La violenza lenta delle ecomafie inquina il dialogo tra esseri umani e ambiente7 min read

10 Maggio 2023 Ambiente Economia -

La violenza lenta delle ecomafie inquina il dialogo tra esseri umani e ambiente7 min read

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“La monnezza è oro”

disse ai magistrati nel 1992 il boss Nunzio Perrella, diventato collaboratore di giustizia: si inizia così a far luce sul complesso e articolato sistema del traffico illegale dei rifiuti. Terra dei fuochi, è chiamata così l’area che si estende a nord di Napoli e a sud di Caserta. Un nome iconico, dovuto alle decine di roghi di rifiuti abbandonati, appiccati nelle campagne, che ogni giorno disperdono diossina e altri inquinanti nell’aria. Qui si concentra il disastro ambientale: oltre 20 anni di sversamenti di rifiuti tossici e scarti di lavorazione industriale, provenienti per lo più dalle grandi industrie del nord.

Dal 1991 al 2013 Legambiente ha censito ben 82 inchieste per traffico di rifiuti, incanalati da ogni parte d’Italia. Lungo le rotte dei traffici illeciti ha viaggiato di tutto: scorie derivanti dalla metallurgia, morchia di verniciatura, liquidi contaminati da metalli pesanti, polveri di abbattimento, fumi, terre inquinate provenienti da attività di bonifica, amianto. Circa 10 milioni di tonnellate di rifiuti, pari a 410.905 camion hanno attraversato la penisola, terminando il loro tragitto di notte, liberandosi del carico nelle campagne abbandonate del napoletano, nelle discariche abusive del casertano, nelle cave dismesse. Rifiuti utilizzati anche in edilizia, per costruire piazzali o riempire i piloni dei viadotti.

ecomafie
@Unsplash – Alexander Schimmeck

Paesaggi inquieti e angoscia territoriale

Un paesaggio non dovrebbe raccontare chi lo abita? Non rappresenta l’orizzonte materiale in cui riconosciamo la nostra casa? Un legame implicito, perché siamo permeabili ai suoi effetti, ai suoi scambi metabolici, alla sua violenza, ai suoi racconti. Tutto va a costruire la memoria e la visione di chi abita quel luogo.

Eppure lì, dove i cambiamenti come i disastri naturali, la feroce urbanizzazione o il cieco abusivismo sfigurano il paesaggio e lo trasformano profondamente, spesso si crea una frattura identitaria. Franco Arminio descrive

“la fine di un luogo come la materializzazione del rischio di non esserci in nessun modo culturale possibile”.

Il paesaggio che allo stesso tempo era uno spazio fisico e una narrativa in continuità con il passato, diventa altro e le popolazioni dei ‘nuovi paesi’ si ritrovano orfane, sfollate dai propri luoghi. La scissione tra ieri e oggi sradica l’essere umano dal mondo in cui era abituato a percepire se stesso e, in questo stato di “angoscia territoriale”, come direbbe Ernesto de Martino, trova spazio un vuoto perfetto, terreno fertile per la ‘violenza lenta’ delle ecomafie.

Il caso del post-terremoto in Irpinia

Il 23 Novembre del 1980, una scossa violentissima, dalla durata infinita di un minuto e mezzo, rase al suolo gran parte dell’entroterra della provincia di Avellino, provocando enormi danni in tutta la Campania e la vicina Basilicata. Il terremoto dell’Irpinia devastò intere aree di terre di realtà contadine, paesaggi fatti di case in pietra, luoghi che per la prima volta vengono individuati sulla mappa dal resto dell’Italia. Per coprire le necessità dei sopravvissuti e, soprattutto, per far fronte alla ricostruzione, le istituzioni competenti e il governo italiano stanziarono immediatamente una enorme quantità di fondi.

All’orizzonte si presenta un’occasione per un rilancio sociale ed economico e anche la Camorra vede in questa tragedia un’opportunità. La gestione dei finanziamenti pubblici, condizionata dalla legislazione d’urgenza (decreto-legge n.776/80 legge n.874/1980), concede ampie deroghe ai procedimenti di spesa, deleghe di poteri pubblici a soggetti privati e il crollo del sistema dei controlli.

In questa fragile gestione di un territorio indebolito trovano spazio le capacità di mimetizzazione e la vocazione economica della camorra. Si insinua nell’affare fin dall’inizio, quando ancora si recuperano i corpi sotto le macerie, modellando un nuovo flusso economico capace di ingrossare costantemente i bilanci mafiosi. Un affare più sicuro e redditizio del traffico di stupefacenti.

Dark economy, 3,5 reati di ecomafie ogni ora 

La nuova ‘dark economy’ incide in maniera irreversibile sulla ricostruzione materiale, morale e civile di intere comunità. Il paesaggio cambia, la memoria del passato svanisce e improvvisamente quel luogo parla un’altra lingua. I vecchi codici perdono di significato ed ecco l’angoscia territoriale: il vuoto in cui le organizzazioni criminali riescono a tessere una duratura trama di complicità e alleanze con l’imprenditoria e con chi ha potere decisionale. Qualcuno prova a combattere coraggiosamente il ‘sistema’ che sta nascendo: il 16 dicembre del 1980 Marcello Torre, sindaco di Pagani, cittadina in provincia di Salerno, viene ammazzato perché non vuole stringere un sodalizio criminale nell’affidamento degli appalti. Ma non basta. Il meccanismo innescato è in circolo e si estende a macchia d’olio. Dal ‘laboratorio del terremoto’ nasce un monopolio perfetto, un sistema economico criminale, parte dall’edilizia e specula su tutto quello che c’è intorno. Una camorra imprenditrice, che non si accontenta più di una fetta dell’affare, ma lo vuole gestire.

