Giocare in città | Lo spazio del gioco nella vita urbana8 min read

18 Dicembre 2020 Città -

Giocare in città | Lo spazio del gioco nella vita urbana8 min read

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Il periodo di lockdown ha messo in luce un limite fondamentale delle nostre città: troppi spazi urbanizzati e troppe poche aree in grado di accogliere cittadini e cittadine per svagarsi, fare sport e giocare all’aperto.

Questo perché anche molte nostre abitudini sono cambiate, e abbiamo dovuto riconoscere l’importanza di trascorrere più tempo all’aria aperta, oltre che il valore di creare nella nostra quotidianità momenti di socialità.

Socialità, libertà e aria aperta sono infatti le cose che più sono venute meno nelle nostre vite con l’esperienza della pandemia e del lockdown, giallo, rosso o arancione che sia.

Socialità e senso di libertà trovano massima espressione nel gioco, un’esperienza che almeno per una parte della vita ha accomunato qualsiasi generazione. Il gioco ci accompagna fin da quando veniamo al mondo e modella la nostra personalità, rendendoci più creativi e attivi.

Giocare, naturalmente, non significa solo avere a che fare con dei giocattoli, ma divertirsi e trovare gioia in ciò che facciamo, e può anche essere un ottimo strumento di progettazione della vita urbana, come ci ricorda il sindaco di Bogotá.

I bambini sono una specie di indicatore. Se riusciremo a costruire una città di successo per i bambini, avremo una città di successo per tutte le persone.

Non si gioca più come una volta

Purtroppo, però, non sono bei tempi per il gioco. Uno studio condotto dalla Real Play Coalition, un movimento di cui fanno parte lo studio ingegneristico Arup, Unicef, National Geographic, Lego Foundation e Ikea, ha evidenziato come nelle società moderne il tempo dedicato al gioco stia diminuendo sempre di più, a tal punto che l’erosione del gioco è diventata un’emergenza silenziosa in tutto il mondo.

Alcuni studi hanno infatti rilevato che nonostante i numerosi vantaggi derivanti dal gioco sia per i bambini che per i genitori, il tempo per il gioco libero si è notevolmente contratto non solo a casa, ma anche nelle scuole elementari, dove l’orario della ricreazione e le ore dedicato ad attività fisiche e creative si sono ridotte a favore di attività di studio, quali lettura e matematica.

Anche il tempo dopo la scuola, a casa, tende ad essere organizzato al dettaglio, viene concesso meno tempo per il gioco libero, accelerando il ritmo della normale evoluzione all’età adulta. I genitori tendono infatti a programmare il maggiore numero di attività possibili e a fornire tutti gli strumenti tecnologici per garantire un migliore livello di apprendimento e opportunità, limitando creatività, senso di esplorazione e immaginazione tipici del gioco non strutturato.

Dalla già citata ricerca della Real Play Coalition è emerso che bambini e bambine della scuola primaria hanno sempre meno tempo per giocare, troppo assorbiti dagli impegni: 1 bambino su 5 dice di essere troppo occupato per giocare, il 10% dei bambini dicono di dedicare al gioco meno di due ore alla settimana, l’8% dice di non avere la dimensione del gioco nella propria vita.

Nel Regno Unito, il tempo di gioco all’aria aperta è diminuito del 50% rispetto alla generazione precedente, negli Stati Uniti, dal 1981 al 1997, è diminuito del 25%.

Ma giocare non dovrebbe essere la principale attività di bambini e bambine? Il modo in cui progettiamo gli spazi urbani e di vita quotidiana può contribuire a promuovere l’attività ludica? È possibile integrare la dimensione del gioco nella quotidianità urbana?

Giocare in città: le Play Street

Il periodo di lockdown ci ha mostrato delle città inaspettate, silenziose, poco trafficate e più sicure, a tal punto da far sorgere il desiderio di usare di più biciclette e monopattini e lasciare giocare bambini e bambine nei cortili delle case e lungo le vie delle città.

Questo desiderio era già stato intercettato da alcune esperienze che in giro per il mondo intendono promuovere il gioco nello spazio urbano, come ad esempio le Play Street.

Si tratta di strade che vengono chiuse per una breve durata, di solito con la semplice collaborazione delle famiglie di residenti, creando spazi sicuri in cui bambini e bambine possono giocare insieme stando vicino alle loro case e senza giochi o attività organizzate.

Nelle Play Street i bambini vanno in bicicletta, in skatebord, sui pattini a rotelle, giocano a palla, saltano con la corda, usano l’elastico, o i gessetti.

Secondo uno studio dell’Università di Bristol (pdf) durante le sessioni di gioco all’aperto i bambini sono da tre a cinque volte più attivi di quanto lo sarebbero in un giorno “normale” dopo la scuola.

Una valutazione più approfondita condotta sull’esperienza della Play Street di Hackney, Londra, ha messo in evidenza la quantità significativa di attività fisica durante le sessioni di gioco in strada, trovandola equivalente a 14 lezioni di educazione fisica settimanali aggiuntive per ogni trimestre scolastico.

Anche per questi risultati, il movimento Playing Out e le Play Street hanno ispirato iniziative a sostegno del diritto dei bambini di giocare in tutto il mondo, dall’Australia al Brasile.

