Ecologia della lettura: storie e geografie di luoghi e di libri12 min read

12 Dicembre 2014 Cultura Società -

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Antropologa e insegnante

Ecologia della lettura: storie e geografie di luoghi e di libri12 min read

Reading Time: 9 minutes

Mi sono sempre immaginato il paradiso come una specie di biblioteca.

Jorge Luis Borges

ecologia della lettura
@Loughborough University

Nel primo dei molti incipit del suo libro Se una notte d’inverno un viaggiatore, Italo Calvino segue il proprio ipotetico lettore nelle peregrinazioni che questi compie dal momento in cui compra il romanzo stesso in libreria, al momento in cui comincia effettivamente a leggerlo. Il risultato di questo pedinamento letterario sono alcune stupende pagine che sembrano descrivere i preliminari di un incontro d’amore.

Come per ogni autentico incontro d’amore, anche nella lettura il piacere nasce infatti da molto prima dell’atto stesso: esso sboccia già in libreria, quando individuiamo il libro che di lì a poco acquisteremo (e non ditemi che comprare online è la stessa cosa); cresce sulla strada verso casa mentre rimiriamo, accarezziamo o ci rigiriamo fra le mani il nostro nuovo acquisto; matura pienamente nei lunghi giorni successivi, durante i quali lo teniamo lì, sullo scaffale o sul comodino, in attesa di cominciarlo; esplode infine nel momento in cui, ormai all’apice del desiderio, ne apriamo la prima pagina e ci tuffiamo finalmente dentro la sua storia.

Ogni incontro d’amore che si rispetti, però, ha bisogno della giusta atmosfera, che può essere confezionata appositamente oppure venire a crearsi per una serie di strane coincidenze o perfette alchimie fra spazio, tempo ed eventi.

In quanto azione, pratica fisica ed abitudine culturale, la lettura è comunque sempre situata in un luogo: luogo con il quale il lettore finisce per formare una specie di micro-universo, un sistema a suo modo unico, ogni volta diverso, dotato di dinamiche proprie ed effetti collaterali piuttosto interessanti.

Nelle parti precedenti di questa sociologia della lettura ci siamo occupati prima del libro come oggetto materiale, poi della lettura come tecnica del corpo. Ora, invece, vogliamo immergerci, insieme al lettore, nell’ambiente in cui lui o lei sta leggendo: proviamo ad elaborare, cioè, un’ecologia della lettura.

Con l’espressione “ecologia della lettura” ci distanziamo senz’altro dall’uso che ne è stato fatto in alcuni dibattiti recenti e che la identifica con una sorta di atteggiamento eco-friendly verso i libri (meno stampe, meno carta, acquisto responsabile ecc.), per indicare invece la riflessione intorno all’intreccio indissolubile costituito da chi legge e dall’ambiente che lo circonda e che diventa, in un certo senso, la sua casa (in greco oikos).

ecologia della lettura
@Georgie Pauwels

Ecologia della lettura: di luoghi e di tempi

Ecco allora profilarsi almeno due grandi tipologie di luoghi (e insieme di tempi) tipici della lettura.

Da un lato ci sono gli ambienti esplicitamente dedicati a questa attività: biblioteche, sale di lettura, circoli e caffè letterari. La storia di tali luoghi va di pari passo con la storia dell’oggetto-libro”: come abbiamo visto, nell’antichità la lettura era un’attività pubblica, socialmente selettiva e soprattutto recitata ad alta voce, mentre le prime grandi biblioteche (come quella di Alessandria d’Egitto) erano destinate più a catalogare e conservare i libri, che a leggerli.

Dopo la progressiva evoluzione verso uno spazio pubblico e di condivisione dei testi tipica dell’epoca romana, a partire dal XIII secolo, grazie principalmente agli ordini mendicanti, nasce un nuovo modello di biblioteca: non più destinata all’accumulo del patrimonio librario ma alla lettura, essa ha sostanzialmente la pianta della chiesa gotica (quindi una sala oblunga con al centro un corridoio vuoto e, nelle navate laterali, due serie di banchi in file parallele con libri ad essi incatenati ma disponibili alla lettura e allo studio), inizia a dotarsi di un catalogo per la consultazione e di un “memoriale” (scheda in cui vengono segnati i volumi dati in prestito).

