Grecia e Unione Europea: la valigia di Tsipras7 min read

6 Febbraio 2015 Europa -

Grecia e Unione Europea: la valigia di Tsipras7 min read

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Grecia e Unione Europea: la valigia di Tsipras
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Solo qualche giorno dopo il trionfo alle urne, Alexis Tsipras ha formato il governo e fatto la valigia. Il nuovo Premier greco e il suo Ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, hanno incontrato questa settimana il governo francese, inglese, italiano, il Presidente della Commissione europea Juncker e il Presidente della BCE, Mario Draghi. Il nuovo governo greco ha infatti da subito indicato che non intende trattare con la Troika (FMI, BCE, Commissione Europea), quanto piuttosto con i singoli governi UE e con le istituzioni su base bilaterale. Questo spiega le visite di cui sopra. Allo stesso tempo, le dichiarazioni elettorali sulla cancellazione del debito si sono trasformate in un approccio più morbido. Tsipras ha annunciato di voler rinegoziare il fardello di 315 Mld, con piena intenzione di restare nell’UE e nell’Euro. Vediamo cosa chiede la Grecia, quali sono le possibilità concrete di ottenerlo, quali i possibili scenari.

Grecia e Unione Europea: prima e dopo le elezioni

Sotto il precedente governo, la via da seguire era piuttosto chiara. Atene avrebbe dovuto completare alcune misure economiche entro la fine di febbraio, quando la tranche di prestito di 172 Mld di Euro va a scadenza, in modo da poter conseguentemente accedere all’ultimo versamento di aiuti di circa 2 miliardi di Euro più i 5 Mld del FMI.

Successivamente il piano era quello di stipulare una nuova linea di credito a condizioni più leggere. La nuova Grecia intende invece lasciar trascorrere il termine di febbraio, chiedendo solo i 2 Mld del prestito previsti per dopo fine mese, ma rinunciando ai 5 mld del FMI e – così facendo – rinunciando a completare il piano di aiuti, ormai così vicino al suo termine. Quale è il rischio più immediato di questa scelta?

Innanzitutto la probabile incapacità di Atene di ripagare i 4.3 Mld che deve a FMI in Marzo e poi – in assenza di altri aiuti – riuscire ad avere i quattrini per sopravvivere da lì in avanti, senza dichiarare bancarotta. Per ovviare a questo esito, che ridurrebbe la Grecia sul lastrico in un paio di mesi, Atene e il suo advisor (la banca americana Lazard) propongono sì di abbandonare il programma della Troika, ma non per cancellare il debito, bensì per sostituire quel programma con un altro più equo che consenta di ripagare il debito in più tempo e a condizioni migliori.

Ciò che Tsipras chiede, in buona sostanza, non è nient’altro che una ristrutturazione del debito. La condizione necessaria a una ogni ristrutturazione del debito, per definizione, è l’accettazione da parte dei creditori di sopportare sacrifici alle loro pretese. Questa è la vera questione. Vediamo più in dettaglio cosa propone loro Atene.

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Il piano di Atene

Subito abbandonate le dichiarazioni sulla cancellazione del debito, il Ministro Varoufakis ha sostanzialmente esplicitato le intenzioni del governo: spalmatura del debito per consentire ripresa dell’economia e susseguente ripianamento dello stesso. Le forme tecniche ipotizzate sembrerebbero due.

In primo luogo, Atene propone i perpetual bonds, cioè sostituire il debito greco con obbligazioni senza scadenza, con cedola da definire (se fissa o variabile), magari lasciando al debitore l’opzione di esercitare, a scadenze prefissate, la facoltà di rimborso dei bond (opzione “call”). Si tratta di uno strumento finanziario abbastanza diffuso nel mondo, in particolare in Asia e in Europa, ma in crescita negli ultimi anni per effetto di un contesto di tassi di interesse prossimi a zero. Gli esempi italiani sono i Tremonti e i Monti bond.

In alternativa o in aggiunta a questo strumento, si è parlato dei bond legati alla crescita. Il governo Tsipras intende sostituire il piano della Troika con l’emissione di bond legati all’andamento dell’economia. In pratica, tu compri il mio bond, io ti ripago poco se l’economia va male, molto se l’economia va bene. Questo esperimento è stato già seguito in Costa Rica, Bulgaria e Bosnia-Hezegovina negli anni 90, così come in Argentina dopo il default del 2002. Cosa simile fece ancora prima il Messico emettendo bond legati al prezzo del petrolio. Si tratta inoltre di un’idea promossa a più riprese e in più casi proprio dal FMI e anche da Bank of England.

