Senza finanza per il clima non c’è transizione giusta8 min read

20 Dicembre 2024 Ambiente Clima Economia -

Senza finanza per il clima non c’è transizione giusta8 min read

Reading Time: 6 minutes

La finanza climatica è il presupposto della trasformazione ecologica. Senza adeguate risorse economiche i Paesi in via di sviluppo non saranno in grado di fare una transizione equa verso un’economia a basse emissioni di CO2. Anche nei Paesi sviluppati si allontana l’obiettivo della transizione giusta.

Con finanza climatica o finanza per il clima, secondo l’IPCC si intendono le risorse finanziarie dedicate ad affrontare i cambiamenti climatici da parte di tutti gli attori pubblici e privati dalla scala globale a locale, inclusi i flussi finanziari internazionali ai Paesi in via di sviluppo per assisterli nell’affrontare i cambiamenti climatici. La finanza per il clima ha dunque l’obiettivo di fornire i mezzi a tutti e tre i pilastri dell’azione climatica: la mitigazione, cioè la riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra, l’adattamento, ovvero l’aumento della resilienza agli impatti presenti e futuri dei cambiamenti climatici, e il risarcimento delle perdite e dei danni già subìti dai Paesi più vulnerabili. I finanziamenti possono provenire da fonti private e pubbliche, essere incanalati da vari intermediari, e sono erogati attraverso una serie di strumenti, tra cui sovvenzioni, debito agevolato e non, e riallocazioni interne di bilancio.

A quanto ammontano le risorse ad oggi mobilitate per finanziare l’azione climatica? Secondo le stime più recenti pubblicate da Climate Policy Initiative, uno dei più autorevoli gruppi di ricerca indipendente sulle politiche climatiche, nel 2023 la finanza climatica ha superato i 1.500 miliardi di dollari, una cifra raddoppiata rispetto al 2020, ma del tutto insufficiente per coprire i bisogni reali per contenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi, stimati in 7.400 miliardi di dollari all’anno da qui al 2030. Il grosso dei flussi finanziari continua a riguardare gli investimenti per la mitigazione, in quanto più redditizi, trainati dal settore delle energie rinnovabili e del trasporto a basse emissioni. Sono ancora marginali, invece, le risorse per l’adattamento dei Paesi in via di sviluppo: 76 miliardi di dollari nel 2022, un terzo del volume che secondo gli esperti sarebbe richiesto annualmente da qui al 2030. Anche la distribuzione geografica degli investimenti è tuttora iniqua, con la maggior parte dei flussi concentrati nei Paesi sviluppati, pur essendo aumentati in modo apprezzabile i finanziamenti per il clima a favore delle economie emergenti.
Quello che emerge chiaramente dall’analisi, infine, è che investire poco oggi significherà pagare un prezzo più alto per i danni di domani: le perdite economiche previste che possono essere evitate entro il 2100 mantenendo la temperatura globale entro 1,5°C sono stimate essere cinque volte superiori ai finanziamenti climatici necessari da qui al 2050 per raggiungere questo scenario di riscaldamento.

Finanza climatica e transizione giusta

La mancanza di risorse finanziarie adeguate sta di fatto rallentando la transizione energetica dei Paesi in via di sviluppo, che in larga parte continuano a basare l’uscita dalla povertà sui combustibili fossili. Ma una finanza per il clima insufficiente è un grosso problema anche per i Paesi sviluppati, che faticano a fare accettare le necessarie politiche climatiche ai propri elettori. Una transizione sottofinanziata, infatti, è una transizione ingiusta, che aumenta le disuguaglianze sociali e rischia di impoverire le fasce sociali più deboli, e dunque sempre più osteggiata dall’opinione pubblica.
D’altronde l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (in inglese ILO), l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di giustizia sociale e diritti del lavoro, svolge da decenni un intenso lavoro di advocacy per includere il tema della transizione giusta nelle politiche internazionali sul clima. Partendo da un assunto molto pragmatico: le trasformazioni della sostenibilità avranno successo solo se saranno considerate eque e inclusive. Uno dei motivi per cui l’azione per il clima e l’ambiente rimane inadeguata in tutte le parti del mondo è che, in gran parte, ancora non riconosce l’intrinseca dimensione umana. Affrontare questa dimenticanza significa accelerare la transizione giusta come fattore critico per il successo della sostenibilità.