Infine, soprattutto, è dominata dal silenzio perché silenziosa e personale è diventata ormai la lettura stessa. Pian piano, accanto a quelle religiose iniziano a diffondersi anche le biblioteche signorili, dove trovano posto i primi libri di intrattenimento: la lettura, consumata nei cortili, nelle sale, negli spazi di riposo, scandisce ora anche il tempo libero.

È in Età Moderna che, con l’allargarsi dell’alfabetizzazione e l’aumento delle formule editoriali disponibili, si diffondono in Europa i primi circoli e società di lettura (con le dovute differenze fra paesi toccati dalla riforma protestante e paesi controllati invece dalla censura dell’Inquisizione).

Il Seicento e soprattutto il Settecento furono invece i secoli delle meravigliose biblioteche barocche (organizzate intorno a un grande “vaso” circolare od oblungo, erano insieme luoghi di conservazione, consultazione e lettura), e dei gabinetti di lettura (in cui la borghesia urbana leggeva quotidiani, periodici, libri editi dovunque in più lingue, si istruiva, discuteva, preparava nuove proposte economiche e politiche).

Probabilmente nel tentativo di adattarsi a modelli di vita e di lettura sempre più dislocati e frammentari, oggi le biblioteche stesse stanno diventando luoghi diffusi (distribuiti cioè anche al di fuori del loro specifico edificio, come ho visto fare in alcuni progetti di promozione della lettura in età scolare, dove gli spazi della piazza, del cortile, del parco cittadino diventavano parte di una biblioteca sempre più aperta e porosa), se non addirittura “nomadici” (come nel caso delle biblioteche ambulanti o delle biblioteche su due ruote).

Le stesse librerie, dal canto loro, sono diventate ormai da tempo degli spazi non solo di acquisto, ma di fruizione diretta dei prodotti scritti: anche in Italia, molte si sono ormai dotate di un angolo lettura dove i clienti possono fermarsi a sfogliare libri e riviste, magari sorseggiando un caffè.

Biblioteche, sale di lettura e librerie figurano non a caso in cima alla classifica che l’Huffington Post ha stilato dei 10 luoghi più belli al mondo per leggere un libro.

Senza dubbio la rivoluzione digitale ha contribuito a modificare il rapporto dell’uomo coi luoghi della lettura, che oggi forse tendono a dissolversi in quanto luoghi fisici e stanno diventando ambienti sempre più virtuali: il libro elettronico ha abolito la distanza stessa fra luogo del testo e luogo del lettore, rendendo forse finalmente realizzabile l’antico sogno, tipicamente umanistico, di mettere insieme una biblioteca universale.

La scelta, o l’imposizione, dei luoghi dove leggere sta diventando quindi sempre più variegata e frammentata. Oltre ai luoghi deputati alla lettura abbiamo infatti quelli che, anche solo per l’accumularsi dell’abitudine e della prassi (individuale e collettiva) vengono ormai associati in modo quasi automatico all’esperienza del leggere: panchine, mezzi pubblici, tazze del wc, sale d’attesa e chi più ne ha più ne metta.

Perché anche se, per leggere al meglio un libro, Calvino raccomanda di chiudere la porta, lasciare “che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto” e trovare la posizione più comoda, tipicamente in casa propria (oggi si direbbe: “creare il proprio reading nook”), è forse vero piuttosto che alcune persone riescono a leggere nei posti più strani ed imprevisti, nelle posizioni più scomode ed impensabili, circondate da rumori continui, dal movimento degli altri, e spesso leggono mentre fanno contemporaneamente qualcos’altro.

ecologia della lettura
@Mario Mancuso

Ecologia della lettura: ci sono luoghi migliori per leggere?

Nel pensare all’ecologia della lettura sono partita da una domanda: perché ho la sensazione che la lettura funzioni ovunque, ma che allo stesso tempo ci siano luoghi, e momenti, in cui non si potrebbe fare altro che leggere? Sono certi luoghi a rendere possibile la lettura, o è la lettura che in qualche modo conferisce loro una struttura, una dimensione, un’attrattiva particolari?

