La dispersione scolastica in Italia è un problema molto serio27 min read

28 Settembre 2023 Educazione -

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La dispersione scolastica in Italia è un problema molto serio27 min read

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La dispersione scolastica in Italia: i dati 2020-2021

Secondo un rapporto del MIUR (pdf), nell’anno scolastico 2018-2019 e nel passaggio al successivo hanno abbandonato la scuola media 9.445 alunni, pari allo 0,56% del totale nazionale, mentre altri 6.322, pari allo 0,37%, hanno lasciato nel passaggio tra i cicli scolastici di primo e secondo grado. Numeri più consistenti riguardano la scuola superiore, dove gli abbandoni sono stati in totale 86.620, pari al 3,33%.

In pratica 102 mila studenti hanno abbandonato la scuola italiana in un solo anno scolastico. Un dato preoccupante, destinato ad accumularsi a quelli dei periodi precedenti.

La dispersione scolastica in Italia, sia nella scuola media che nella superiore, riguarda principalmente i maschi. Secondo il report abbandonano le scuole medie lo 0,59% dei maschi contro lo 0,51% delle femmine, divario che cresce alla superiori (4% dei maschi e 2,6% delle femmine).

La dispersione scolastica, inoltre, è più consistente nel Mezzogiorno, dove per la scuola media i tassi più alti si trovano in Sicilia, Calabria e Campania. Per la scuola superiore il quadro è simile, ma con numeri proporzionalmente più alti: qui i tassi di abbandono sono del 4.5% in Sardegna, 4,1% in Campania e 3,9% in Sicilia. Seguono, non troppo distanti, Lombardia, Liguria e Toscana, tutte con percentuali superiori alla media italiana del 3,3%.

La dispersione scolastica in Italia riguarda di più gli stranieri, che abbandonano medie e superiori molto più degli italiani. Notevole è la differenza tra alunni stranieri nati in Italia e nati all’estero: questi ultimi si trovano in maggiore difficoltà rispetto ai nati in Italia. Quasi sempre gli alunni di seconda generazione parlano perfettamente l’italiano, nascono immersi nella cultura nazionale (oltre che in quella familiare di provenienza) e hanno meno difficoltà nell’adattarsi al sistema scolastico (qui un nostro approfondimento sugli alunni stranieri in Italia).

Un ultimo elemento importante nell’analisi della dispersione scolastica è l’età degli alunni. Dai dati emerge infatti che il ritardo scolastico, per bocciature o altre cause, può essere un fattore che precede l’abbandono.

Per la scuola superiore, infine, il fenomeno si differenzia tra i vari percorsi di studio. Il tasso di dispersione scolastica più contenuto si registra nei licei (1,6%), seguiti dagli istituti tecnici (3,8%) e dagli istituti professionali (7,2%). La percentuale di abbandono più elevata riguarda i percorsi regionali IeFP (corsi di Istruzione e Formazione Professionale di competenza regionale), con un abbandono complessivo del 7,9%.

Il momento più critico è la transizione tra le medie e le superiori. Nel delicato passaggio tra i due cicli scolastici sono 6.322 gli alunni che hanno abbandonato la scuola, pari all’1,14% di coloro che hanno frequentato il terzo anno della media.

L’abbandono scolastico precoce

Un indicatore utile a dare la misura della dispersione scolastica, riconosciuto a livello internazionale, è l’abbandono scolastico precoce. In particolare, l’indicatore ELET (Early leavers from education and training) consiste nella percentuale di giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno completato al massimo la scuola media e che non sono coinvolti in percorsi formativi di livello superiore nelle quattro settimane precedenti l’indagine. In altre parole, giovani che nella migliore delle ipotesi hanno ottenuto la licenza media e che non frequentano – o hanno smesso di frequentare – le superiori.

Nel 2021 la quota di ELET italiani è del 12,7%. Un dato alto rispetto alla media europea (9,7%), ma in calo rispetto all’anno precedente (13,1%).

Allargando lo sguardo ad un periodo più ampio, tanto l’Europa quanto l’Italia hanno fatto grandi passi avanti. In Italia, ad esempio, gli ELET erano il 37,5% nel 1992, il 24,2% nel 2002 e il 17,3% nel 2012. Pur condividendo la stessa tendenza, la media europea è sempre stata più bassa: 18,7% nel 2002 e 12,7% nel 2012.

abbandono scolastico 2021

Nel confronto con gli altri paesi dell’Unione Europea l’Italia è al terzultimo posto per numero di early school leavers, ben distante dal valore medio dell’Unione (9,7%). Risultati peggiori si registrano solo in Romania (15,3%) e Spagna (13,3%). I paesi più virtuosi sono Croazia, Slovenia, Grecia e Irlanda tutte al di sotto del 5%.

