Festival di Venezia: gli italiani in concorso presentati nel weekend6 min read

7 Settembre 2015 Cultura -

Festival di Venezia: gli italiani in concorso presentati nel weekend6 min read

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Respirare Venezia durante il festival è come incontrare per strada sempre qualcosa di inaspettato, non per forza nuovo, ma sorprendente. E poi è bello quando l’Italia non solo sa difendersi dal resto del mondo, ma riesce anche a splendere di vita nuova. Tantissimi i film presentati durante il weekend, tra questi due gli italiani in concorso.

Festival di Venezia: gli italiani in concorso presentati nel weekend

L’attesa di Piero MessinaFestival di Venezia gli italiani in concorso L'attesa

È leggero il sole che fa chiari i volti delle due donne ne L’Attesa, e si sente l’Italia quella bruciata e gravida de’ La meglio gioventù, che è sfondo e protagonista in una terra occidentale dalle atmosfere archetipiche. Due donne, una madre, l’altra no, e più giovane. Aspettano un uomo, figlio di una e compagno dell’altra: sono Juliette Binoche e Lou de Laâge che ricorda la giovane Adele de La vita di Adele di Abdellatif Kechiche, un po’ Lolita e un po’ Lucy di Io ballo da sola di Bertolucci. Si conosceranno nell’attesa, cambiando e trovandosi unite dopo essersi semplicemente trovate. È un film questo che fa venir voglia di esser consumato solo per il gusto di renderlo pelle e non carne, respiro e non aria. Tenue e profondo come le verità originali sconvolgenti solo finché non lei sai.

A Bigger Splash di Luca GuadagninoFestival di Venezia gli italiani in concorso A bigger splash

Meno propriamente poetico, più stiloso e più “guadagnino” (come se fosse già un aggettivo) è l’altro grande italiano presente al Festival: A Bigger Splash, di Luca Guadagnino appunto. Ancora presente è la sua musa androgina di Io sono L’amore, Tilda Swinton, questa volta più ruggente nell’aspetto, ma sempre calda ed elegante, brillante di sensualità androgina. È una rock star in convalescenza Marianne, a causa di un’operazione alle corde vocali. Non riesce a parlare ma la Swinton rende chiara la sua persona, come solo lei è in grado di fare mentre interpreta un personaggio. C’è passione, amore, vento caldo e ripensamenti, eccitazione e un passato che sa imporsi anche quando è già passato. L’Italia fa da sfondo e detta i bassi come in una composizione armonica di cui il regista è abile maestro.

Festival di Venezia: gli altri film presentati nel weekend

The Danish Girl di Tom Hooper, film sull’artista degli anni ‘20 Gerda Wegener, che ritrasse il marito travestendolo da donna, e vedendolo successivamente mutare aspetto nella donna che aveva scoperto di essere veramente, dentro oltre che fuori.
I colori sono forti e decisi, quasi a ricordarci quelli di Big Eyes di Tim Burton. Elegante e femminile, pieno nel suo essere donna. Sì, perché a essere donna è il film stesso: deciso ma non calcato a forza, imbarazzato e sensuale, pieno di amore, profondo e senza regole. Come a dire che una donna riconosce la sua natura ovunque, anche dentro quella di chi ama, più di ogni altra cosa. È anche un film straziante, di perdita,ma è fiero nel titolo come nella riscoperta di un altro Sé.

Deciso è anche The Childhood of a leader di Brady Corbet, in cui la natura di un animo esplica le sue fila nell’infanzia e si determina, impertinente e crudele, nell’ambiente in cui si adagia, si ispira e cresce. È la storia di un bambino cresciuto mentre suo padre era coinvolto nella stesura del Trattato di Versailles. Sarà meschino in maniera così necessaria e lineare che verrebbe da dire che il male ha veramente la stessa genesi del bene.

La stessa dualità originaria la troviamo in un altro film atteso molto in questa Venezia 72: Equals di Drake Doremus. Film atteso per una nuova interpretazione di Kristen Stewart, attrice sempre sorprendente e non solo per la bravura ma per la capacità di farsi conoscere ogni volta in maniera diversa. Non ha avuto un grande esito di pubblico, per la debolezza nell’intreccio e per un tema tenuto in piedi con un rigore non troppo forte, ma rimane una storia interessante: il mondo è nel suo futuro e l’uomo si è tolto le emozioni più forti per non estinguersi, per non farsi del male. Qualcuno è ancora indenne da questi drastici cambiamenti e troverà non la forza ma la necessità di amarsi.