Le possibili critiche a questo strumento sono di due tipi: in primo luogo il timore che il governo possa mentire sui conti, cioè sullo stato di salute dell’economia, in secondo luogo la difficoltà di definire un tasso di interesse. Allo stato attuale tuttavia, sembra trattarsi di aspetti su cui è possibile negoziare. Le proposte avanzate dal ministro greco Yanis Varoufakis a Londra, infatti, hanno ricevuto una positiva accoglienza dagli investitori, con forti rimbalzi in positivo della borsa di Atene e dei mercati in generale. Il destino della Grecia dipende dalla capacità di convincere i creditori ad accettare questo piano.

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Grecia e Unione Europea: il bastone della BCE

Nonostante si fosse diffuso un certo ottimismo, la BCE ha ieri ha mostrato i denti. Proprio al termine della visita del Ministro Varoufakis a Francoforte, Draghi ha congelato i fondi al Paese: ha cioè sospeso la deroga che permetteva alle banche elleniche di ottenere soldi dalla Bce in cambio dei titoli del Partenone, giudicati investimento spazzatura dai rating.

Questa possibilità era prevista per Atene solo in quanto aderente al piano della Troika. Avendo però il governo greco dichiarato che di ciò intende disfarsi, la BCE a sua volta ha chiuso il rubinetto speciale. Le banche elleniche non potranno quindi accedere alle aste di finanziamento della BCE, mantenendo invece la possibilità di continuare a chiedere interventi d’emergenza in situazioni di scarsa liquidità.

La fuga di capitali dalla Grecia di queste settimane, spesso al ritmo di 4-500 milioni di euro al giorno, lascia intuire quanto presto la situazione drammatica potrà ripresentarsi. È dunque toccato a Draghi il compito di mostrare il bastone al governo ellenico e indicare i limiti della trattativa: niente soldi e nessun Quantitative Easing senza un accordo sulla restituzione del debito di 300 miliardi da parte di uno Stato che ha truccato i propri conti.

La rapidissima decisione della BCE è un modo persuasivo di mostrare i muscoli nel braccio di ferro ingaggiato da Tsipras dopo la vittoria elettorale, ma assomiglia anche a un biscotto per gli oltranzisti del rigore sconfitti con il QE. Tuttavia, la mossa di Francoforte era quasi dovuta, conseguenza tecnica (seppur di valenza politica) dell’abbandono del piano della Troika.

Inoltre, per converso, la mossa di Draghi sigilla ineluttabilmente che il piano della Troika è il passato e che è necessario negoziare un nuovo accordo. Bisogna ora sedersi intorno a un tavolo, a livello politico, e decidere il da farsi. Qui conta, e molto, il sostegno politico che il governo greco sembra avere ottenuto in Europa e perfino da Obama. I giochi, insomma, si fanno ora. È ragionevole immaginare che Tsipras, peraltro estimatore di Draghi, lo sapesse bene.

Un nuovo piano per la modernità

Massima austerità e riforme al minimo sono state il risultato della crisi greca fino ad oggi. I tagli per l’aggiustamento dei conti pubblici ellenici sono stati dolorosi, ma il cambiamento di un sistema intriso di clientelismo e corruzioni è stato modesto. La Grecia si ritrova con il peggio delle due cose.

Se Atene riuscirà a rinegoziare il debito, il problema politico europeo con Stati come Irlanda, Portogallo e Spagna, che invece hanno seguito il programma, sarà di non poca portata. Tuttavia la Grecia ha ragione e diritto a chiedere tempo. L’Europa, se davvero vuole essere un’unione di democrazie e non un impero, deve concederne.

Se Atene deve dimostrarsi affidabile, come fanno tutti gli altri, la Germania dovrebbe ricordare che dopo la seconda guerra mondiale, di cui fu responsabile, ricevette aiuti a fondo perduto che le consentirono di sopravvivere e risollevarsi. Così come sono lampanti le responsabilità elleniche, è altrettanto evidente che la cura della Troika, almeno in Grecia, ha fallito.

È dunque necessario un nuovo passo, ma in ottica diversa. Ciò di cui l’Europa e la Grecia hanno bisogno non è solo di un nuovo accordo tecnico per la ristrutturazione del debito, ma di un vero e proprio piano di lungo periodo che consenta ad Atene di trasformare il paese in uno Stato moderno, abbandonando le molte falle del proprio sistema inefficiente e corrotto.

La prospettiva non deve essere quella di rinegoziare un protocollo, magari più leggero ma sempre punitivo. Il nuovo approccio deve consistere – pur prevedendo il ripianamento dei debiti – in un programma di visione ampia e di sviluppo, proprio come per la Germania dopo la guerra e in vista della riunificazione. Tsipras ha già parlato di piano Merkel, assimilandolo al piano Marshall. In ogni caso una cosa è certa: Atene deve dimostrarsi meritevole, l’Europa lungimirante. Altrimenti meglio lasciarsi.

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Milano, Dublino, Londra e Bruxelles. Specializzato in diritto bancario, dei mercati finanziari e dell'Unione europea, collaboro con le facoltà di Economia e Diritto di alcune università europee.
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