La dispersione implicita e la qualità dell’apprendimento degli studenti italiani

Ci sono anche alunni che a scuola ci vanno, ma non imparano. Oppure imparano male, poco, o in modo irregolare. Anche se questi giovani non fanno numero nelle principali statistiche sulla dispersione scolastica esplicita, possiamo in un certo senso includerli tra i dispersi. Anche quando riescono a ottenere un titolo di studio, infatti, questi giovani si trovano ad affrontare la vita adulta senza avere le competenze minime necessarie per esercitare la cittadinanza attiva, proseguire gli studi, o intraprendere un percorso professionale. Possiamo definire questo tipo di dispersione come implicita.

Secondo i dati Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione), nel 2022 si stima che la dispersione scolastica totale, implicita ed esplicita, superi il 20% a livello nazionale.

La dispersione scolastica implicita riguarda il 9,7% di alunni e alunne; solo il 56% degli alunni di terza media raggiunge i livelli di competenze previsti in matematica, e il 61% in italiano.

L’analisi più completa dei dati delle ultime prove Invalsi restituisce un quadro simile a quello visto finora: le prestazioni degli studenti calano nel Mezzogiorno e tra gli allievi che provengono da contesti socio-economico-culturali più sfavorevoli.

Sempre secondo le rilevazioni, inoltre, la scuola italiana è meno equa nelle aree più disagiate del paese, dove i risultati sono molto diversi tra scuola e scuola, o tra classe e classe. Ciò significa che gli alunni più deboli economicamente e culturalmente tendono a raggrupparsi in alcune scuole, creando un una sorta di “ghetto educativo” da cui discendono dinamiche a cascata: l’apprendimento degli alunni sarà influenzato dal livello generale dei compagni più che dalle caratteristiche personali, mentre gli insegnanti saranno portati a ricalibrare programmi e metodi sulla base delle contingenze, penalizzando così gli studenti di livello potenzialmente più alto.

Il territorio di appartenenza conta, quindi, ma conta anche l’ambiente sociale, economico e culturale di provenienza. In tutte le materie testate da Invalsi emerge che il punteggio cresce al crescere dello status sociale, con scarti maggiori tra i punteggi bassi e medio-bassi rispetto a quelli alti. Lo status influisce anche sulla scelta della scuola superiore: a parità di risultati scolastici, coloro che vengono da contesti più agiati sono più propensi a orientarsi verso i licei rispetto a coloro che vengono da famiglie modeste. Anche la cittadinanza incide sui risultati scolastici, soprattutto a svantaggio degli stranieri nati all’estero.

Molto interessante è anche l’influenza del genere sui risultati scolastici, unica differenza che non sembra essere solo frutto di fattori socio-culturali. Il gender gap, infatti, è comune a tutti i paesi Ocse nonostante le profonde differenze economiche, sociali e culturali.

In particolare, nella comprensione della lettura le femmine hanno ovunque un punteggio superiore a quello dei maschi; in matematica invece sono i maschi ad ottenere un punteggio più alto (qui abbiamo spiegato perché), anche se in questo caso le eccezioni non mancano e la differenza di punteggio è in genere più piccola di quella che si osserva nella lettura.

Dispersione scolastica e NEET

La dispersione scolastica è direttamente collegata con il fenomeno dei NEET (Not in Education, Employment or Training), ovvero i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non sono inseriti in un percorso di istruzione o di formazione.

È un fenomeno che riguarda, secondo i dati Istat del 2021, il 24% degli italiani dell’età citata e che colpisce di più le donne, i disabili, coloro che hanno un background migratorio, coloro che provengono da situazioni familiari svantaggiate e coloro che vivono in aree remote.

Sarebbe intuitivo concludere che un basso livello di istruzione aumenti la possibilità di diventare NEET, e in generale è così. Eppure, nel 2020 la loro presenza è massima tra i diplomati (25,4%), mentre scende al 21,9% tra chi non ha titoli di studio e al 20,6% tra i laureati.

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Educatore professionale e formatore, ha lavorato in diversi ambiti del terzo settore. Nel suo lavoro mescola linguaggi e strumenti per creare occasioni di crescita personale attraverso esperienze condivise. Per Le Nius scrive di temi sociali e non profit.
2 Commenti
  1. giovanna

    bellissimo sito x i giovani di oggy

  2. Camilla Crippa

    articoli sempre ben documentati ma nello stesso tempi di agile lettura, li uso spesso anche con i miei studenti del Liceo Economico-sociale, grazie!

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