Poetico, orientale, entra in punta di piedi invece Tharlo di Pema Tseden. Girato nel Qinghai, regione tibetana, è la storia di un giovane pastore con l’ambizione di farsi servitore del popolo, finché non arriverà in città e una ragazza sconvolgerà le sue sorti oltre che la sua idea di vita. Viene da un racconto, scritto proprio dal regista, e ha la veste di una fiaba in bianco e nero, in cui il luogo più aspro e il fiore più dolce prendono le stesse sfumature diventando taglienti e forte in ugual misura.

Anche il tema della guerra irrompe a Venezia, con Kriegen (A war) di Tobias Lindhol. Pellicola drammatica in cui una donna aspetterà con la sua famiglia, il marito che è in guerra. Sarà un ritorno infausto vista l’accusa di Claus (il protagonista) di crimine di guerra.

Il documentario del weekend è affidato in parte all’India con For the love of a man di Rinku Kalsy e si basa proprio sul concetto di fandom e di come in India, legato alla fama e nello specifico alla fama degli attori del cinema, determini di conseguenza le vite. Gli attori sono modelli di persona e i film copioni per avere una vita migliore. È interessante capire che nonostante il mondo prenda diverse declinazioni, una parte delle società in India si attacca ai suoi miti di sempre, incapace di inseguire questi modern times.

Grande ritorno è quello di Pablo Trapero con El Clan, film che si affaccia sull’Argentina dei Colonnelli, spietato e brutale. Parlerà di famiglia, e non solo nel senso di clan come ci suggerisce il titolo. Protagonista è il clan Puccio, che negli anni ’80 rapì molte persone per chiederne successivamente il riscatto. È l’ipocrisia di un ambiente malavitoso a celarsi dietro la vita quotidiana di famiglie in affari col male.

È la Francia a regalarci un delicato dramma che somiglia quasi a un cammeo da attaccare al muro, e lo fa con L’hermine di Christian Vincent. Un giudice incorruttibile, mentre è nel bel mezzo di un processo si accorge che in giuria c’è la donna che ama e che non aveva più visto. Il suo rigore rimane tale come il suo senso di giustizia che forte si accompagna al logorio dell’ossessione per quella donna. È proprio il rigore che vuole suggerire l’ermellino di cui è vestito, ma l’umanità che ne esce è commovente.

Dolce e commovente è anche Janis di Amy Barg documentario fuori concorso sulla grande cantante Janis Joplin: anima rock, complessa e delicata, donna e mito, fin dalla sua infanzia.

Nuovo per l’Italia, Venezia 72 ci porta anche il mockumentary in Pecore in erba di Alberto Caviglia (assistente alla regia di Ozpetek): antisemitismo surreale, in cui si avvicendano grandi personaggi della cultura italiana, da Carlo Freccero a Corrado Augias che interpreteranno “testimonianze” sulla figura di questo Lorenzo Zuliani, assurdo rivoluzionario antisemita dei nostri tempi. Tutto ambientato a Trastevere. Di solito avremmo immaginato Woody Allen approcciarsi a un’impresa del genere, ed è per questo che il regista dice di essersi ispirato al suo Zelig per dare il nome al protagonista dell’opera, ma anche Alberto Caviglia è ebreo, e anche lui riconosce l’ironia come il modo che dio ebbe per dare risalto all’umanità dell’uomo, talvolta per deriderlo, talvolta per intenerirsi.

La metafora iniziale del camminare per strada e incontrare ogni volta qualcosa di sorprendente vorrei aggiustarla, alla fine di questo week end, perché la Mostra del cinema di Venezia è anche folla e massa indistinta, dove scorgere una faccia amica è sentirne prima il battito: ognuno va dietro al suo ritmo.

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Animo mal mescolato tra toni scuri e una buona dose di arancione. Leone ascendente scorpione: selettiva e piena d’amore. Mi piace la gente quanto il cinema, per questo a volte li preferisco a targhe alternate. Non so che significa ma ho sempre amato il dispotismo illuminato.
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