Il calcio tra business e politica: c’era una volta un gioco6 min read

25 Novembre 2014 Economia -

Il calcio tra business e politica: c’era una volta un gioco6 min read

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il calcio tra business e politicaIl calcio, lo sappiamo, è molto più che un gioco. Il calcio è un business, un’arena politica, un fenomeno sociale. Vediamo quindi alcune trame di questo intreccio che colloca il calcio tra business e politica.

Il calcio tra business e politica: cosa sta succedendo?

Lo scorso 14 ottobre la partita valida per le qualificazioni agli Europei del 2016 tra Serbia e Albania è finita in rissa. Verso la fine del primo tempo un drone con una bandiera recante la scritta “Kosovo libero” ha sorvolato il campo da gioco del Partizan Stadium di Belgrado. Il Kosovo è uno stato a maggioranza albanese, che i serbi considerano come una costola del loro paese. La tensione tra le due etnie ha portato in passato alla guerra e la questione, evidentemente, crea tensioni anche ora, espodendo su un campo da calcio.

Pochi giorni prima, il 5 ottobre, il big match tra Juventus e Roma, finito 3-2 dai bianconeri, è stato oggetto di un’interrogazione parlamentare sull’arbitraggio, che avrebbe avuto conseguenze dirette sull’andamento in borsa dei titoli delle rispettive squadre.

Il 3 maggio scorso, durante la partita di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina, è stato arrestato il capo ultrà del Napoli Gennaro de Tommaso detto Genny a’ Carogna per gli episodi di violenza accaduti prima e dopo la partita. De Tommaso è considerato “leader e istigatore delle violenze” che si sono verificate alcune ore prima della finale di Coppa Italia quando un gruppo di un centinaio di napoletani si concentrò in piazza Mazzini con fumogeni e petardi nell’intenzione, secondo l’accusa, di tendere agguati a tifosi della Fiorentina.

Gli episodi appena descritti ci mostrano come il calcio, prima ancora di essere un gioco, è un fenomeno sociale capace di influenzare idee, convinzioni e modelli politico-sociali.

Fin dall’antichità lo sport è stato uno degli strumenti di intrattenimento delle masse. Gli antichi romani utilizzavano le manifestazioni sportive (dalle gare di corsa o al lancio del giavellotto) come una forma di spettacolo per l’intrattenimento delle folle, ma è in tempi recenti che grazie all’uso sapiente dei media e della pubblicità si è rivelato un’arma potentissima in mano al sistema politico e finanziario fungendo così da cassa di risonanza per altri tipi di problemi che nulla hanno a che vedere con lo sport.

Il calcio tra business e politica: perché proprio il calcio?

Il calcio moderno fin dalle sue origini avvenute in Inghilterra intorno alla metà dell’ottocento si è configurato come lo sport più popolare. Non c’è bar o piazza d’Italia in cui il giorno dopo la partita non si parli di calcio. Alcuni tifosi non rinunciano all’abbonamento neanche se non riescono a pagare il mutuo di casa.

La popolarità del calcio è dovuta soprattutto alla sua semplicità, adattabilità e versatilità rispetto agli altri sport fatti di regole talvolta complesse e gesti motori adatti solo a soggetti allenati. Chiunque può giocare a calcio, in ogni luogo e in ogni momento.

Storicamente nasce sulla base di un intimo legame con il movimento operaio (i primi club furono proprio formati da lavoratori che si ritrovavano durante le pause dal lavoro nelle fabbriche), successivamente, con la sua esponenziale diffusione in molti paesi, viene rapidamente commercializzato e incorporato dall’industria capitalista.

Le grandi aziende cominciano a vedere in questo sport una fonte redditizia di guadagno e la sua popolarità viene sfruttata come mezzo di propaganda politica.

Ancora oggi gran parte del successo di alcuni imprenditori è dovuta alla capacità di inserirsi o acquistare club per aumentare la propria visibilità sul mercato. Diego Della Valle era un soggetto quasi sconosciuto al grande pubblico fino a quando non decise di acquistare la squadra A.C Fiorentina retrocessa in Serie C in seguito al fallimento della gestione Cecchi Gori.

Oggi gran parte delle società sono quotate in borsa, i calciatori sono divi al pari di attori o cantanti. Il filosofo Rederek nel saggio Lo sport contro l’uomo afferma:

“Prosperando sulla morte della cultura, lo sport modella un prototipo di uomo funzionale al capitalismo della globalizzazione tecnologica e dei mercati, che postula la depoliticizzazione dell’umano. Il tifoso si è sostituito al cittadino”.

