Elezioni Europee 2014: inizia il carnevale euroscettico?7 min read

7 Febbraio 2014 Europa -

Elezioni Europee 2014: inizia il carnevale euroscettico?7 min read

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elezioni europee 2014Si vota per il rinnovo del Parlamento europeo e le acque cominciano ad agitarsi. In Italia la campagna elettorale non cessa mai perché le elezioni sono sempre alle porte, per definizione. Ora è il momento delle elezioni europee 2014. Inizia già a salire la tensione, complici 5 anni di crisi vissuti pericolosamente.

Tutto ciò amplifica il populismo e – nella sua versione più di moda – l’euroscetticismo. Questa tendenza è presente in molti Paesi, ma varia da un caso all’altro. Ci sono casi di folklore clownesco e altri di più storica militanza nazionalista (non per questo meno clownesca).

Elezioni europee 2014: gli Euroscettici

Il partito UKIP inglese non ha nulla a che spartire con la destra di Marine Le Pen in Francia, così come la Lega Nord e i 5 Stelle non condividono niente con Alternative fur Deutschland (peraltro uscito ridimensionato alle ultime elezioni tedesche).

Ciò che accomuna tutti, è una sostanziosa dose di ignoranza servita alle masse, per spaventarle e ottenere ciò che conta: seggi in Europarlamento, superando la soglia di sbarramento del 4%, al di sotto della quale a maggio si resta a casa a cercarsi un mestiere.

Un fulgido esempio nostrano si è avuto in settimana, quando Giorgio Napolitano ha effettuato un intervento lucido e appassionato al Parlamento Europeo, evidenziando come l’Europa necessiti di accostare al rigore dei conti pubblici i criteri della crescita e dell’occupazione, pena il disfacimento del sogno europeo stesso.

Non è mancata infatti qualche contestazione da parte di chi cerca disperatamente visibilità. Protesta senza alcun contenuto e persino incapace di capire che chi parlava stava proprio invocando un cambio di rotta concreto e importante. Il fatto è che il cambio di rotta, l’unico in grado di rispondere ai bisogni dei popoli europei non è un “no all’Euro”, bensì più Europa e meno egoismi nazionali.

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“Ce lo chiede l’Europa”

C’è disperato bisogno di un’Europa politica. Ecco perché i reucci di piccoli e piccolissimi feudi sbraitano. Sanno benissimo che questa è l’unica soluzione. E sanno quindi che rischiano di perdere i loro inutili potentati locali, loro unica ragione di esistere. Non c’è null’altro.

Quando fa comodo, si dice che lo vuole l’Europa. Nessuno però dice che l’Europa vuole pagamenti più rapidi della Pubblica Amministrazione alle impresi creditrici e una legge corruzione più incisiva, tanto da aprire addirittura due procedure di infrazione contro l’Italia che non si adegua.

Nessuno dice che l’Europa richiede una giustizia efficiente e processi giusti anche nella durata. Nessuno dice che l’Europa adotta norme che impongano il carcere a chi commette reati finanziari, che in un anno ha approntato un sistema (Unione Bancaria) per cui se le banche avranno perdite e buchi di bilancio saranno le banche stesse a rimetterci e non i cittadini.

Si dice lo vuole l’Europa quando la politica nazionale deve giustificare la propria inettitudine, allora serve un mostro esterno da additare come cattivo. L’euroscetticismo gioca a scaricare sull’Europa la colpa di tutti i mali. Sono i Governi degli Stati membri – soprattutto di alcuni – a fare di Bruxelles l’alibi di decisioni impopolari e il capro espiatorio dei sacrifici imposti da decenni di cattive politiche proprie, non dall’Europa.

La corrida anti-euro, per esempio, somiglia sempre più a una parata di carri di carnevale, guidata da ubriachi. Sicuramente divertente e coloratissima. Ma un insieme di bugie di questa portata deve trovare un limite, perché la gente alle frottole dei politici ci crede, è un dato di fatto, ma poi succedono i disastri. Soprattutto per l’Italia, non è neanche lontanamente immaginabile uscire dall’Euro.

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E se uscissimo dall’Euro?

Esistono motivi chiarissimi, primo fa tutti quello che il mondo oggi non è più quello dell’Italia della Lira. Uscire dall’Euro per svalutare la propria moneta al fine di guadagnare con le esportazioni – trucchetto di 30 anni di politica italiana che invece di risolvere i problemi strutturali utilizzava la politica monetaria come un Paese del terzo mondo – non funzionerebbe più.

