Etiopia: Feyisa Lilesa e il massacro degli Oromo5 min read

9 Settembre 2016 Mondo Politica -

Etiopia: Feyisa Lilesa e il massacro degli Oromo5 min read

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Etiopia: Feyisa Lilesa e il massacro degli Oromo
@sbnation

Il gesto delle manette. Lo scorso 21 agosto l’atleta olimpico Feyisa Lilesa arriva al traguardo della maratona dopo 42 km di corsa e alza le mani al cielo a pugni chiusi, mimando le manette di un arresto. Con questo gesto vuole puntare i riflettori del mondo sulla tragica situazione del suo Paese, l’Etiopia: da mesi gli appartenenti all’etnia Oromo, di cui fa parte anche Lilesa, sono in conflitto col governo centrale di Addis Abeba e da gennaio gli scontri hanno già provocato centinaia di vittime.

Gli Oromo. La regione Oromia è la più grande di tutta l’Etiopia ed include anche la capitale del Paese, Addis Abeba. L’etnia originaria della regione, gli Oromo appunto, sono il più nutrito degli 80 gruppi etnici che vivono nel Paese e da soli costituiscono il 34% della popolazione etiope. Sono rappresentati dal Congresso federalista Oromo, il più grande partito politico legalmente registrato dell’Oromia che però non detiene alcun seggio in Parlamento.

L’espansione di Addis Abeba e le proteste. L’inizio delle proteste avviene nel corso dello scorso novembre, quando il governo centrale propone un piano per l’espansione amministrativa della Capitale (Integrated Development Master Plan) che prevede l’esproprio di molti territori di proprietà degli Oromo. Forti proteste si sollevano da parte di tutta la comunità che vive nell’Oromia, tanto che il governo a gennaio ritira formalmente il piano di espansione. Tuttavia, la miccia innescata non si è spenta: le manifestazioni continuano imperterrite per chiedere riforme, uno stato di diritto e la liberazione dei detenuti politici.

Violenza governativa. La risposta violenta del governo non si fa attendere in particolare nelle città di Bahir Dar, Ambo, Adama, Asassa, Aweday, Gimbi, Haromaya, Neqemte, Robe e Shashemene e la tensione sale ulteriormente. Sulla spinta della minaccia di esproprio, gli Oromo scendono in piazza e lì rimangono per rivendicare la propria identità etnica e denunciare l’emarginazione economica e sociale che stanno subendo da diversi anni ad oggi da parte dei tigrini al governo. Sono ormai 20 anni, ad esempio, che è stata ufficialmente soppressa la lingua oromo.

Le vittime civili. All’inizio di agosto vengono organizzate nuove manifestazioni non autorizzate nella parte nord dell’Oromia e nella regione di Amhara che la polizia reprime nel sangue causando un centinaio di vittime. Secondo Human Rights Watch, questi ultimi morti vanno ad aggiungersi alle altre centinaia registrate dal novembre del 2015: le stime evidenziano più di 400 morti e migliaia di arresti. Anche Amnesty International denuncia le violazioni dei diritti umani e soprattutto la condizione inumana di prigioni illegali dove sarebbero perpetuate anche torture nei confronti dei dissidenti. Secondo Michelle Kagari, direttrice regionale di Amnesty:

La risposta delle forze di sicurezza è stata pesante, ma non è una sorpresa. […] Le forze etiopi hanno sistematicamente fatto ricorso ad un uso eccessivo della forza nel tentativo di silenziare le voci del dissenso.

Il governo nega. Subito dopo lo scoppio delle proteste di inizio agosto, le autorità governative impongono il blocco di Internet per 24 ore. Ma Human Rights Watch riesce comunque a raccogliere più di un centinaio di testimonianze che raccontano la violenza della polizia e dell’esercito. Il governo di Addis Abeba ha sempre respinto le accuse bollandole come esagerazioni e puntando il dito contro le fazioni radicali e violente che si stanno facendo sempre più strada nel movimento di protesta. Un portavoce del governo ha anche mosso forti accuse verso

nemici stranieri, attivisti sui social network e gruppi terroristici con l’obiettivo di alimentare le proteste antigovernative per destabilizzare l’Etiopia.

Intanto, il governo etiope ha respinto la richiesta dell’ONU per consentire l’invio dei propri osservatori per monitorare la situazione. Il portavoce del governo, Getachew Reda, ha così commentato la decisione:

Non sono necessarie nuove presenze straniere in precise zone del Paese, dal momento che l’Onu ha un cospicuo numero di caschi blu in Etiopia. Sarà il governo stesso ad avviare una propria inchiesta per stabilire se la polizia abbia fatto ricorso a un uso eccessivo della forza.

Etiopia: Feyisa Lilesa e il massacro degli Oromo

Espropri e “villaggizzazione”. La politica degli espropri è tutt’altro che nuova per il governo etiope, che ricorre spesso all’esproprio per convertire di migliaia di ettari di terreno in piantagioni agricole. Un’altra minaccia sempre presente per le comunità locali è la cosiddetta “villaggizzazione”: le autorità attraverso le violenze delle forze di sicurezza cercano di forzare alcune comunità a trasferirsi da aree urbane (da destinare a investimenti privati) ai villaggi governativi, dove l’amarico è la lingua ufficiale.

Il ruolo dell’Italia: la diga italiana Salini – Impregilo. Non sfugge a questa logica di violenza e sopraffazione la diga Gibe III realizzata da un’impresa italiana nella Valle dell’Omo. Come ha denunciato l’Ong Survival International, quella che è la più grande diga d’Africa, costruita per produrre energia elettrica e portare acqua alle monoculture della canna da zucchero, è andata a scapito dell’autonomia alimentare di 500.000 persone, vittime di violenza e trasferimenti forzosi.

Il futuro di Lilesa. Il gesto di Lilesa è stato usato per mesi dai suoi concittadini per denunciare l’incarcerazione immotivata di centinaia di manifestanti. La medaglia d’argento conquista dal maratoneta a questi Giochi di Rio non sarà sufficiente a far dimenticare al governo etiope il suo gesto di denuncia in mondovisione. Subito dopo la gara, l’atleta ha ribadito quanto la situazione nel suo Paese stia degenerando:

Il governo etiope sta uccidendo il mio popolo. Io sostengo la loro protesta, perché gli Oromo sono la mia gente. I miei familiari sono in prigione, se osano parlare di diritti e democrazia vengono uccisi. Se torno, rischio anch’io di essere ucciso. O di finire in carcere.

Lilesa ha fatto domanda d’asilo negli Stati Uniti, consapevole di rischiare la vita se provasse a rientrare in patria. In Etiopia le tv di Stato non hanno mandato in onda alcuna replica dell’impresa sportiva di Lilesa e non sono stati ostentati festeggiamenti per il suo storico argento. Da eroe nazionale a nemico della patria in pochi secondi. Ma adesso il mondo sa un po’ di più quello che sta succedendo in Etiopia. E questa è la medaglia dal valore più grande per Lilesa e la sua gente.

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Fiorentino di nascita, Web Marketing Specialist per diletto e Nerd di professione. Si nutre di cultura pop e vive la sua vita perennemente in direzione ostinata e contraria. Per Le Nius supporta l'area editoriale, in ambito politica, e l'area social. matteo@lenius.it
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