Hotel House Porto Recanati: storie da un ghetto italiano8 min read

4 Giugno 2015 Migrazioni Politica -

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Sociologo

Hotel House Porto Recanati: storie da un ghetto italiano8 min read

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Immaginate un grattacielo di 17 piani e 480 appartamenti abitato da 2000 persone, di cui 470 minorenni, provenienti da 41 paesi diversi. Ora prendete questo grattacielo da periferia metropolitana e trasportatelo in mezzo al nulla della periferia di una località balneare della riviera adriatica. Vi fa strano? Eppure questo grattacielo esiste, si chiama Hotel House e si trova a Porto Recanati, cittadina costiera in provincia di Macerata.

L’Hotel House Porto Recanati è un complesso residenziale costruito nel 1967 che, secondo le cronache dell’epoca, rappresenta “la più grande e razionale iniziativa edilizia per il turismo residenziale nella riviera adriatica”. Il fulgido avvenire turistico promesso dall’Hotel House si è però presto rivelato niente più che una chimera: il complesso si è trasformato in un ghetto, dove gradualmente si sono concentrati soprattutto stranieri, che attualmente rappresentano circa il 90% degli abitanti dell’edificio.

Il palazzo appare come un mostro solitario in mezzo a campi, fiumi e infrastrutture stradali e ferroviarie, e presenta problematiche igienico-sanitarie, sociali e di sicurezza. È una sorta di limbo dove è racchiuso un mondo socialmente, fisicamente e simbolicamente separato dal resto della cittadina di Porto Recanati, e oggetto di facili pregiudizi. La situazione è conosciuta a livello internazionale, essendo stata oggetto di attenzioni di università italiane e straniere, e di un’interrogazione al Parlamento europeo.

È questo il contesto in cui tra il 2013 e il 2014 si è innestato il progetto artistico, sociale e culturale dell’antropologo e regista Giorgio Cingolani, che ha condotto un laboratorio di cinema per un gruppo di adolescenti residenti all’Hotel House Porto Recanati. Il risultato del progetto è il film Homeward Bound: sulla strada di casa.

Abbiamo chiesto a Giorgio Cingolani di raccontarci il progetto e approfondire la situazione dell’Hotel House Porto Recanati.

[Aggiornamento: il film è uscito nelle sale a ottobre 2016, qui trovate le date e i cinema dove sono in programma proiezioni del film].

hotel house porto recanati

Hotel House Porto Recanati: intervista a Giorgio Cingolani

Buongiorno Giorgio, presentati in tre righe ai lettori di Le Nius.

Mi piace definirmi una persona curiosa che ama fare esperienza sul campo e mettersi alla prova di continuo. In quasi 15 anni ho compiuto differenti esperienze di approfondimento antropologico sul campo viaggiando in Africa, Asia e Sud America e confrontandomi con le realtà sociali e storico-culturali del mio territorio.

Hai già realizzato un film sull’Hotel House (Hotel House, 2005). Perché tornare lì a distanza di dieci anni?

Perché si tratta di una realtà sociale e umana in continuo e rapido mutamento le cui vicissitudini riguardano direttamente il presente e il futuro del territorio in cui vivo. Credo che il compito di chi si occupa di scienze umane sia principalmente quello di interessarsi delle trasformazioni della nostra società e delle situazioni particolari che ne fanno parte per cercare delle chiavi di lettura e delle indicazioni utili per cercare soluzioni congrue e pertinenti. L’Hotel House Porto Recanati è una realtà molto particolare che si è modificata in molti aspetti rispetto a quella che ho conosciuto dieci anni fa. È una struttura che non trova eguali nel panorama europeo a livello di problematiche e peculiarità sociali e culturali. Inoltre, nel frattempo, all’interno del palazzo negli ultimi anni è emersa con sempre maggiore forza una realtà minorile che è cresciuta moltissimo e oggi ammonta a 470 persone circa (quasi un terzo della popolazione residente). Proprio dei minori, in particolare, degli adolescenti, mi sono occupato negli ultimi tre anni come ricercatore.

Raccontaci come e da chi è nata l’idea di un laboratorio di cinema all’Hotel House Porto Recanati.

L’idea è nata a seguito del mio lavoro di ricerca sugli adolescenti che avevo iniziato nel 2012 e sentivo la necessità di avere uno spazio di confronto e di scambio più intimo e costante nel tempo. Tuttavia, la ricerca è stata solo una questione molto marginale, un mero pretesto, in questo progetto. Ciò che mi premeva era mettere a disposizione dei ragazzi una reale opportunità di emergere e uscire fuori dagli stereotipi e dai condizionamenti che il palazzo innegabilmente provoca sulle loro esistenze, e fornire loro un’occasione di espressione artistica di grande valore sociale e culturale. Il laboratorio ha permesso di attivare un processo creativo ricco di spunti e idee e soprattutto di partecipazione attiva.

Il progetto, nato quasi per scherzo, è cresciuto subito con l’adesione di molti ragazzi che vivono nella struttura e di molti professionisti che lavorano nell’ambito cinematografico e audiovisivo. Cito su tutti Claudio Gaetani e Raffaele Mancini che mi hanno seguito in tutte le fasi del progetto con una passione incredibile. Sono loro che hanno permesso che si riuscisse nell’impresa di realizzare un lungometraggio a costo zero con attori giovanissimi e non professionisti, lavorando in un contesto sociale non semplice che però ci ha sempre accolto e messo nelle condizioni di lavorare tranquillamente.

