Esiste una politica europea per il Mediterraneo?8 min read
Reading Time: 6 minutesQuando pensiamo all’Europa, ci viene in mente il nord. Forse sarà perché noi la guardiamo da sud. Fatto sta che, nell’immaginario collettivo, quando si dice “Europa” difficilmente si pensa a Roma, Atene o Madrid, ma più facilmente all’Europa centro-continentale. Tuttavia, l’Unione Europea si estende fino al Mediterraneo. Anzi, il Mediterraneo ne rappresenta insieme cuore e confine.
O per lo meno un confine oltre quale esiste qualcosa e qualcuno (senza dimenticare il confine Est, naturalmente). Difficilmente, infatti, si può dire lo stesso del circolo polare artico. Ma allora, se l’Europa è profondamente mediterranea nel suo DNA culturale e nella sua geografia, come si relaziona a ciò che accade sulle sponde non europee della culla della civiltà occidentale?
Come guarda a quell’insieme di culture e popoli la cui storia da sempre si intreccia con quella delle sponde europee de mare nostrum? Bruxelles è conscia del fatto che nessuna identità europea può esistere se questo concetto non abbraccia appieno l’identità cangiante e mescolata del Mediterraneo?
Le relazioni tra l’Unione Europea e la sponda meridionale e orientale del Mediterraneo hanno vissuto diverse stagioni: l’iniziale concentrarsi sui Balcani e l’Europa Orientale; lo spostamento d’attenzione verso sud con la Conferenza di Barcellona del 1995; la creazione di un’unica politica di vicinato nel 2007. Dal 2014, poi, è iniziato il primo periodo di programmazione dopo la Primavera Araba – o meglio sarebbe dire le Primavere Arabe – del 2011.
Si tratta dell’arco temporale nel quale l’Unione Europea, attraverso le sue politiche interne ed esterne, cercherà di raggiungere gli obiettivi di Europa 2020. Ha preso avvio, quindi, anche la nuova fase della Politica di vicinato, l’azione che l’Europa rivolge verso i suoi confini esterni, terrestri e marittimi, orientali e mediterranei. Una politica che, inevitabilmente, sarà segnata dai recenti accadimenti e che, come vedremo, presenta interessanti elementi di novità dopo che con il grande allargamento del 2004-2007, l’UE aveva spostato il suo baricentro verso oriente.
Anni ’90: Europa Orientale e Balcani
Un confronto con i territori circostanti, che oltrepassi la mera cooperazione allo sviluppo, si comincia a fare nei primi anni 90. I rapidi mutamenti politici verificatisi in Europa orientale e balcanica, impongono l’adozione di scelte e strategie che abbiano un respiro di lungo periodo. L’azione esterna dell’Unione Europea (Comunità Economica Europea fino al 1992), quindi, si concentra soprattutto verso oriente. Grandi cambiamenti coinvolgono i territori da Varsavia a Mosca e da Tallinn a Sofia.
L’URSS si scioglie, così come il Patto di Varsavia e scoppiano le guerre iugoslave. L’UE si trova quindi a confrontarsi con una duplice nuova prospettiva che, da un lato, pone l’unità europea come realizzabile non solo alla sua parte occidentale e, dall’altro, deve confrontarsi con la prima guerra interna dalla fine del secondo conflitto mondiale. La DDR cessa di esistere e viene incorporata alla Germania Occidentale e alla CEE, la Cecoslovacchia si divide e l’economia socialista viene soppiantata dal libero mercato. Mosca diventa la capitale di uno stato molto più distante da Parigi, Berlino e Bruxelles e molte ex repubbliche sovietiche si rivolgono ad occidente. Le repubbliche baltiche sottoscrivono gli Accordi di Associazione all’UE a metà degli anni novanta e, tra il 1999 (Cechia, Ungheria e Polonia) e il 2004 (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia) quasi tutti gli stati dell’ex blocco aderiscono alla NATO e alla UE.
Dal 1994 al 2007, in varie forme e mediante vari programmi finanziati dall’Europa, si assiste a un grande esborso di denaro e aiuti strutturali verso i Paesi dell’Est, per stabilizzarne le democrazie e le economie. Per i Balcani, invece, si misero in atto programmi di finanziamento di azioni per la cooperazione alla ricostruzione, il ritorno dei profughi e degli sfollati. Dal 2007, il programma al quale accedono Bosnia-Erzegovina, Croazia, Iugoslavia (poi Serbia e Montenegro), Albania e Macedonia ha cambiato nome e finalità ed è diventato IPA – Instrument for Pre-Accession, strumento che, attraverso le sue cinque componenti, condurrà i Balcani Occidentali verso l’Unione Europea.
Barcellona 1995: includere il Mediterraneo
A metà degli anni novanta, il versante meridionale è ancora visto come qualcosa di distante, sia perché geograficamente non è Europa sia perché i flussi migratori non sono ancora importanti. I profughi, immigrati e richiedenti asilo arrivano da est, non da sud. La situazione non è completamente tranquilla, né nel Maghreb né nel Mashreq, ma si tratta di problemi che non travalicano i confini nazionali e che non incidono in maniera sostanziale sull’economia europea. L’Unione Europea prende coscienza della necessità di ampliare il suo raggio d’azione anche verso sud con la Conferenza di Barcellona del 1995, con la quale si propone di includere tutto il Mediterraneo nel quadro delle relazioni privilegiate europee e promuovere l’integrazione economica e politica tra le due sponde. Il Partenariato Euromediterraneo costituitosi a Barcellona coinvolge tutti i membri dell’UE di allora e i seguenti paesi terzi mediterranei: Algeria, Cipro, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia e Autorità Palestinese.
