Cosa si prova a trovarsi nel bel mezzo di una guerriglia urbana6 min read

22 Ottobre 2015 Società -

Cosa si prova a trovarsi nel bel mezzo di una guerriglia urbana6 min read

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15 ottobre 2011. È la data che i movimenti creatisi e consolidatisi nei mesi precedenti attorno all’esperienza degli Indignados spagnoli scelgono per unificare le proteste, contarsi, dimostrare pacificamente l’avversione verso politiche neoliberiste e verso governi incuranti dei propri concittadini e accondiscendenti con i poteri bancari e finanziari. Un grande esperimento collettivo di protesta globale diffusa in decine di città del mondo. Anche in Italia. Anche a Roma, dove gli “accampati di via Nazionale” sembrano essere l’avanguardia di questo movimento. Questo è il racconto di quella giornata, ma è anche un racconto di cosa si prova a trovarsi nel bel mezzo di una guerriglia urbana.

Guerriglia urbana Roma: e violenza sarà!

guerriglia urbana roma
@Andrea Petrella

15 ottobre 2011. L’area parcheggio dell’Anagnina accoglie moltissimi manifestanti sbarcati qui da mezza Italia; un flusso di corpi si dirige verso la metropolitana. Un attimo di esitazione davanti ai tornelli: “ci vorrà il biglietto?”. La risposta si palesa subito, un gruppo affronta i controllori dell’Atac e apre il passaggio a quanti seguono. Oggi niente biglietto, gli addetti sembrano essere rassegnati e osservano con sguardo spento. Sulla metropolitana cominciano i cori, cadenzati da violente manate sulle pareti dei vagoni e dai battiti dei bastoni sul pavimento in linoleum. Un gruppo piuttosto nutrito scandisce slogan, mi colpisce “e violenza sarà!”, accompagnato da pugni al vagone. Una signora riesce a sovrastare le voci e li apostrofa:

“Ahò, ma la metropolitana ce la pagamo noi, è de tutti, der nostro comune, la state a rompe’!”

Il richiamo sembra funzionare: i cori e le manate cessano, la signora romana gongola ma pare anche un po’ stufa, di tutto e di tutti.

Fuori, piazza Esedra si riscalda al sole e le varie componenti del corteo si preparano a partire. Il movimento degli Indignados in Spagna e in buona parte dell’Occidente è caratterizzato da un’adesione laica, in cui partiti e sigle paiono stare ai margini e i cittadini riscoprono un loro protagonismo civico. Ma siamo in Italia, le sigle e i partiti ci sono eccome, per loro è una ghiotta occasione per cavalcare i malumori e pure le speranze dei manifestanti “spontanei”.

Scorgo il corteo della FIOM con Landini. Poi tanti colori e sigle, i pensionati con il fischietto, l’Italia dei Valori (sembra un’altra epoca, a pensarla oggi, ma sono appena quattro anni), il solitario portavoce dei Verdi Angelo Bonelli che scruta l’orizzonte in cerca di seguaci, gruppi di ragazzi in fila per farsi la foto con Paolini, il disturbatore degli inviati dei tg, bandiere del Pd, bandiere di Rifondazione, bandiere di Sinistra Critica e bandiere di Sel nuove di zecca, striscioni del Comitato acqua bene pubblico, l’Unione degli Studenti, alcuni collettivi di teatri romani occupati, i Cobas, i No Tav, qualche liceo capitolino e tante persone senza una particolare appartenenza.

Si parte, si parla di circa 200 mila persone. Il corteo si ferma e cambia direzione, in via Cavour c’è una macchina, parcheggiata, a cui è stato dato fuoco. Si alza una colonna di fumo nero mentre le fiamme continuano ad avvolgere il veicolo. Non so darmi una spiegazione e continuo a camminare, stranito, voltandomi di tanto in tanto per vedere se l’auto esplode o se il fumo diminuisce.

Supero un gruppo di ragazzi, quasi interamente vestiti di nero, con caschi calcati in testa o sciarpe, passamontagna, e in mano bastoni e spranghe. Sfilano dietro al furgone di San Precario. “Non vogliamo la protesta, vogliamo il conflitto” urla dal megafono una ragazza. Poco dopo mi ritrovo a correre, senza sapere il perché, in una via laterale rispetto a quella dove passa il corteo, forse via Merulana. Vedo i pali dei segnali stradali che ondeggiano e poi cadono a terra, divelti. Il fumo si alza sopra centinaia di teste e gente impaurita corre e urla “via, via, via”.