In Canada, l’associazione Earthday Canada si è fatta promotrice delle Play Street e ha combattuto il divieto espressamente previsto da un regolamento, che impediva di giocare a Street Hockey, una variante dell’hockey fatta apposta per giocare in strada.

(Se vi interessa praticare una sessione di Street Hockey si gioca così: al posto del disco si usa una palla, ogni volta che sta per arrivare un veicolo si urla “macchinaaaaa!!!!”, prima che arrivi l’auto si sposta a bordo strada la porta e una volta passata si riprende a giocare).

A partire da un progetto pilota a Toronto, l’iniziativa di Earthday si è diffusa nel resto del Canada, fino ad ottenere la revoca del divieto di giocare a Street Hockey.

Le Play Street son state sperimentate anche a Ghent, in Belgio, durante le vacanze scolastiche del 2013, e l’esperienza si è poi trasformata nel progetto Living Streets, attraverso il quale i residenti si sono interrogati sull’opportunità di creare le strade dei loro sogni limitando temporaneamente il passaggio delle auto. I residenti hanno immaginato di trasformare la strada in un luogo di incontro per il divertimento di tutto il quartiere.

Nel corso dell’esperienza, le Play Street dalle vie residenziali si sono spostate in prossimità degli edifici scolastici, introducendo sistemi di chiusura della via al traffico in concomitanza all’orario di entrata e uscita da scuola per consentire il gioco ai bambini e per creare momenti di socialità per i genitori.

giocare in città

Giocare in città: l’urbanistica tattica

Un’altra iniziativa ha portato le città moderne a cambiare il loro aspetto e a riconoscere l’importanza di sottrarre spazio ad auto e costruzioni per restituirlo alla cittadinanza.

Si tratta dell’urbanistica tattica, un approccio inusuale, lanciato intorno al 2010 da un movimento statunitense che sulla scia delle prime esperienze avviate a Barcellona nelle Superillas, a New York con la prima pedonalizzazione di Times Square e a Parigi con le sue ciclovie, propone azioni e trasformazioni urbane alla scala di quartiere a breve termine e a basso costo, con un elevato impatto sociale e con un grande potenziale di scalabilità.

Non esiste una definizione univoca e omnicomprensiva di urbanistica tattica, tuttavia le diverse esperienze adottate e replicate consentono di ricondurre questo termine a determinate azioni più o meno complesse volte ad accrescere la vivibilità di uno spazio urbano.

Comune denominatore degli interventi è il ricorso a vernici colorate e innovative, arredamento urbano, giochi a terra e tavoli da ping pong. Pochi elementi che restituiscono un nuovo volto ad un angolo della città o del quartiere spesso dimenticato.

Sono state diverse le esperienze urbane che hanno utilizzato questo approccio per rispondere all’emergenza sanitaria. È il caso della città di Vancouver che ha realizzato il progetto pop-up plazas, interventi rapidi per aiutare i residenti e le imprese ad adattarsi a vivere e a operare durante il periodo di pandemia.

Attraverso colorazioni e chiusure temporanee delle strade, la città ha creato le condizioni per consentire alle persone di muoversi, mangiare, godersi il tempo all’aria aperta, mantenendo una distanza di sicurezza l’una dall’altra.

Urbanistica tattica in Italia

Negli ultimi anni, l’urbanistica tattica si è diffusa anche in Italia.

A Sassari, grazie alle attività di progettazione inclusiva e partecipata realizzate dall’impresa TaMaLaCà, bambini e bambine di una scuola primaria del rione storico di San Donato, con il supporto di insegnanti, genitori, abitanti del quartiere e il consorzio che riunisce i falegnami della città hanno realizzato un’opera utilizzando l’approccio dell’urbanistica tattica.

La struttura realizzata simboleggia la rivendicazione del diritto al gioco libero e autonomo negli spazi pubblici della città, spesso ostacolato o addirittura negato. Nella piazza, prima occupata da auto in sosta, ora sorge un pergolato e delle sedute.

A Milano l’urbanistica tattica si è diffusa attraverso il progetto Piazze Aperte. In particolare, recependo le riflessioni del progetto Mobì – La mobilità dolce passa da qui, del Bilancio Partecipativo anno 2017-2018, è stata realizzata una nuova piazza tattica tra via Spoleto e via Venini.

La piazza, inaugurata il 19 settembre 2019, sorge in prossimità dell’ingresso della scuola elementare Venini. Grazie alla posa di fioriere, rastrelliere, tavoli e panchine per la sosta, durante l’orario di ingresso e uscita da scuola, la piazza viene invasa da bambini e famiglie, che senza fretta o timore delle auto, possono giocare e socializzare liberamente.

Queste esperienze ci hanno resi più consapevoli dell’importanza del gioco per la crescita e sviluppo dei bambini, ma anche degli adulti, e ora la sfida sembra essere proprio quella di integrarlo nella nostra quotidianità urbana: alle fermate dei mezzi pubblici, in tram e metropolitana, nel percorso casa – scuola e al supermercato.

Le città, con le loro strade e piazze e i loro spazi davanti a casa e a edifici di interesse pubblico, contengono un enorme potenziale per incoraggiare senso di libertà e interazione sociale.

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Milanese d’origine, giurista di studi, con un master in relazioni d’aiuto e cooperazione. Alle volte avvocato, si occupa di resilienza, sensibile al mondo dell’educazione e amante dei viaggi: a piedi, in bici, in macchina o in moto qualunque sia la destinazione.
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