Come si costruisce una transizione equa? Anticipando le trasformazioni del mercato del lavoro e dell’occupazione, disegnando politiche industriali di medio e lungo termine, finanziando con risorse pubbliche la transizione dei settori ad alte emissioni di CO2. Anche l’ultimo rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (in inglese OECD), che pur promuove un’idea di sviluppo basato sull’economia di mercato, sottolinea che per accompagnare la trasformazione del lavoro e dell’occupazione servono risorse pubbliche, da utilizzare anche a favore di regimi di sostegno al reddito dei lavoratori più impattati. Sempre l’OECD consiglia di utilizzare il gettito derivante dalle tasse sul carbonio sotto forma di trasferimenti alle famiglie più povere, con l’obiettivo di rendere progressivo l’effetto di queste riforme. Detto in altri termini, per costruire un’economia a bassa impronta di anidride carbonica è necessario affrontare la questione della redistribuzione della ricchezza e della riduzione delle disuguaglianze.

Il tentativo della Conferenza ONU sul clima

Dopo essere stata ignorata per almeno due decenni, la dimensione sociale della transizione ecologica si è finalmente guadagnata uno spazio di attenzione anche all’interno dei summit internazionali sul clima. Ogni anno, da 29 anni, i 193 Paesi delle Nazioni Unite che riconoscono la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici si incontrano per fare il punto sullo stato di avanzamento dell’azione climatica globale. Il lavoro dei delegati è strutturato su diversi programmi, tra cui la mitigazione, l’adattamento e la finanza. Il Just Transition Work Programme (JTWP) è il più recente: istituito alla COP27 del 2022, è stato reso operativo solo l’anno scorso dalla COP28, con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo sostenibile ed equo dei Paesi ONU.

Il dibattito sulla transizione giusta è stato molto acceso e partecipato fin dall’inizio della COP29 di Baku. A dire il vero, già durante il primo dialogo a Bonn, a giugno 2024, erano emerse una serie di difficoltà sostanziali, che toccano il nocciolo della transizione giusta, a partire dalla sua definizione: trasformare l’economia fossile in economia sostenibile richiede di continuare a garantire i diritti del lavoro – occupazione, stipendi, qualità del lavoro – oppure fare la transizione energetica significa anche impegnarsi a raggiungere tutti gli altri Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, a partire dall’eradicazione della povertà? Questa è la principale differenza di vedute tra i Paesi sviluppati e i Paesi in via di sviluppo. I primi sostengono che la transizione giusta è un obiettivo da affrontare a livello nazionale, occupandosi innanzitutto di politiche del lavoro. Per i secondi, invece, la giustizia climatica è un obiettivo globale e le disuguaglianze tra i Paesi ricchi e quelli poveri sono troppo profonde per poter continuare a ignorare il ruolo della cooperazione internazionale.

Nel corso delle due settimane a Baku, i negoziatori hanno lavorato su diverse bozze di un possibile accordo sulla transizione giusta. Molti delegati hanno sottolineato l’importanza di arrivare a un’intesa globale sulla sua definizione, includendo alcuni aspetti cruciali come i diritti umani e la finanza climatica. Le posizioni espresse dal Nord e dal Sud del mondo, tuttavia, sono state molto diverse: Paesi come gli Stati Uniti si sono opposti a qualsiasi riferimento esplicito alla finanza climatica, difendendo un’interpretazione “ristretta” di transizione giusta – nazionale, riguardante solo la sfera del lavoro. I Paesi del Gruppo 77 + Cina, costituito dai Paesi in via di sviluppo, hanno invece sottolineato la responsabilità dei Paesi sviluppati di sostenere la transizione dei Paesi più poveri, chiedendo l’istituzione di un fondo apposito. Il dibattito ha messo in luce un profondo senso di sfiducia tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. La resistenza dei Paesi più ricchi a mettere a disposizione risorse finanziarie adeguate a sostenere la transizione del Sud del mondo, sancita dall’accordo finale fortemente al ribasso, ha messo nero su bianco proprio la crisi del multilateralismo. Come ha scritto Anna Pelicci, capodelegazione di Italian Climate Network a COP29, “i Paesi del Sud del mondo hanno espresso la sensazione di non essere ascoltati e di essere esclusi da un processo decisionale che li riguarda direttamente”. Dopo due settimane di intenso lavoro, il tavolo negoziale sulla transizione giusta non ha raggiunto un consenso e il tema è stato dunque rimandato ai negoziati intermedi di Bonn, previsti all’inizio del 2025.

