Come si gestisce un’epidemia di ebola? Intervista a Medici Senza Frontiere10 min read
Reading Time: 8 minutesIl 14 gennaio 2016 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato la fine della più recente epidemia da virus ebola in Liberia. Il giorno dopo un nuovo caso è stato segnalato in Sierra Leone. Un susseguirsi di notizie contrastanti, non accompagnate da adeguati approfondimenti. Dopo l’allarme del 2014, l’epidemia di ebola è infatti uscita dal cono di attenzione dei principali media.
L’epidemia di ebola ha provocato, secondo i dati OMS aggiornati a febbraio 2016, 28.639 casi di malattia da virus ebola e 11.316 vittime. Ma cos’è l’ebola e come ha avuto origine la recente epidemia?
Il virus è stato scoperto nel 1976, quando sono scoppiate due epidemie, a Nzara, nel Sud Sudan, e a Yambuku, nella Repubblica Democratica del Congo. Il nome ha origine dal villaggio vicino al fiume Ebola in cui era stato registrato l’ultimo caso. Esistono cinque ceppi di ebola: Bundibugyo, Sudan, Reston, Taï Forest e Zaire, responsabile quest’ultimo dell’ultima epidemia.
Il virus è introdotto nell’uomo attraverso il contatto con secrezioni, sangue, organi e altri fluidi corporei di scimpanzé, gorilla, pipistrelli della frutta, scimmie e altri animali malati, morti o che si trovano nella foresta pluviale.
Mentre le prime epidemie di ebola avevano interessato villaggi remoti dell’Africa Centrale, vicino alle foreste pluviali tropicali, la più recente epidemia si è diffusa sia nelle aree rurali che in quelle urbane dell’Africa occidentale, in particolar modo Sierra Leone, Guinea e Liberia, oltre che Mali, Senegal e Nigeria.
Grazie alla sua ventennale esperienza nella gestione di epidemie di ebola, l’organizzazione Medici Senza Frontiere (MSF) ha sviluppato una strategia di risposta al virus con due obiettivi fondamentali: ridurre la diffusione dell’epidemia e ridurre la mortalità e la sofferenza delle persone infettate dal virus.
Per capire il lavoro sul campo di MSF e avere un quadro della situazione attuale, il dottor Roberto Scaini, medico di MSF che ha lavorato in diversi progetti ebola, ha accettato di rispondere alle nostre domande.
Epidemia di ebola: intervista a Medici Senza Frontiere
Il 7 novembre 2015 l’OMS ha dichiarato la fine della trasmissione umana della malattia in Sierra Leone e nel gennaio scorso in Liberia, ma nello stesso mese è stato registrato un nuovo caso in Sierra Leone. Qual è la situazione attuale in Liberia, Guinea e Sierra Leone, i paesi più colpiti dall’epidemia?
L’ultimo caso di trasmissione interumana di ebola confermata in Sierra Leone risale al 24 gennaio 2016. La Guinea è stata dichiarata libera dalla trasmissione di Ebola il 29 dicembre 2015 ed attualmente è entrata nel periodo di 90 giorni di sorveglianza intensiva che terminerà il 27 marzo 2016. In Liberia, il periodo di sorveglianza intensiva è terminato il 14 gennaio 2016.
Qual è stato il contributo di Medici Senza Frontiere?
Medici Senza Frontiere ha lavorato in prima linea contro l’epidemia di ebola nei tre paesi maggiormente colpiti – Guinea, Sierra Leone e Liberia – e ha risposto ai casi emersi in Nigeria, Senegal e Mali, così come a un’epidemia separata scoppiata in Repubblica Democratica del Congo nel 2014.
Nel momento di picco dell’epidemia, MSF ha impiegato quasi quattromila persone di staff nazionale e oltre 325 operatori internazionali – 63 gli italiani, partiti per un totale di cento missioni – per combattere l’epidemia nei tre paesi. Ha ricoverato un totale di 10.376 pazienti nei suoi centri di trattamento, di cui 5.226 si sono rivelati casi di ebola. Oggi MSF continua a fornire cure ai sopravvissuti di ebola e alla popolazione locale attraverso lo sviluppo di nuove attività.
Due cliniche per l’ebola in Sierra Leone e una in Liberia offrono servizi sanitari e psicologici ai sopravvissuti, e un ospedale è stato aperto anche in Guinea. I già deboli sistemi sanitari dei paesi sono stati gravemente danneggiati dall’epidemia, per questo MSF ha deciso di investire nel loro recupero.
Nuovi progetti di salute materno e infantile sono in procinto di partire in diverse località della Sierra Leone (Kabala, Magburaka, Kenema) e un nuovo ospedale pediatrico è già stato aperto a Monrovia (Liberia). MSF continua a gestire un progetto per l’Hiv/Aids a Conakry, in Guinea, in collaborazione con le autorità locali.
