Handbike | Uno sport vero, uno sport per tutti9 min read

2 Ottobre 2017 Disabilità -

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Educatore

Handbike | Uno sport vero, uno sport per tutti9 min read

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In Italia c’è un altro Giro d’Italia, un’altra maglia rosa, un’altra schiera di campioni e appassionati in attesa della prossima gara. È il Giro d’Italia Handbike (GIHB), la cui prima edizione si è svolta nel 2010 grazie a un’idea di Andrea Leoni, già direttore della carovana pubblicitaria del Giro d’Italia professionisti. Proprio a lui abbiamo chiesto di parlarci di questo progetto, della sua valenza sociale che nulla toglie all’agonismo e al continuo tentativo di superare i propri limiti.

Cos’è la handbike

handbike italia
@Mirko Casoppero

Per chi non avesse familiarità con l’argomento, la handbike è un mezzo a tre ruote azionato attraverso una coppia di manovelle e messo in moto dalla forza delle braccia. Ne esistono di diversi tipi, ma limitandoci a quelle da competizione possiamo dividerle in due gruppi: quelle che si guidano in posizione sdraiata e quelle che consentono una posizione seduta. La scelta dipende dalle caratteristiche della persona, dal tipo di disabilità e dalle abilità residue.

La handbike come disciplina sportiva è nata di recente. La prima federazione europea venne fondata in Belgio nel 2001, mentre ai giochi olimpici comparve per la prima volta ad Atene 2004. In questa disciplina gli atleti gareggiano divisi per categorie, a seconda del tipo e del grado di disabilità.

Verrebbe da pensare: è uno sport per disabili. Lo pensavo anch’io, finché una sera, per un colpo di fortuna, non ho incontrato il più volte campione del mondo Vittorio Podestà che mi ha detto l’esatto contrario:

Noi disabili siamo arrivati per primi, per ovvi motivi, ma la handbike è uno sport per tutti.

I campioni della handbike

Quella sera io e Podestà eravamo due spettatori qualsiasi tra il pubblico. Protagonista era un altro campione di handbike, Federico Villa, che presentava il suo documentario Rolling Argentina: un viaggio in solitaria – e in carrozzina – alla quotidiana scoperta dei propri limiti. Mentre assistevo al suo racconto mi è venuto in mente l’hashtag del GIHB, che fino a quel momento mi era sembrato banale: #campionidivita.

Non vorrei cadere nella retorica e dire che correre in handbike, o attraversare l’Argentina in carrozzina, siano imprese eccezionali solo perché a compierle sono persone disabili. Vorrei, per un attimo, togliere l’accento dalla disabilità e provare a cogliere l’universalità di certe sfide. Certo, la disabilità rende tutto più difficile, e quindi in qualche modo eroico, romantico. Ma Federico Villa, parlando al pubblico dell’auditorium di Seregno (MB), lo dice chiaro: lui viaggia perché è curioso.

E poi, spiegando come abbia inteso il suo viaggio come una metafora della sua malattia, l’atassia di Friedreich, dice: “La nostra è una patologia degenerativa, ogni anno ci ritroviamo ad affrontare qualche nuovo problema che non ci insegna nessuno, e ci troviamo spiazzati. E lì abbiamo la scelta, come in un viaggio, davanti agli imprevisti: che facciamo, ci fermiamo o andiamo avanti? Fermarci, per ora, credo che non valga la candela. Credo che la cosa più importante sia adattarsi a questi cambiamenti, per poi andare avanti. Se poi ci pensate chiunque, normodotato o disabile che sia, gli imprevisti ce li abbiamo tutti”.

Anche il più noto Alex Zanardi, compagno di Nazionale di Villa, nel suo Volevo solo pedalare (Rizzoli, 2016) offre un punto di vista che va oltre la disabilità: “Come con le paralimpiadi. Se le avessi vissute come un obiettivo da dare alla mia vita, pensando che senza non avesse un senso, non sarei riuscito a combinare ciò che ho combinato. Logico che sia meglio gettarsi in un’avventura olimpica che costruire uno scaffale per il garage, ma l’approccio è lo stesso. Trovare qualcosa di bello da fare, metterci la voglia e vedere che produce nuove avventure. Ma sempre scegliendo e sempre perché ti piace. […] È chiaro che è più facile scegliere se hai alternative. Ma tutti ne abbiamo, anche nelle piccole cose. E decidere per la strada che più sentiamo nostra ci porta a fare tutto bene e a individuare nuovi obiettivi”.