Causerebbe un’impennata dello spread, lo Stato non riuscirebbe più a finanziare la spesa pubblica – cioè a pagare pensioni e stipendi – andando in immediato default. Le imprese non riuscirebbero più a funzionare, perché a differenza di una volta – in cui la produzione avveniva quasi interamente in loco – non potrebbero pagare i prodotti semilavorati che arrivano da fuori e sono la base dell’industria, che poi li rifinisce e immette sul mercato.

Le imprese chiuderebbero a catena. Altro che crisi di questi giorni. Inoltre, per sbertucciare i teorici della svalutazione monetaria pro export, basterebbe un dato: l’unico settore in crescita, attualmente, con l’Euro, è proprio l’export. Ma ancor prima dello studio dei motivi per cui sarebbe suicida uscire dall’Euro, è necessario che sia chiaro un punto: i problemi italiani derivano da 30 anni in cui il Paese non è cresciuto, è affondato nella corruzione, si è incancrenito, con una politica che ha accumulato sulle spalle delle attuali generazioni un debito insopportabile e un sistema impossibile che non genera lavoro, benessere, giustizia sociale.

L’unica cosa che ha tenuto a galla un Paese del genere è proprio l’Euro. Altro che dargli la colpa, bisogna baciarsi i gomiti. E per fortuna che c’è l’Europa a chiedere quelle riforme che non sono state fatte per 30 anni. Magari ce lo avessero chiesto prima! L’Italia non soffre per la crisi arrivata da Lehman Brothers. Quella è finita. Da un pezzo e quasi ovunque. L’Italia soffre di ciò che quella crisi ha messo a nudo, cioè che il famoso sistema Paese quasi non esiste e lo Stato è un colabrodo. Cosa c’entri l’Europa in tutto questo, è un avvincente mistero.

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Parlando dell’Italia, si sente levarsi da più parti la richiesta che il parametro del rapporto del 3% fra deficit e Pil, imposto dagli impegni europei, andrebbe rivisto per consentire più spazio di manovra economica. Se la cura del rigore imposta a Irlanda, Grecia, Portogallo e Spagna in cambio degli aiuti UE non cominciasse a dare i suoi frutti, questo forse potrebbe essere un argomento.

Il fatto è, però, che la cura sta dando i suoi frutti e che i Paesi che hanno fatto i compiti a casa su loro endemiche mancanze stanno un po’ meglio. L’Italia è dunque sola. Qualche oscillazione rispetto al limite del 3% è comprensibile – peraltro già prevista dai Trattati – così come è plausibile considerare di modificare la regola stessa, pensata in un tempo diverso in cui l’Europa cresceva a un tasso del 5%, mentre ora la media si attesta all’1%. Lo chiede perfino la Germania. Ma per modificare la regola serve cambiare i Trattati e per questo ci vuole l’unanimità.

Rimane quindi un punto fermo: ogni regola comune si può modificare, ma al tavolo dei negoziati bisogna presentarsi dopo aver fatto tutto il necessario a casa propria. Perché la soluzione ai problemi sta nella soluzione ai problemi, non nel cambiare le regole che tutti gli altri nell’intanto rispettano, perché a te vanno strette ma tu sei un po’ speciale. Quelle stesse regole l’Italia le ha negoziate con i propri partner e ratificate nel nostro Parlamento.

Non si può attuare lo schema per cui, non riuscendo a stare al passo perché ciò richiede serietà politica, allora con mossa mariuola si cambiano le regole. Va impedito, o ci sarà impedito. Perché non ci sarà concesso di danneggiare la casa comune: ciò che non faremo di nostra volontà ci sarà imposto a condizioni pesanti. E ce la saremo cercata, come abbiamo fatto fino ad oggi.

Certo, non è il solo rigore l’unica medicina. È sacrosanto che siano accesi i motori che ridanno fiato al lavoro e alle imprese. Ma ciò va fatto dapprima a casa propria. Un Paese vecchio e inefficiente, incapace di rinnovarsi e ancorato in paludi di corruzione e corporativismo non può pensare di mettersi in marcia come quelli ringiovaniti da riforme strutturali che forse li salveranno. Sarebbe assai triste un giorno riflettere che, in fondo, anche a noi l’Europa chiedeva di salvarci. Ma noi mica eravamo fessi.

Immagine|eunews.it

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Milano, Dublino, Londra e Bruxelles. Specializzato in diritto bancario, dei mercati finanziari e dell'Unione europea, collaboro con le facoltà di Economia e Diritto di alcune università europee.
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