Con un’epidemia così imprevedibile, è cruciale che nell’area siano mantenute vigilanza e capacità di rispondere a nuovi casi attraverso un sistema efficace di sorveglianza e risposta rapida.
Medici Senza Frontiere ha alle spalle oltre 20 anni di esperienza di epidemie di ebola. Come è cambiata la percezione della malattia nel corso degli anni da parte della popolazione dei paesi dell’Africa occidentale in cui MSF opera?
Questa epidemia, singolare rispetto a quelle precedenti per durata ed estensione, ha causato più di diecimila decessi e ha decimato gli operatori sanitari di tutti i paesi colpiti. Paesi peraltro già affetti da carenze nel proprio sistema sanitario.
Coprifuoco, chiusura delle scuole, restrizioni delle pratiche di gestione delle salme, timore di essere contagiati nelle normali attività quotidiane (scuola, mercato, centri di salute, ambulatori di medicina generale) hanno sicuramente lasciato un segno su migliaia di persone con enormi ripercussioni sul tessuto sociale.
Al tempo stesso (seppur tristemente) la popolazione ha preso maggiore consapevolezza nei confronti di una malattia che all’inizio rifiutava, e questo è stato una delle migliori armi per il contenimento della malattia stessa e probabilmente sarà un vantaggio per le prossime epidemie.
Quali sono state le difficoltà maggiori che gli operatori di MSF hanno incontrato nel corso dell’ultima epidemia?
Medici Senza Frontiere è intervenuta direttamente sin dall’inizio dell’epidemia, mettendo a disposizione le proprie risorse: operatori, esperienza e professionalità. Non solo la mancanza di consapevolezza della malattia e il suo rifiuto da parte della popolazione, ma anche il grave ritardo nella risposta di almeno sei mesi, da parte degli organismi internazionali preposti alla gestione di questo tipo di epidemie, ha avuto ripercussioni sull’operato di MSF e altre organizzazioni coinvolte.
La strategia di risposta all’ebola di Medici Senza Frontiere comprende attività di sensibilizzazione. Quali sono state le attività più efficaci? La popolazione ha risposto in maniera diversa a seconda dei paesi?
L’azione di MSF ha toccato diversi ambiti: trattamento dei pazienti nei centri specifici per Ebola, sanificazione, sensibilizzazione della comunità.
Alla diagnosi di un paziente segue un’indagine epidemiologica sui possibili contatti stretti che il paziente ha avuto per capire con chi è entrato in contatto al fine di fare una diagnosi tempestiva in caso di sintomi, spesso sovrapponibili ad altre patologie, come la malaria, molto diffuse in questi paesi.
Nelle comunità è stata fatta molta attività di sensibilizzazione per introdurre pratiche di buona gestione delle salme, ma spesso il retroterra culturale ha prevalso sulla paura del contagio.
Centinaia sono state le persone guarite dalla malattia preparate e accompagnate da operatori MSF nella delicata fase del rientro a casa. Persone isolate per giorni, circondate da sensazioni di morte imminente, avvicinate solo da personale vestito con speciali dotazioni che finalmente possono abbracciare e tornare a essere parte integrante della propria comunità. Il rientro non è sempre stato facile e MSF ha ampiamente lavorato in questo senso per ridurre lo stigma.
Medici Senza Frontiere ha collaborato e collabora tuttora con i governi dei paesi interessati dall’epidemia. Quali strategie adottate nel corso degli anni hanno dato i risultati più efficaci?
Le autorità sanitarie in Guinea, Liberia e Sierra Leone adesso hanno le conoscenze tecniche per individuare un focolaio di ebola e ora, sul campo, ci sono strutture sanitarie che non esistevano prima dell’epidemia. Gli operatori sanitari, le organizzazioni non governative e le istituzioni nazionali ed internazionali hanno ricevuto una formazione su ebola da MSF, l’OMS e il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) tra gli altri. Ora che le conoscenze sono state condivise devono essere implementate nelle fasi iniziali di qualunque futura epidemia.
Mentre il dibattito sulla riforma del sistema sanitario globale si è giustamente focalizzato sul miglioramento del monitoraggio e della risposta alle emergenze, a livello nazionale la promozione della privatizzazione del sistema pubblico sanitario nazionale è preoccupante. Forti sistemi di sanità pubblica sono il fondamento su cui costruire una forte risposta alle emergenze e gli sforzi devono essere focalizzati al loro supporto.