Cos’è, in altre parole, che fa di un luogo un luogo buono per leggere? E quale effetto ha quest’atto del leggere sul sistema di spazio e tempo in cui – magari anche solo per un breve momento – si inserisce? Dove inizia una cosa e dove finisce l’altra?

In un suo articolo che abbiamo già citato nella puntata precedente, Georges Perec scriveva:

Leggere non è solamente leggere un testo, decifrare dei segni, percorrere delle linee, esplorare delle pagine, attraversare un senso; non è solamente la comunione astratta dell’autore e del lettore, la nozze mistica dell’Idea e dell’Orecchio, è, nello stesso tempo, il rumore della metro, o il dondolio di un vagone della ferrovia, o il calore del sole su una spiaggia e le grida dei bambini che giocano un po’ più lontano, o la sensazione dell’acqua calda nella vasca da bagno, o l’attesa del sonno.

Spesso infatti si crede che le lettura sia un atto di isolamento dal contesto e, per contro, di totale immersione nel testo: in realtà però i rapporti con il luogo, i rumori, gli odori le persone fra cui siamo quando leggiamo giocano un ruolo importante e sono essi stessi parte integrante di quel leggere. Lo stesso Perec racconta di aver visto una volta, al ristorante, un noto filosofo seduto a tavola che leggeva mentre mangiava, e di essersi chiesto:

Quale potesse essere l’effetto di questa doppia attività, come queste si mischiavano, che gusto avessero le parole e quale senso avesse il formaggio: un boccone, un concetto, un boccone, un concetto… com’è che si masticava, un concetto, com’è che si ingurgitava, come si digeriva? E come si poteva rendere conto dell’effetto di questo doppio nutrimento, come descriverlo, come misurarlo?

Già: come descrivere questa unione così complessa fra lettura, corpo e luogo? Un buon punto di partenza potrebbe essere l’osservazione delle pratiche, proprie ed altrui.

Una personalissima ecologia della lettura

In generale, per me il libro fa parte dell’equipaggiamento di base di ogni viaggio – breve o lungo che sia – e del “kit dell’attesa”: leggo in cucina mentre aspetto che si cuocia la pasta, dal dentista mentre aspetto di entrare, in macchina mentre attendo che si rialzino le sbarre del treno. Ho scoperto, insomma che non riesco ad aspettare e basta, ma solo ad aspettare e leggere.

In questo, devo dire, mi sento assolutamente classica, quasi banale. Ma ci sono anche momenti in cui leggo per nascondermi, pur essendo assolutamente visibile visto che lo faccio in luoghi pubblici e frequentatissimi. Ci sono stati poi alcuni momenti del passato in cui ho letto per restare, per esserci o semplicemente per salvarmi. In tutti questi casi, il luogo della lettura è stato parte integrante, dire un ingrediente indispensabile, del mio atto di leggere.

Per altro, associo ogni luogo di lettura ad una fase ben distinta della mia vita.C’è innanzi tutto la poltrona del salotto su cui ho letto il mio primo libro (mi ricordo bene la sua morbidezza, l’orientamento della luce, la voce di mia madre che stirava lì vicino, davanti a me il tempo infinito dei pomeriggi in cui non avevo altro impegno che leggere).

Poi viene il divano della cucina su cui, rannicchiata nelle più improbabili posizioni e sempre ben equipaggiata di pane e cioccolato, ho macinato i successivi trenta o quaranta libri – erano tutti dello stesso autore, e leggere era diventata per me una faccenda molto personale – durante gli anni della scuola superiore: stavolta, però, con lo sguardo appeso all’orologio e gli appunti sparsi tutt’attorno, perché c’era sempre molto da studiare e per la lettura mi concedevo solo qualche mezz’ora qua e là.

Mi ricordo bene il treno vecchio e puzzolente su cui, per anni diretta tutti i giorni all’università e ritorno, oltre ad imparare che posso leggere in qualunque posizione e temperatura, sono diventata sempre più democratica nelle mie scelte: filosofia, storia, logica, semiotica, autobiografia, narrativa straniera sono entrate per sempre nel mio orizzonte, insieme all’abitudine di segnare i libri con matite, colori, post-it, date, firme spinta da un fortissimo bisogno di marcare il territorio.