Manifestante chiede di agire per il clima

Verso una transizione (anche) dal basso?

Al di là dell’evidente fallimento della COP29 sul programma di lavoro sulla transizione giusta, sono comunque stati fatti alcuni passi avanti positivi. È stata riconosciuta l’importanza di considerare tutti i settori lavorativi, compresi quelli informali e l’economia della cura, e di garantire la partecipazione delle comunità nei processi decisionali. Anche grazie allo scambio di buone pratiche ed esperienze avvenuto tra gli Stati, è stato rimarcato che il dialogo sociale è fondamentale per garantire che la transizione sia inclusiva e giusta.
Nonostante le buone intenzioni, però, anche ai negoziati appena conclusi la società civile non ha potuto partecipare in maniera attiva: come ha raccontato Simona Fabiani, Responsabile CGIL Politiche per il clima, il territorio, l’ambiente e la giusta transizione, le maggiori organizzazioni sindacali a livello mondiale sono state invitate ad alcuni incontri di alto livello sul tema della just transition, ma è stato loro negato lo spazio di parola.

Questa dinamica, sempre secondo Fabiani, si ripete a livello nazionale, perlomeno nel caso italiano: ad oggi il governo non ha mai incluso i sindacati nella progettazione e pianificazione della transizione giusta. Inoltre, fatta eccezione per i piani predisposti per Taranto e il Sulcis Iglesiente su iniziativa dell’Unione Europea, il governo sta di fatto rinunciando a governare il processo.  Come denunciano i sindacati, manca qualsiasi tentativo di costruire una seria politica industriale per la transizione.
Da un lato, dunque, la linea del governo Meloni sembra essere quella di “ lasciar fare a chi vuole fare”, riducendo al minimo la governance della transizione; dall’altro, come ha ammesso Alessandro Guerri, nuovo Direttore Generale del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, proprio durante la COP29, la partecipazione viene considerata uno strumento inefficace da cui tenersi alla larga.
Senza una strategia nazionale coerente, tuttavia, il rischio è che l’Italia non solo non raggiunga i propri obiettivi di decarbonizzazione, ma che perda anche ulteriore competitività e occupazione. Rimandare la transizione o lasciare ai soli attori privati il compito di portarla avanti significa rinunciare a fare una transizione giusta.

CONDIVIDI

🌱Natura ♻️ Sostenibilità ⚖️Giustizia Questi sono i tre valori che orientano le mie azioni e il mio lavoro. Dopo una laurea magistrale in filosofia, provo a trasformare la teoria in pratica attraverso la comunicazione, la divulgazione, l’educazione e la progettazione.
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Iscriviti alla niusletter e resta aggiornato

Lascia la tua email qui sotto e rimani aggiornato con le ultime novità dal Blog di Le Nius
Puoi annullare l’iscrizione in qualsiasi momento facendo clic sul collegamento nel footer delle nostre e-mail. Per informazioni sulle nostre pratiche sulla privacy, trovi il link qui sotto.

Su cosa Vuoi Rimanere Aggiornat*?

Scegli lo scopo per cui vuoi ricevere le nostre Niusletter. Scegli almeno un’opzione per permetterci di comunicare con te

TORNA
SU