L’uso di politiche punitive e coercitive come la quarantena imposta militarmente e i movimenti di restrizione devono essere valutati con attenzione, poiché abbiamo visto il trattamento inumano delle persone e le conseguenze negative che derivano da questo. Deve essere evitata la criminalizzazione dei pazienti, delle famiglie e delle comunità.
È molto importante che i paesi che sono stati a contatto ed hanno lottato contro l’epidemia siano ricompensati anziché puniti. La paura delle conseguenze economiche e politiche ha influenzato la risposta iniziale alla crisi.
Gli stati devono riconoscere che l’ebola è un tragico esempio del bisogno di trovare soluzioni globali per affrontare le malattie dimenticate e trascurate. La ricerca, lo sviluppo ed il finanziamento di nuove terapie devono essere basati sui bisogni delle persone, non sul ritorno sugli investimenti o sul profitto. Scoperte e nuove terapie devono essere considerate una proprietà pubblica globale misurate sulla necessità dei pazienti, degli operatori sanitari e degli stati. Questo deve essere fatto in combinazione con rinnovati sforzi per costruire sistemi sanitari pubblici forti ed efficaci.
Diverse organizzazioni internazionali, ONG, associazioni, governi hanno fornito il loro contributo per arrestare l’epidemia. La presenza di diversi soggetti ha rappresentato un ostacolo per un’efficiente strategia di risposta?
Non penso sia giusto parlare di un vero e proprio ostacolo, le dimensioni dell’epidemia erano tali che l’intervento di più attori era necessario. Tuttavia ebola ha messo a nudo molte debolezze delle organizzazioni intervenute e se vogliamo parlare di difficoltà allora la mancanza di coordinamento è stato senza dubbio la principale.
Quali sono le maggiori necessità dal punto di vista sanitario a cui i paesi interessati dall’epidemia devono rispondere per evitare o limitare la diffusione di una nuova epidemia?
I paesi coinvolti nell’epidemia avevano già sistemi sanitari in crisi: carenze strutturali, organizzative e di risorse umane, unitamente al ritardo della risposta della comunità internazionale all’emergenza, hanno determinato il collasso della risposta ai bisogni di salute della popolazione, che non era solo ammalata di ebola, ma che continuava a morire di patologie curabili come malaria, infezioni delle vie respiratorie, morbillo.
Attualmente sono in corso programmi di sorveglianza e risposta precoce per ridurre il rischio che si ripeta quanto è accaduto. Parimenti l’OMS sta supportando i governi per incrementare anche l’equipaggiamento delle strutture sanitarie, come ad esempio la rete di laboratori.
Quali sono le conseguenze sulle persone colpite dal virus ma che sono riuscite a sopravvivere? Che tipo di assistenza ricevono le persone guarite?
Per la prima volta è stata seguita una coorte di pazienti sopravvissuti a ebola. Nelle settimane successive alla dimissione dai centri di trattamento ebola, Medici Senza Frontiere ha continuato a seguire nei propri ambulatori i pazienti guariti per problematiche post-infettive e di salute mentale.
In Africa Occidentale sono stati stimati più di quindicimila sopravvissuti ad ebola. Dal punto di vista organico le principali patologie post-infettive includono dolori osteo-articolari, stanchezza cronica, patologie oculari che se non trattate precocemente possono condurre a cecità e ipoacusie. Numerosi i casi di depressione, persistenza di incubi e flashback, disordine post traumatico da stress.
Le persone guarite da ebola, in alcune comunità, nonostante tutte le campagne di sensibilizzazione, possono avere difficoltà nell’accesso ai servizi per la loro salute. Molti di loro si ritrovano senza lavoro e senza denaro per pagarsi i trattamenti. Pertanto è fondamentale che le autorità preposte garantiscano a queste persone l’accesso gratuito a servizi di qualità. MSF ha investito nell’apertura di cliniche per i sopravvissuti in Liberia, Sierra Leone e Guinea, fornendo un pacchetto di cure complessive che include assistenza sanitaria e psicosociale e protezione contro lo stigma.
Lei come si è preparato alla partenza e quali sono state le sensazioni e le impressioni sul campo?
Prima della partenza ogni operatore seguiva un training specifico organizzato dai centri di addestramento delle centrali operative. Difficile sintetizzare i sentimenti che abbiamo provato sul campo, senza dubbio diversi a seconda della fase in cui si è intervenuti. Anche per noi all’inizio ebola era qualcosa di misterioso, soprattutto con dimensioni come quelle dell’epidemia in Africa Occidentale.
La consapevolezza della malattia, dei sistemi di protezione individuale, della sua gestione clinica e logistica sono aumentati nel tempo, ma l’immagine che abbiamo davanti agli occhi nelle settimane del picco epidemico può essere paragonata a quella di uno tsunami: paura e impotenza.