Ricordo poi il treno, stavolta un po’ più decente (è questione di destinazioni, mi sembra), su cui, andando e tornando dal mio primo vero lavoro, e alternando la lettura a delle sane dormite ristoratrici, ho intrecciato una storia d’amore e sofferenza con la narrativa italiana e scoperto la bellezza del racconto breve, che finiva entro la fermata successiva e consentiva una soddisfazione calda, immediata.

Ma ho ben vivi in mente anche i letti stranieri e lontani su cui ho passato tante sere solitarie, quelle prime sere difficili in cui il solo fatto di avere un libro fra le mani mi faceva sentire a casa; e il letto della prima casa veramente mia, dove faceva freddo, ma c’era silenzio e io dopo cena mi rintanavo a leggere sotto le coperte, alternando un bel romanzo ad un saggio di qualche studioso d’avanguardia da mettere nella bibliografia della tesi di dottorato.

Questa è, in pillole, la mia ecologia della lettura. Con un po’ di pazienza, esercizio mnemonico e la giusta dose di nostalgia, ognuno potrà ricostruirsi la propria ecologia della lettura: che è anche, in qualche modo, una geografia ed una storia.

La prossima volta che leggete qualcosa, allora, provate a fermarvi un momento e ad osservarvi: dove siete? Perché siete proprio lì? Come vi siete posizionati? Che effetti fisici vi procura la lettura? Che percezione avete, mentre leggete, di quello che vi circonda? Notate qualche affinità fra ciò che state leggendo e il luogo in cui avete scelto di farlo?

Se decidete di farci caso, potreste forse scoprire qualcosa di interessante non tanto sulla lettura in sé, quanto piuttosto su voi stessi.

ecologia della lettura
@ethermoon

Ecologia della lettura: le pratiche degli altri

La lettura, dicevamo, è una pratica ecologica: oltre che coinvolgere un corpo ed un oggetto, cioè, essa è sempre situata in un luogo. Ci ho molto pensato, dicevo, soprattutto negli ultimi due o tre anni, e le idee che mi sto formando passano anche attraverso l’osservazione di quello che vedo fare agli altri.

A tal proposito ho scelto di osservare le pratiche di lettura nei luoghi pubblici, e in particolare sui mezzi di trasporto, perché credo possano dare un’idea interessante di come un atto molto personale (privato?) si inserisce nella nostra dimensione sociale e, soprattutto, sia sempre ancorato ad un luogo.

Poco più di un anno fa ho iniziato un piccolo progetto personale che ha a che fare con il cosa e il come le persone leggono in treno (il mezzo pubblico che io uso di più). Quest’idea, intendiamoci, non è assolutamente una novità, ma mi interessava avere una documentazione di prima mano e circostanziata su cui lavorare: per ora sto raccogliendo del materiale fotografico e degli appunti, quindi non ho ancora ipotesi chiare, figuriamoci risposte definitive.

Ho il sospetto, ad ogni modo, che anche in questo caso c’entri molto il nostro corpo. Da un lato, infatti, leggere porta ad un tale livello di concentrazione mentale ed astrazione dal contesto che possiamo farlo (quasi) ovunque: la tolleranza ai rumori, agli odori o alla temperatura di un luogo, varia poi da persona a persona. Dall’altro lato vi sono delle preferenze culturali abbastanza definite in merito al luogo migliore per leggere.

Farne un inventario completo sarebbe un’impresa titanica, forse irrealizzabile, ma si potrebbe comunque partire da alcuni, semplici esempi: dalle nostre abitudini, esperienze o – perché no? – fissazioni.

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Antropologa culturale, autrice e insegnante, si occupa di temi legati alla maternità, all'educazione e alla narrazione. Lettrice onnivora e compulsiva, scrive col contagocce perché non ama sprecare le parole. Adora le birre artigianali e, finora, le migliori idee le sono venute andando in bicicletta.
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