Il Giro d’Italia Handbike

La manifestazione è organizzata ogni anno dal Comitato Organizzatore del Giro di Italia di HandBike, un’associazione sportiva dilettantistica creata ad hoc nel 2010. Il suo scopo è creare una serie di gare a livello nazionale, offrendo agli atleti la possibilità di concorrere ad una classifica finale che, come per il Giro dei professionisti, darà loro la possibilità di indossare la maglia rosa. Naturalmente non è tutto qui: accanto all’aspetto meramente sportivo ci sono obiettivi di tipo sociale, che vanno dall’integrazione al miglioramento della qualità della vita del cittadino disabile, puntando ad una sempre maggiore visibilità di questi temi.

È sulla linea del traguardo della quarta tappa del Giro, a Busto Arsizio, che incontro Andrea Leoni, ideatore della manifestazione (qui un racconto della giornata). Ha in mano un microfono e si dà da fare per intrattenere il pubblico, accoglie i nuovi arrivati con un saluto e un sorriso.

Dal tono dei saluti, dal calore dei sorrisi, capisco di essere entrato in un ambiente in cui, nonostante la competizione, le persone si conoscono e si rispettano tra loro. Siamo ancora lontani, nel bene e nel male, dal clamore del Giro d’Italia professionistico. D’altra parte non è un’iniziativa a scopo di lucro, ma un progetto in cui si lavora insieme per uno scopo comune: far crescere questo sport e tutti i significati che porta con sé.

La voce di Leoni esce dagli altoparlanti e riempie la strada: “La partenza è prevista per le ore 11:00” dice, mentre gli atleti impegnati a provare il precorso ad anello ci sfilano davanti con fruscii leggeri.

Andrea Leoni risponde alle nostre domande

“Fai tutto tu qui? Anche lo speaker?” mi viene da chiedergli mentre cerchiamo un angolo tranquillo in cui parlare. Andrea coglie la battuta e ne approfitta per parlarmi di Fabio Pennella, prezioso collaboratore che si occupa, tra le altre cose, anche dell’intrattenimento: “Oggi lo speaker è a casa con la febbre” dice. “L’organizzazione qui è familiare, si fa quello che si può”.

“Tu però vieni da un mondo molto meno familiare”, puntualizzo. E in effetti, come conferma lui stesso, viene dal Giro d’Italia professionistico. “Nove anni fa” racconta, “quando il CIP (Comitato Italiano Paralimpico, ndr) ha dato ad ogni federazione sportiva il proprio sport paralimpico, in Federazione Ciclistica è entrato appunto il paraciclismo. E allora, siccome per altre categorie di normodotati esiste il Giro d’Italia, noi l’abbiamo creato anche per queste categorie”.

Il GIHB è già alla sua ottava edizione, e di strada ne ha fatta tanta. “Di anno in anno diventiamo sempre più grandi,” racconta Leoni, “cerchiamo di dare il meglio, soprattutto per loro. Alla fine di ogni tappa consegniamo 9 maglie rosa, perché sono 9 le categorie che corrono. Lo sforzo organizzativo va soprattutto per trovare risorse e non è indifferente”.

Sono curioso di sapere il perché. Perché una persona già molto impegnata come Andrea Leoni decide di dedicare il proprio tempo e le proprie energie a questo progetto? Insomma, un conto è avere l’idea, un altro è svegliarsi presto la domenica mattina per stare dietro alle gare. “Qual è stata la scintilla?” gli chiedo. “La mia è passione per lo sport” risponde, “per il ciclismo soprattutto. Poi, anni fa, ho assistito a una gara di handbike, in provincia di Varese, e mi ha trasmesso un qualcosa in più, la scintilla che dici tu. Così, quando in Federazione si è presentata la possibilità di organizzare queste gare, abbiamo preso l’occasione al balzo e ci abbiamo provato”.

handbike italia
@Mirko Casoppero

Di tutta questa storia sento di dover tenere in mente l’aspetto agonistico. Credo che sia importante, quando si parla di sport paralimpico, ricordarsi che si tratta di sport vero. Certo, ci sono di mezzo la disabilità e le difficili vicende personali, ma l’aspetto sociale rischia di mettere in ombra ciò che gli atleti fanno, quello per cui si allenano ogni giorno.

