I numeri della disabilità in Italia8 min read
Reading Time: 7 minutesContenuto aggiornato da Fabio Colombo
Quante sono le persone disabili in Italia? Quali sono le tipologie di disabilità più diffuse? Quali le principali conseguenze sugli aspetti della vita come scuola, lavoro e vita sociale?
Sono domande a cui è complesso dare una risposta, innanzitutto perché la disabilità è un concetto elusivo, fluido, difficile da definire, che racchiude una serie eterogenea di diversità e capacità corporee, cognitive e sensoriali. Si tratta inoltre di un dato sensibile che va protetto in maniera più rigorosa di altri, così come l’origine etnica, le convinzioni religiose e politiche, l’adesione a partiti e la vita sessuale: non esiste un’anagrafe delle persone con disabilità.
Definire la disabilità
È necessario dunque innanzitutto riflettere sulla definizione di disabilità. Fino a pochi decenni fa, essa era considerata solo nel suo aspetto di limitazione insita nell’individuo e trattata esclusivamente come “problema” medico su cui intervenire individualmente.
Un paradigma applicato oggi quasi universalmente è invece il cosiddetto Modello Sociale della Disabilità, coniato negli anni ottanta in contrapposizione al tradizionale modello medico. A suo tempo fu rivoluzionario, ed è la base teorica delle definizioni più aggiornate e corrette di disabilità.
Secondo il Modello Sociale la disabilità è il risultato di un’interazione tra il livello di limitazione individuale fisica o sensoriale o cognitiva o mentale e il contesto di vita. La disabilità è dunque in gran parte una conseguenza di fattori sociali: se il contesto è poco accessibile o inclusivo, la disabilità aumenta.
In Italia, questa nuova definizione di disabilità è stata proposta con la classificazione ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità approvata nel 2001, dove la disabilità non è più concepita come riduzione delle capacità funzionali determinata da una diagnosi medica, bensì viene definita come “il termine ombrello per menomazioni, limitazioni dell’attività e restrizioni alla partecipazione. Esso indica gli aspetti negativi dell’interazione tra un individuo (con una condizione di salute) e i fattori contestuali di quell’individuo”.
Proprio facendo riferimento alla concettualizzazione dell’ICF, nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006 (ratificata dall’Italia nel 2009) si afferma che:
le persone con disabilità includono quanti hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri.
Quante sono le persone disabili in Italia?
Quella della definizione non è una questione oziosa, perché anche la definizione di una categoria sociale influenza il suo ruolo all’interno della società. In ogni caso, il doveroso cambio di approccio in chiave sociale non ci lascia con una definizione netta di disabilità.
Tornando quindi alla domanda iniziale (quante sono le persone disabili in Italia?), poiché mancano una definizione univoca, criteri di rilevazione o strumenti di registrazione uniformi, la risposta non può essere certa.
Tuttavia, dopo anni in cui ci si limitava a produrre stime in modo discontinuo e disomogeneo, Istat sembra avere imboccato la strada verso la raccolta, elaborazione e diffusione di dati sulla disabilità in Italia in modo serio e, speriamo, continuativo e, per la prima volta, ha pubblicato a fine 2019 un rapporto dedicato alla disabilità in Italia in cifre.
Nel rapporto Istat, uniformandosi alle direttive impartite dal sistema delle statistiche europee, utilizza il quesito conosciuto come Global activity limitation indicator (Gali), che rileva le persone che riferiscono di avere limitazioni, a causa di problemi di salute, nello svolgimento di attività abituali e ordinarie. La stessa Istat ammette che si tratta di una modalità che non consente di avere un panorama adeguato, ma si tratta di un primo passo.
Secondo Istat sono 3,1 milioni le persone disabili in Italia, il 5,2% della popolazione italiana. A livello territoriale, percentuali più elevate di persone con disabilità si riscontrano in Umbria (8,7% della popolazione), Sardegna (7,3%) e Sicilia (6%). L’incidenza più bassa si registra in Veneto, Lombardia e Valle d’Aosta.
La metà delle persone con gravi limitazioni in Italia – 1,5 milioni – ha più di 75 anni. Quanto al genere, il 60% delle persone disabili in Italia sono donne; la differenza tra generi è presente in tutte le fasce di età, tuttavia esplode dai 65 anni in su: un dato che deriva dal fatto che le donne vivono più a lungo degli uomini.
Se a questo numero aggiungiamo anche le persone che dichiarano di avere limitazioni non gravi, il numero totale di persone con disabilità in Italia sale a 12,8 milioni. Si parla di tipi di disabilità molto diversi tra loro, che vanno dal massimo grado di difficoltà nelle funzioni essenziali della vita quotidiana, a limitazioni molto più lievi, comprendendo anche malattie croniche come diabete, malattie del cuore, bronchite cronica, cirrosi epatica o tumore maligno, demenze senili, disturbi del comportamento.
Complessivamente, si tratta del 21,3% della popolazione italiana (quella delle persone disabili è anche la più grande minoranza sociale al mondo), e anche in questa popolazione prevalgono le donne e le persone anziane.
L’impatto della disabilità su lavoro, istruzione e vita sociale
La disabilità in Italia costituisce ancora largamente un ostacolo ad accedere alle tappe fondamentali di una vita considerata “normale”, tutte cose sancite come diritti dalla Costituzione: il lavoro, l’istruzione, la mobilità e la libera circolazione ed utilizzo dei luoghi pubblici.