Il calciatore moderno incarna perfettamente il narcisismo tipico della società dei consumi. Il gioco si è trasformato in un business nel quale vengono mischiati interessi economici e politici. Basti pensare che il calcio in Italia rappresenta la quarta industria del paese.

Non è un caso che le tifoserie di tutto il mondo, in particolare quelle italiane, abbiano anche un loro schieramento ideologico. La tifoseria laziale ha il suo fulcro ai Parioli, zona abitata dai ceti abbienti di Roma, con simpatie fasciste. Lo stesso Benito Mussolini fu socio della società.

La tifoseria del Livorno è stata da sempre contraddistinta dalla presenza nelle sue fila di frange appartenenti alla sinistra militante. Il goleador Cristiano Lucarelli, ex capitano del Livorno, ha espresso più volte il suo credo politico sollevando spesso polemiche per avere esultato con il “saluto comunista”.

Il nostro paese pullula di esempi in cui politica, economia e malaffare si intrecciano: l’ex presidente della Federazione Italiana Giuoco calcio (FIGC) Giancarlo Abete è stato deputato con la Democrazia Cristiana, nella ottava, nona e decima legislatura, dal 1979 al 1992.

Silvio Berlusconi, oltre ad essere presidente del Milan, è stato Presidente del Consiglio. Giancarlo Tavecchio attuale presidente della Figc è stato un esponente della Democrazia Cristiana, dirigente bancario presso la Banca di Credito Cooperativo dell’Alta Brianza, e Sindaco di Ponte a Lambro tra il 1976 e il 1996.

Il calcio tra business e politica: vincere a tutti i costi

Tra scandali doping e compravendita delle partite le dimensioni dell’aggregazione, della cooperazione e dell’inclusione sociale promossi dallo sport lasciano sempre più il posto a una mentalità iper-competitiva.

La mistica del successo a tutti i costi, tipica della società occidentale, è diventata la normalità anche a bassi livelli. In molti settori giovanili è divenuto frequente il fenomeno del campionismo: molti bambini non giocano per svago, per divertimento, ma per non deludere le aspettative e le pressioni dei genitori o dei dirigenti che li vorrebbero campioni fin dalla più tenera età.

La cultura del vincere a tutti i costi produce bambini insicuri, la cui autostima vacilla nel confronto col desiderio di diventare un vero calciatore o di soddisfare i bisogni inespressi di un genitore che proietta sul figlio le proprie mancanze.

Fanno riflettere le parole dell’ex calciatore Javi Poves che ha lasciato lo Sporting Gijon, squadra di calcio spagnola, stanco di questo modo di vivere il calcio:

“Da quando siamo piccoli veniamo trattati come bestie, ci istigano alla competizione e quando si raggiunge una certa età, poi è difficile tornare indietro. Finché la gente continua ad accettare il sistema che esiste non sarà facile cambiare le cose”.

Lo sport dovrebbe essere vissuto come un modo di conoscere se stessi, i propri limiti, le proprie potenzialità, non come un mezzo per raggiungere uno scopo, soprattutto se di natura economica. Esso può avere una spiccata valenza sociale, se ai bambini viene proposto come spazio e tempo di crescita, socializzazione e inclusione, ed è urgente che educatori, genitori, e tutti gli sportivi tornino a promuovere questa visione di sport.

Il calcio tra business e politica: bibliografia

Gasperini Isabella, Crescere e divertirsi con lo sport. Come aiutare i bambini a vivere meglio senza diventare campioni, Franco Angeli, 2010.
Granata Sabrina, Sport e multiculturalismo, Bonanno Editore, 2013.
Rederek Robert, Lo sport contro l’uomo, Città Aperta, 2003.
Santachiara Stefano, Calcio, carogne e Gattopardi, Youcanprint, 2014.

Immagine | Jim Sher

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Sono nato e vivo a Firenze dal 1984. Ho una laurea in scienze motorie e un master in programmazione neurolinguistica. Scrivo e collaboro con la casa editrice digitale Go ware edizioni. Sono educatore sportivo professionista e ho tre grandi passioni: la scrittura, la politica e il teatro. Non sopporto la Fiorentina ma amo Firenze alla follia.
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