Dopo una carica tra polizia e manifestanti si respira una sensazione di calma irreale, l’aria è ancora piena di gas, gli occhi e la gola bruciano. Chiusa dentro un’auto una donna piange e si asciuga le lacrime. Per terra bastoni, bombolette, lattine, cassonetti ribaltati e dati alle fiamme. Viale Manzoni, dove il corteo avrebbe dovuto sfilare gioioso e imboccare viale Emanuele Filiberto, è ora un campo di guerra. I manifestanti hanno i volti smarriti, girano per le strade ingrigite dai fumi e dalla violenza. Si avverte, forte, la sensazione che qualcosa o qualcuno prima di noi sia passato per quelle stesse strade e abbia ingaggiato una lotta furibonda.

Guerriglia urbana Roma: La città è ferita

guerriglia urbana roma
@mauriziosacco

“La città è ferita” sembra una di quelle frasi abusate e un po’ retoriche che i giornali amano ripetere. Eppure è proprio quello che penso mentre si cammina schivando piccoli fuochi accesi qua e là, fioriere ribaltate, vetrine spaccate e muri imbrattati. Le famiglie, i bambini, le migliaia di manifestanti pacifici sembrano avere esaurito le energie, sembrano anch’essi feriti, disorientati. “Che si fa?” è la domanda che aleggia tra quanti si sono trovati nel mezzo della spaccatura del corteo.

In fondo al viale c’è piazza san Giovanni, ma non ci arriverò. Nuove cariche, camionette dei carabinieri che girano per la strada imbizzarrite, ragazzi dal volto coperto che lanciano pietre e bombe carta, impugnano spranghe. In piazza san Giovanni, si dice, si sta scatenando l’inferno. Dalla piazza si alzano colonne di fumo e si distinguono le sirene delle camionette e gli idranti sparati contro la folla. La manifestazione è finita, forse non è mai cominciata. Camminando verso Termini osservo le facce deluse di quanti pensavano di partecipare ad una festa e ad una giornata di riflessione collettiva.

Di questo 15 ottobre vorrei poter ricordare, oggi a quattro anni di distanza, la luce di Roma, la protesta colorata, gli accampati di via Nazionale, qualche comizio brillante che per una volta non propinasse i soliti trattatelli sul Berlusconi-brutto-e-cattivo, cittadini senza bandiere né sigle che camminano e ascoltano, discutono e si incazzano civilmente. Ma non ho visto nulla di tutto ciò.

Ho sentito la violenza strisciare nel corteo già dalle prime ore: ragazzini con il casco in testa e i bastoni impugnati fieramente sin dal mattino, automobili bruciate prima che il corteo si avviasse, cori minacciosi e urlati con rabbia. Ho vissuto con disagio gli slogan violenti, il modo violento di spingere dentro al corteo, l’ignoranza violenta del ragazzo che sradica il palo e lo brandisce come un’arma, il pressapochismo violento delle forze dell’ordine che colpiscono nel mucchio, la vigliaccheria violenta di quanti colpiscono e ritraggono la mano, di quanti ripongono casco e sciarpe nello zainetto e si mischiano tra i tanti.

guerriglia urbana roma
@Andrea Petrella

Quella giornata, anche a distanza di quattro anni, mi colpisce profondamente e mi ricorda, se mai ce ne fosse bisogno, come la rabbia, incanalata in malo modo, possa sfociare in violenza becera e difficilmente giustificabile. Certo, quel 15 ottobre è stato anche altro. Una indignazione pacifica e ragionata scorreva in alcune parti del corteo. È per questo che rimane, forte, il rammarico di non aver potuto assistere a una lunga sfilata di cittadini senza bandiere, con i bambini per mano, con il gusto di dibattere e confrontarsi.

Rimane il dolore per aver impressa negli occhi una rabbia animalesca e istintiva difficile da dimenticare, da spiegare, da raccontare. Rimane e rimarrà per qualche tempo la paura di scendere nuovamente in piazza a manifestare senza steccati ideologici. E pensando alle lacrime di tanti in quel pomeriggio romano, sento che ci vorrà del tempo prima che una fetta di popolazione, forse la più indifesa, la più sensibile e la meno rumorosa, riprenda coraggio, rialzi la testa e ritrovi quel sano gusto dell’indignazione verso un mondo iniquo, che ci aveva spinti fino a Roma, quattro anni fa.

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Sociologo, assegnista di ricerca presso l'Università di Padova. Si occupa di politiche sociali per l'infanzia, famiglie vulnerabili e cittadinanza attiva. Ama la musica rock e i cantautori e ne scrive mescolando ricordi, sensazioni e aneddoti.
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