“Qual è la relazione” chiedo, “tra lo sport comunemente inteso e quello paralimpico?”. “Ti assicuro” dice Leoni, “che lo stesso agonismo che esiste nelle gare tra normodotati esiste anche qui, e lo vedrai con i tuoi occhi soprattutto osservando le categorie un po’ più forti, gli H3, H4 e H5”.

Ma ora è lui che mi riporta all’aspetto sociale, forse percorrendo lo stesso mio ragionamento in senso opposto e confermandomi che si tratta di due facce di una stessa medaglia: “Noi non lo facciamo solo per questioni agonistiche” racconta. “Se organizziamo la corsa nel centro di una città come può essere Busto Arsizio – che non è assolutamente facile, sarebbe più semplice andare a organizzarle in periferia – è perché vogliamo far conoscere questo sport, far sapere a tanta gente che è a casa e che magari ha una disabilità, che esiste anche questo sport per potersi ricreare una vita. Qui c’è tanta gente che partecipa semplicemente per il gusto di fare sport: non vince mai, però c’è a tutte le tappe”.

E poi ci sono le storie personali, nel merito delle quali Leoni preferisce non entrare, perché “ognuno ha la sua e sarebbe brutto dirne una piuttosto che un’altra. Però si parla di atleti che hanno sicuramente meno disabilità di noi. Io mi sono reso conto di essere molto più disabile di loro in certi casi. Hanno una voglia di fare! Per queste persone la normalità è la loro situazione quotidiana e la sanno vivere in base alle possibilità che hanno”.

La nostra disabilità è la mancanza di grinta?” gli chiedo seguendo il suo ragionamento. “È che siamo abituati a star bene con quello che abbiamo,” risponde, “e forse abbiamo troppo. Nel momento però in cui ci manca qualcosa, allora sappiamo tirar fuori quel quid in più”.

Cosa può insegnare lo sport paralimpico a quello, chiamiamolo così, tradizionale?” chiedo. “Sicuramente la forza di volontà. Io porto sempre un’esperienza: Roberta Amadeo è la presidente nazionale dell’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla, ndr). Roberta ha questa malattia, degenerativa purtroppo, e si è avvicinata a questo sport perché abbiamo fatto una tappa nel suo paese e da allora ha iniziato a gareggiare con noi. È una persona di una dinamicità, prende due aerei al giorno, fa convegni in tutte la parti d’Italia; se le dici di fare tre gare in una giornata fa il possibile per esserci. La forza di volontà è sicuramente una cosa che dobbiamo imparare e che farebbe bene ogni tanto anche a qualcuno di noi che la domenica preferisce stare a casa sul divano.

Come entrare in contatto con il mondo della handbike

La handbike non è solo uno sport per disabili, dicevamo. Da quest’anno al GIHB è prevista anche una categoria “open”, in cui possono gareggiare anche persone normodotate. Non è uno sport molto diffuso, né economico, ma è sicuramente in crescita. Se siete interessati a fare un’esperienza diretta potete contattare un’associazione sportiva che si occupa di questa disciplina nella vostra zona (ecco un esempio per chi si trova in Lombardia). Più semplicemente, potete tenere d’occhio il sito del GIHB e andare a vedere l’ultima tappa del 2017, l’8 ottobre, a Verona.

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Educatore professionale e formatore, ha lavorato in diversi ambiti del terzo settore. Nel suo lavoro mescola linguaggi e strumenti per creare occasioni di crescita personale attraverso esperienze condivise. Per Le Nius scrive di temi sociali e non profit.
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