Disabilità e istruzione
Secondo i dati Istat, tra le persone con disabilità è senza titolo di studio il 17,1% delle donne contro il 9,8% degli uomini, nel resto della popolazione le quote sono 2% e 1,2% rispettivamente. Inoltre, la quota di persone con disabilità che ha raggiunto titoli di studio più elevati (diploma di scuola superiore e titoli accademici) è pari al 30,1% tra gli uomini e al 19,3% tra le donne, a fronte del 55,1% e 56,5% per il resto della popolazione.
Va detto però che queste differenze si stanno riducendo tra le generazioni più giovani, grazie alla maggiore inclusione scolastica delle persone disabili a partire dagli anni settanta, processo che si è particolarmente accelerato negli ultimi anni: basti pensare che gli alunni con disabilità nella scuola italiana sono passati da poco più di 200 mila nell’anno scolastico 2009/2010 a oltre 272 mila nell’anno scolastico 2017/2018. Anche gli insegnanti per il sostegno sono significativamente aumentati: da 89 mila a 156 mila.
Permangono tuttavia importanti differenze sul tipo di scuola superiore frequentata: nel 2017, il 50% degli alunni con disabilità si è iscritto ad una scuola con indirizzo professionale, contro il 20% del totale degli alunni. La metà degli alunni con disabilità privilegia quindi indirizzi formativi orientati al lavoro immediato e rinuncia di fatto a prolungare la propria formazione fino all’università.
Altra importante barriera per la partecipazione scolastica delle persone disabili è rappresentata dall’accessibilità degli edifici. L’indagine Istat riporta che solo 1 scuola su 3 ha abbattuto le barriere fisiche e 1 su 5 ha abbattuto le barriere senso-percettive, con forti differenze territoriali tra nord e sud.
Disabilità e lavoro
L’impatto della disabilità rimane forte anche sulla partecipazione al mondo del lavoro. Malgrado gli sforzi legislativi fatti (Legge 68 del 1999 sul collocamento mirato, Legge 381 del 1991 sul ruolo delle cooperative sociali di tipo B per l’inserimento lavorativo di persone disabili), lo svantaggio nell’accesso al mercato del lavoro rimane importante.
All’interno della popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni, risulta occupato solo il 31,3% di coloro che soffrono di gravi limitazioni (26,7% tra le donne, 36,3% tra gli uomini) contro il 57,8% delle persone senza limitazioni.
Il dato presenta forti differenze territoriali: nelle regioni del sud solo il 19% delle persone con disabilità è occupato, contro il 37% del nord e il 42% del centro. Le persone con disabilità in Italia sono occupate soprattutto nella pubblica amministrazione (il 50%).
Disabilità e vita sociale
Alcuni dati mostrano l’impatto della condizione di disabilità sulla relazioni interpersonali e sulla partecipazione sociale. Intanto, va riportato che delle 3 milioni circa di persone disabili, ben 600 mila vivono in una situazione di grave isolamento senza alcuna rete su cui poter contare in caso di bisogno, tra cui 200 mila che vivono completamente da sole.
Altro dato rilevante è che solo il 43,5% delle persone con limitazioni dichiara di disporre di una vasta rete di relazioni contro il 74,4% del resto della popolazione.
A parte la carenza di relazioni, si registra anche un’inferiore partecipazione sociale da parte delle persone con disabilità in Italia. Solo il 9,3% delle persone disabili va frequentemente al cinema, a teatro, a un concerto, a visitare un museo contro il 30,8% della popolazione totale. Tra le cause vi è la scarsa accessibilità: solo il 37,5% dei musei italiani ad esempio è attrezzato per ricevere le persone con limitazioni gravi.
Allo stesso modo, solo il 9% delle persone con disabilità è impegnata in attività di volontariato contro il 25,8% della popolazione, e solo il 9,1%, contro il 36,6% pratica un’attività sportiva. Dunque, oltre l’80% delle persone con disabilità è completamente inattivo.
Come per l’istruzione, anche qui si nota una differenza generazionale: la situazione sta migliorando per le generazioni più giovani, che mostrano tassi di partecipazione più elevati.
Disabilità in Italia: conclusioni
In conclusione, dalle statistiche emerge una popolazione disabile marginalizzata, che vive per molti versi un vero e proprio mondo a parte a cui sono negati vari aspetti della quotidianità mainstream, nonostante in alcuni ambiti, soprattutto l’istruzione, si registri qualche miglioramento negli ultimi anni.
La situazione è avallata anche da vari richiami e sanzioni internazionali: il 4 luglio 2013 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha condannato l’Italia per non aver applicato in maniera adeguata i principi Ue in materia di diritto al lavoro per le persone disabili, e Bruxelles ha anche stigmatizzato l’inaccessibilità dei mezzi pubblici inviando l’8 febbraio 2014 due lettere di messa in mora.
Risulta sempre più urgente quindi agire sulle cause strutturali delle diseguaglianze, creando le condizioni per cui le persone disabili abbiano la possibilità di esercitare i propri diritti di cittadini.
Diego
Bene, bello, articolo molto esaustivo e preciso. E quindi? Dunque? che facciamo io sono un genitore di "ormai " un uomo 21 anni disabile intellettivo che ha finiti il percorso scolastico, e adesso? a casa da solo con la sua PS5 full immersion nessun cottatto sociale nessun servizio inclusivo niente. COSA dobbiamo fare? se qualcuno sa' di qualche realta CI AIUTI noi viviamo in Sicilia Trapani e nonc'è nulla il vuoto assoluto le istituzioni ASSENTI.
silvia
articolo interessante