Discorsi di fine anno, parole in libertà5 min read

1 Gennaio 2014 Politica Politica interna -

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Discorsi di fine anno, parole in libertà5 min read

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Giorgio Napolitano

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Francamente non credo che sarebbe onesto dire state tranquilli, fino all’età di 95 anni io posso fare tranquillamente il Presidente della Repubblica, insomma la carta di identità conta.

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Erano queste le parole pronunciate da Giorgio Napolitano all’uscita dall’università Humboldt di Berlino l’1 marzo scorso in risposta ai giornalisti che gli chiedevano della possibilità di una sua rielezione al Quirinale. Come poi siano andate le cose è noto a tutti.

Nella conclusione del discorso di fine anno, Napolitano ha però voluto ribadire il fatto di essere un presidente a termine: «resterò presidente fino a quando la situazione del paese e delle istituzioni me lo farà ritenere necessario e possibile e fino a quando le forze me lo consentiranno. Fino ad allora e non un giorno di più e dunque di certo solo per un tempo non lungo». Non prima di aver ripetuto che la sua disponibilità ad un secondo mandato è stata la conseguenza della consapevolezza del rischio di un grave vulnus istituzionale che avrebbe minato la tenuta democratica del paese. Insomma, le pressioni del mondo politico avrebbero costretto Napolitano ad un sacrificio irrinunciabile del quale il paese tutto dovrebbe essergli grato. In realtà, accettare un incarico tanto importante e delicato nella consapevolezza di non poterlo svolgere fino a scadenza naturale è, di per sé, un gesto irresponsabile oltre che inopportuno.

Il Presidente Re

Napolitano ha poi voluto liquidare come risibili le accuse mosse da coloro i quali sostengono che il suo operato ecceda spesso i limiti imposti al ruolo del Presidente della Repubblica, concretizzandosi in vere e proprie ingerenze in decisioni politiche. Del resto, fin dal giorno della sua rielezione al Quirinale, Giorgio Napolitano ha imposto come condizione necessaria per la durata del suo mandato l’approvazione di una serie di riforme mediante la costituzione delle larghe intese.
Buona parte del discorso di fine anno è però stato incentrato sulla situazione del paese partendo dalla premessa che l’anno appena terminato «è stato tra i più pesanti e inquieti che l’Italia ha vissuto da quando è diventata Repubblica. Tra i più pesanti sul piano sociale, tra i più inquieti sul piano politico e istituzionale».

Al di là della scelta discutibile di riferire di presunte lettere di cittadini ricevute a mo’ di posta del cuore, partendo dalle difficoltà di coloro che in età avanzata hanno perso il lavoro o di coloro che, invece, ancora giovani non lo trovano affatto, l’intento non riuscito di Napolitano è stato quello di infondere coraggio accennando ad una leggera ripresa economica sul piano europeo e facendo appello al coraggio degli italiani, coraggio di intraprendere, di innovare, di praticare la solidarietà.

Sul piano politico, è stata ribadita la necessità delle riforme costituzionali nonostante il fallimento della modifica delle procedure richieste per la revisione e nonostante il mutamento del quadro politico e la necessità della adozione di una nuova legge elettorale e di una seria disciplina della produzione normativa che ponga fine al ricorso eccessivo alla decretazione d’urgenza e al ricorso alla questione di fiducia posta su maxi emendamenti. Non è mancato poi un riferimento all’Europa, alla necessità della sua unità e al ruolo che il paese sarà chiamato a svolgere nel semestre di presidenza europea.

Sul fronte interno, Napolitano ha voluto esprimere una preoccupazione «per il diffondersi di tendenze distruttive nel confronto politico e nel dibattito pubblico, tendenze all’esasperazione anche con espressioni violente di ogni polemica e divergenza fino ad innescare un tutti contro tutti che lacera il tessuto istituzionale e la coesione sociale». Ad onor del vero, la coesione sociale è minata sempre più dall’aumento delle disuguaglianze, da una diminuzione delle risorse la cui distribuzione sempre più iniqua non sembra osteggiata dall’attuale classe dirigente, sempre e comunque espressione di lobby come dimostrano le recenti denunce.

Beppe Grillo parla attraverso la rete

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L’altro discorso di fine anno che hanno potuto ascoltare gli italiani è stato quello di Beppe Grillo, trasmesso alla stessa ora di quello del Quirinale direttamente dal blog. Il leader del movimento 5 stelle ha voluto ribadire quelli che sarebbero i successi del movimento, volutamente taciuti da una informazione asservita. Ecco dunque l’elogio della rinuncia all’ingente rimborso elettorale, la riduzione autoimposta dello stipendio da parte dei parlamentari, l’ottenuta decadenza dalla carica di senatore di Silvio Berlusconi, la denuncia della presenza di lobbisti nelle stanze del potere la cui influenza è capace di imporre modifiche dell’ultimo minuto agli emendamenti. Risultati questi certamente indiscutibili.

Come sempre accade, in quel che dice Grillo è facile trovare qualcosa di vero e sicuramente i giornali non rendono quasi mai giustizia di questo. Il guaio, però, si ha quando il Beppe nazionale comincia a dilungarsi nei suoi monologhi. Quando prende il via è difficile fermarlo e lo strafalcione è dietro l’angolo. Dopo una buona partenza, infatti, ecco l’attacco alla Corte Costituzionale rea, a suo dire, di aver impiegato 6 anni per giudicare incostituzionale il porcellum. Chiunque abbia ascoltato in vita sua qualche lezione di educazione civica sa però che la Corte Costituzionale non può esprimersi a suo piacimento, ma esistono delle regole che permettono di adire il giudice delle leggi solo in determinati casi. Ridicolo poi il passaggio nel quale Grillo sostiene che per interpretare la Costituzione non servano giuristi ma basti il buon senso e l’onestà. L’eccessiva semplificazione e la grossolana interpretazione della realtà del leader rischiano di rappresentare un problema per il movimento 5 stelle. Se da un lato spararle grosse è lo strumento ideale per ottenere consensi, dall’altro può essere il modo migliore per allontanare le persone serie e impedire il cambiamento di cui realmente necessita il paese. In conclusione ecco il solito riferimento all’Europa, alla moneta unica dalla quale uscire con un referendum o forse da sostituire con un Euro a due velocità o forse chissà. Insomma poche idee e confuse.

Immagini| L’Huffington Post, La Stampa

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L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. (Italo Calvino)
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