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Parliamo ora del film concepito durante il laboratorio: Homeward Bound: sulla strada di casa, perché questo titolo? Cosa racconta il film?

Il titolo nasce da tante spinte che la storia e il luogo in sé offrono. La vicenda che raccontiamo si dipana nell’arco di una intera giornata, alla fine della quale c’è chi ritorna a casa, all’Hotel “Casa”, e chi invece se ne va, e il suo posto dove stare sarà quindi diverso, un altrove ancora da scoprire. Questo sentimento a volte radicale a volte sottile, che si muove tra l’appartenenza e la non appartenenza, è l’elemento che accomuna tutti i nostri protagonisti, persone che vivono completamente il posto, con la consapevolezza piena delle sue problematiche ma anche dei suoi lati valorizzabili. Il film racconta le storie degli adolescenti che hanno fatto parte del nostro gruppo. Si tratta di storie in parte vere e in parte inventate, che ci sono state proposte direttamente da loro. Questo farà sì che nel corso delle varie vicende possa emergere compiutamente il vero protagonista del film: il palazzo, la loro casa.

Attraverso il progetto hai potuto conoscere da vicino le storie di alcuni giovani che vivono all’Hotel House Porto Recanati. Che cosa ti ha dato lavorare con loro?

Il progetto è iniziato alla fine del 2013. Da quel giorno almeno tre-quattro volte a settimana ci siamo visti con i ragazzi e abbiamo trascorso il tempo a parlare, a pensare le loro storie e raccontare vicende ed esperienze di vita. Abbiamo condiviso molte cose anche al di fuori del film. Il rapporto umano è continuato e non si è mai interrotto. Claudio Gaetani, che è anche lui regista e docente di linguaggio cinematografico all’Università di Macerata, ha coinvolto quattro di loro come attori protagonisti del videoclip del brano musicale Continentale dei Lettera 22, finalista a Musicultura e visibile su repubblica.it. Alla fine, comunque, la cosa che conta di più è la relazione umana con tutte le sue componenti e un’esperienza profonda e a tratti commovente. Il tutto vissuto con grande semplicità e serenità.

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L’Hotel House Porto Recanati è ormai un caso internazionale. Come è stato possibile che in una piccola cittadina balneare sia nata e cresciuta una situazione solitamente tipica delle periferie delle città metropolitane?

Se parliamo del palazzo come struttura ne conosciamo bene la storia e sappiamo perché è stato costruito. Sappiamo che si tratta di una speculazione edilizia finita subito male come tante altre simili che ancora oggi caratterizzano tante realtà del territorio italiano, e non ci dobbiamo meravigliare troppo se questo modello speculativo continua a provocare la nascita di cattedrali nel deserto o eco-mostri edilizi. Ma se parliamo della realtà sociale che caratterizza questa struttura ci troviamo di fronte a qualcos’altro. Qualcosa che ha a che fare direttamente con il nostro modo di percepire la popolazione migrante in Italia e le nostre politiche di inserimento sociale e di accoglienza. Si tratta per lo più di un modello del tipo: ci sei ma faccio finta di niente. Ti tengo un po’ in disparte e mi illudo che prima o poi passi, o mi sveglio e mi accorgo di aver fatto un brutto sogno. In Italia, è prevalsa una linea politica che ha privilegiato di fatto la separazione sociale e la marginalizzazione dei migranti e che porta a vedere la presenza dei migranti come un fenomeno temporaneo e transitorio come, invece, non è e non può essere.

Come spesso succede in questi casi, si parla della situazione in termini negativi: illegalità, degrado, sporcizia, povertà. Immagino che tu hai potuto vedere anche il lato umano, di risorse e potenzialità che ci sono. È così? Puoi raccontarci una storia o un episodio in questo senso?

Non voglio raccontare nessuna storia. Ne avrei cento e forse di più e alcune molto importanti a livello personale. Invito le persone ad immaginare che in dieci anni che frequento quel palazzo ho avuto sempre modo di interagire serenamente con le persone, in maniera chiara e aperta, discutendo e contrattando le mie idee e le mie necessità come si fa nelle normali relazioni umane. Non sono mai stato aggredito, né minacciato. Non mi sono mai sentito in pericolo eppure sono entrato spesso solo e addirittura con una telecamera in mano. Inutile anche tentare di smontare il pregiudizio che predomina nei confronti di chi risiede nel palazzo e che resiste a qualsiasi tentativo di ragionamento. Ma invito le persone a fare esperienza diretta delle cose prima di esprimere giudizi. Inoltre, invito le persone a guardare il mondo nel quale viviamo con maggiore consapevolezza, cercando di non fermarsi a guardare solo la superficie delle cose. Perché appena si supera la soglia di uno sguardo superficiale si scopre che ciò che guardiamo riflette soltanto noi stessi.

Immagini | Pagina Facebook Homeward Bound

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Sociologo, lavora come progettista e project manager per Sineglossa. Per Le Nius è responsabile editoriale, autore e formatore. Crede nell'amore e ha una vera passione per i treni. fabio@lenius.it
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