeno capaci di condividere un rifugio con chi da quelle terre insanguinate scappa in cerca di pace. é un nostro dovere.

Presentando il progetto parlate della ricerca di una nuova estetica della frontiera. A me sembra un passaggio bellissimo e cruciale di un progetto visionario, che restituisce un’immagine di Europa unita vista attraverso i buchi nella rete dei suoi confini. Che questo bizzarro e necessario corteo nuziale diventi l’immagine più riuscita della turbolenta ricerca di un progetto europeo?

Raccontiamo un’Europa diversa dal solito. Un’Europa sognatrice, solidale, allegra, visionaria. L’Europa di chi ci ha aperto le porte e ci ha ospitato lungo il viaggio. L’Europa transnazionale dei nostri invitati al matrimonio: italiani, siriani, palestinesi che hanno rischiato tutti qualcosa per dire ad alta voce che credevano in un sogno. Il sogno di un’Europa libera, dove viaggiare non rientri nella lista dei reati punibili per legge, bensì nei valori aggiunti dell’esperienza umana.

Ma per noi la nuova estetica della frontiera è soprattutto uno sguardo diverso. Nel nostro film non ci sono “gli italiani” e “gli immigrati”o “i rifugiati”. Così come non c’è “una denuncia” o “una vertenza”. Nel nostro film c’è prima di tutto una storia che ha il gusto dell’avventura e del sogno, e la forma di una maschera. E quell’avventura la raccontiamo senza commiserazione, senza vittimismo. C’è un rischio collettivo e una storia che sa di bravata e che mostra l’umanità, la fragilità e la bellezza di ognuno dei nostri personaggi.

Tutti i grandi media italiani (ma non solo) si stanno interessando al progetto. Sono spesso gli stessi media che non esitano a parlare di “invasione”, “esodo”, “immigrazione clandestina”, costruendo un’immagine del tutto distorta del fenomeno, quasi a giustificare l’esistenza delle leggi che poi condannano migliaia di persone alla morte nel Mediterraneo. Come convivere con queste contraddizioni?

È vero, il nostro film sta avendo un grandissimo riscontro sulla stampa italiana ed internazionale. Credo che sia prima di tutto merito della storia in sé, che è molto notiziabile, per il semplice fatto che fa collidere tra loro universi immaginari mai sovrapposti prima. C’è la sposa e c’è la guerra, c’è il rap e c’è l’emigrazione, c’è la disobbedienza e c’è la mascherata. E soprattutto ci sono migliaia di persone che stanno sostenendo la produzione del film, e questa è un’altra storia nella storia. Tutto questo non può non destare l’interesse della stampa. Perché alla fine, per quanto approssimativo e asservito possa essere, un giornale vive pur sempre di storie. E una storia come questa non l’aveva mai sentita nessuno. Che ciò contraddica l’allarmismo di quegli stessi giornali, non mi stupisce più di tanto. Alla fine è tutto un grande circo di comunicazione. La stampa si limita a riportare le dichiarazioni dei politici e degli esperti di turno. E su questi temi c’è una narrazione dominante, che va dai professori di diritto ai militanti della Lega, e che a forza di ripeterle riproduce delle verità mai dimostrate. Ovvero che la frontiera ci difenda dall’invasore. Noi con questo film raccontiamo un’altra cosa. E se la stampa è disposta ad ascoltarci, ben venga.

Una parola sul crowdfunding: come mai la scelta di un finanziamento diffuso dal basso? L’unico modo per produrre un film che nessuno avrebbe mai corso il rischio di produrre o una scelta anch’essa politica?

È stato un po’ un fare di necessità virtù. Voglio dire che probabilmente se avessimo avuto un produttore grosso alle spalle non avremmo mai pensato al crowdfunding. Invece ci siamo trovati ad aver montato un film bellissimo e a non avere le risorse per finalizzarlo. E da lì è nata la scommessa. Perché in fondo è una scommessa. Ci siamo chiesti se davvero eravamo i soli a pensare certe cose sulla frontiera o se invece potessimo avere dei complici ai nostri sogni. E per ora devo dire che la risposta è stata straordinaria. In dieci giorni abbiamo raccolto più di 34mila euro grazie a oltre mille donazioni. Ed è solo l’inizio, perché ogni giorno si aggiungono centinaia di persone alla nostra pagina Facebook, che già ne conta 10mila e ogni giorno arrivano decine e decine di donazioni e nuovi articoli sulla stampa. Siamo fiduciosi che riusciremo a raggiungere il nostro obiettivo di 75mila euro. Sono i costi vivi della fabbrica del film che ci servono a chiuderlo in tempo per iscriverlo al festival di Venezia. La scadenza per l’iscrizione è il 20 giugno. E siamo già al 44% dei fondi raccolti.

Un’ultima, necessaria, domanda: c’è qualcuno, secondo te, che non sta con la sposa?

Sono la maggioranza, e il loro racconto della frontiera è egemone, maggioritario, popolare. Noi siamo in pochi, ma con questa storia vogliamo provare ad aprire una breccia nel muro dell’indifferenza. Quando il film sarà nelle sale, vorremmo che anche chi non sta con la sposa, investisse un’ora e mezzo del suo tempo per vederla questa sposa, e ascoltare la sua storia e quella dei suoi invitati a nozze.

Immagini | Io sto con la sposa Facebook

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Sociologo, lavora come progettista e project manager per Sineglossa. Per Le Nius è responsabile editoriale, autore e formatore. Crede nell'amore e ha una vera passione per i treni. fabio@lenius.it
3 Commenti
  1. dav1de

    bellissima intervista. complimenti.

  2. Fran

    Bello, vorrei partecipare al crowdfunding ma i link per i vari tipi di pagamento non funzionano... che fare?

    • dav1de

      Ciao Fran, credo che il motivo sia che la campagna raccolta fondi per il film si è chiusa il 17 luglio 2014. Potresti provare a contattarli sul loro sito e chiedere come dare una mano ;)

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