Il fine di quest’iniziativa è la creazione di uno spazio comune di pace e stabilità, da realizzarsi attraverso azioni di cooperazione multilaterale sviluppate in tre dimensioni: il partenariato politico e di sicurezza, il partenariato economico e finanziario e il partenariato sociale, culturale e umano.
La seconda dimensione, che concentra quasi il 90% dei fondi messi a disposizione, è volta all’instaurazione di una Zona di Libero Scambio senza dazi doganali e altre barriere commerciali che ostacolino la libera circolazione delle merci e dei capitali. La terza dimensione invece, intende promuovere tutte quelle azioni che favoriscano il dialogo interculturale, la reciproca conoscenza e il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile. Al di là delle lodevoli intenzioni, poco è seguito alla Dichiarazione di Barcellona e, nel 2008, è stata costituita, su impulso francese, l’Unione per il Mediterraneo con l’obiettivo di rilanciare la strategia del 1995. Tuttavia, i risultati non sono stati pienamente soddisfacenti.
2002: la politica europea di vicinato
Il primo cambiamento arriva nel 2002, con l’istituzione del FEMIP – Fondo Euro Mediterraneo di Investimento e Partenariato, strumento finanziario gestito dalla BEI – Banca Europea per gli Investimenti – sostiene i cosiddetti PPM (Paesi Partner del Mediterraneo) a centrare gli obiettivi della modernizzazione economica e sociale e dell’integrazione regionale. Esso unifica tutti gli strumenti utilizzati dalla BEI in precedenza per operare nel Mediterraneo. In particolar modo, finanzia soprattutto i progetti relativi ai primi tre macro obiettivi summenzionati (ad oggi ha contribuito con più di 11 miliardi).
Dal punto di vista politico, con questo passo si dà il via alla creazione della Politica Europea di Vicinato (PEV), del 2004. Con l’introduzione della PEV dal 2004, la politica mediterranea dell’UE si è dunque sdoppiata: da un parte la PEV, che riguarda fondamentalmente il secondo pilastro di Barcellona e che si attua attraverso programmi nazionali o transfrontalieri, dall’altra il PEM (Partenariato euromediterraneo), che si concentra sul I pilastro. L’Unione Europea, così facendo, definisce i suoi confini. Chi sta dentro e chi sta (e starà) fuori. La PEV infatti riguarda i paesi che l’Europa considera il suo confine e che rimarranno, anche nel medio-lungo periodo, frontiera esterna. Nel 2007, poi, con l’apertura di un nuovo settennato europeo di programmazione, non si parla più di diversi programmi di cooperazione esterna (CARDS per i Balcani, TACIS per la Russia e le ex Repubbliche sovietiche, PHARE per i paesi in preadesione e MEDA per la costa meridionale e orientale del Mediterraneo) ma di paesi ENPI, dall’acronimo inglese del nuovo strumento finanziario European Neighbourhood Policy Instrument, i paesi ai quali si rivolge la Politica Europea di Vicinato. Questi paesi diventano quindi una sorta di cintura territoriale che è disciplinata da un unico regolamento comunitario.
Esiste una politica europea per il Mediterraneo? I giorni nostri
Con il programma 2014-2020, anche a seguito delle Primavere Arabe, sono state apportate rilevanti modifiche alla programmazione precedente: l’aspetto più importante è dato dall’introduzione del principio more for more. Ciò significa che il sostegno europeo sarà condizionato agli effettivi progressi compiuti dai paesi vicini nell’istituire e consolidare la democrazia nonché nel rispetto dello Stato di Diritto. Fortunatamente, non si definisce un modello democratico di riferimento ma si richiamano alcuni indicatori di contesto: elezioni libere ed eque; libertà di associazione, di espressione, di riunione e di stampa; indipendenza della magistratura e diritto al giusto processo; lotta alla corruzione e riforma del settore della sicurezza e democratizzazione delle forze armate e di polizia.
Dal punto di vista economico, il fine ultimo è la creazione di una zona di libero scambio, nella quale sia armonizzata la normativa in materia di concorrenza e appalti pubblici, siano rispettate le medesime norme sanitarie, fitosanitarie e dove siano abbattute le barriere commerciali. A ciò si aggiunge il supporto della BERS, la Banca Europea per la Ricostruzione e Sviluppo, che espanderà il suo raggio d’azione al Mediterraneo.
Dalla Dichiarazione di Barcellona ad oggi molte cose sono cambiate: due paesi terzi firmatari degli accordi sono divenuti membri dell’UE (Cipro e Malta), la Turchia ha ottenuto lo status di candidato (oggi in stallo) e molti stati hanno vissuto delle trasformazioni che non accadevano dalla fine del colonialismo. La politica europea di vicinato rappresenta uno strumento che, se ben utilizzato, può attrarre questi territori al polo europeo, garantendo al contempo all’Unione una fascia di protezione da possibili minacce. Tuttavia, per altri versi, potrebbe non essere più adeguato. Ciò che più conta, infatti, al di là di programmi e strumenti finanziari, è una presa di coscienza forte a livello politico: l’Europa e il Mediterraneo sono una cosa sola, con destini legati da sempre e maniera indissolubile. Erigere una fortezza blindata a sud pur investendo qualche risorsa in forma di aiuti, significa correre incontro a un destino di grandi difficoltà. Le tragedie dei migranti ne sono testimonianza lampante.