Siamo agli inizi degli anni novanta e il neologismo “ecomafia” viene coniato per la prima volta da Legambiente. L’associazione ambientalista inizia quasi per caso un’indagine sul traffico illegale dei rifiuti, che porta alla luce le reti ‘ecocriminali’ attive nel settore. Il dossier dell’inchiesta, presentato in conferenza stampa del giugno 1994, è chiamato “Rifiuti s.p.a.”: tanti i nomi di imprenditori, politici, aderenti a logge massoniche, camorristi, tutti coordinati come in un grande società. Una vera e propria holding che gestisce il traffico dei rifiuti in tutta Italia, un triangolo perfetto di criminalità ambientale, economica e organizzata. Il primo passo di un impresa mondiale, che dalle province di Napoli e Caserta raggiunge tutto il sud e il nord Italia e negli anni arriva oltre i confini nazionali. Secondo il rapporto di Legambiente, nel 2021 gli illeciti non sono scesi sotto i 30mila (accertati 30.590), registrando una media di quasi 84 reati al giorno, circa 3,5 ogni ora. Questi i dati raccolti sul territorio Nazionale, ma le ecomafie arrivano molto lontano, gestendo rotte di rifiuti fino in Turchia, Cina, India e Pakistan. La violenza di un inquinamento che porta a malattie e morti dovute ad anni di esposizione a sostanze nocive. Una minaccia invisibile come le vittime, considerate un effetto collaterale, perché non colpite direttamente. A chi attribuire, ad esempio, la colpa di un’ondata continua di leucemie che si verifica negli anni?

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@Unsplash

Raccontare è resistere

Le prime leggi per i reati ambientali risalgono al 2002 e solo nel 2015 la legge N. 68 del 22 maggio ha aggravato le sanzioni amministrative con sanzioni penali.

Quando ambiente e territorio vengono visti come una risorsa passiva si ha una visione distorta, falsificata o decontestualizzata di un luogo. Il ‘fuori’ non è separato da ciò che è ‘dentro di noi’: chi muove il sistema delle ecomafie dissemina rifiuti tossici nel proprio stesso ambiente. Queste persone agiscono come se l’aria che respirano e l’acqua che bevono non fossero le stesse di tutti.

Ma questo non è un fenomeno palesemente criminale: lo ritroviamo anche quando le politiche industriali sono insensibili al fragile equilibrio degli ecosistemi e delle comunità che vivono quelle terre. Una fabbrica può portare con se un danno ecologico enorme: ricordiamo il caso del fiume Bormida, che scorre tra Piemonte e Liguria, inquinato dall’industria di Cengio, dal 1882 per più di cento anni. Milioni di metri cubi di veleni sono filtrati nel terreno e sostanze in parte semivolatili si sono disperse nell’aria. Le proteste della popolazione locale, iniziate alla fine degli anni ’30, si sono concluse in grandi sconfitte. Il polo industriale ha fermato definitivamente la produzione solo nel 2002.

Le forme di giustizia disattese sono tante: sociali, ecologiche, umane. Quella che manca di più è il diritto alla verità, il diritto di sapere e di scegliere il proprio futuro.

Legambiente e migliaia di associazioni e collettivi nati su tutto il territorio Nazionale, cercano di combattere il fenomeno. Una diversa consapevolezza ha svegliato le nuove generazioni che riscoprono il legame con la terra. Un legame interconnesso a livello cellulare, secondo la biosemiologa inglese Wendy Wheeler:

“ambiente e corpo tessono insieme una forma di ‘conversazione’, un racconto che prende forma nel tempo, in cui il corpo umano elabora e conserva, tramite il sistema immunitario, nervoso ed endocrino la memoria del luogo. Se quel luogo è inquinato, lo siamo anche noi. La nostra carne diventa plastica.”

Raccontare un luogo significa difendere le sue fragilità, preservare le sue bellezze. Perché raccontare è resistere, e tutti noi siamo parte della stessa storia.

FONTI:

  • Violenza lenta, strisciante e invisibile, R. Nixon
  • Paesaggio Civile, storie di ambiente, cultura e resistenza, S.Iovino
  • Terracarne, F. Arminio
  • Il mondo magico, E. De Martino
  • The Whole Creature, Wendy Wheeler
  • Carlo Lucarelli, Blu notte, ecomafia, ladri di futuro
  • Terre di Frontiere
  • Legambiente

 

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Fotoreporter e storyteller, traveller per necessità. Quella sottile e vitale necessità di sentirsi altrove. Segue la strada del racconto, la curiosità la porta a relazionarsi con il mondo e le sue diverse culture. Nei suoi viaggi raccoglie grandi e piccole storie, provando a dar loro una voce. Lavora da freelance, si occupa di sociale, dedicandosi alla fotografia documentaristica e alla scrittura, in ogni sua forma.
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